Natale senza Maya

 Quanta gente alla mia tavola, sono la mia famiglia eppure ho la sensazione di essere tra di loro come una lama affilata che soffre dei tagli che infligge a chi le si avvicina. E sono vicini, così vicini che posso sentire i loro cuori sussultare e la loro pelle fremere al + blando sfiorare. Nel mio petto un vuto, come l’attimo prima che la paura si trasformi in spavento.
Non sono i pensieri miei di donna che mi  lasciano sospesa in attenzione. Sono piuttosto tutti quelli che non so formulare eppure esistono e mi sorprendo a temere il peso di questi pensieri, + grandi di me, del mio cuore, del mio cervello e della mia volontà.
Chi sono io per provare tutto qusto?
E ancora i pensieri vagano senza ordine e tempo, come se stessero cercando ossigeno, come se dovessero lavarsi dopo aver percorso strade di dolore e di gioia, senza dolore e senza gioia, ma solo il nome di questo e di quella, che si è incollato ovunque come grasso di un anguilla.
cosa è la gioa e cosa è il dolore senza parole, contenitori, definizioni…ciò che si spalanca senza senza fine, ciò che si contrae all’infinito.
Così in alto, così in basso e io sospesa in mezzo, vuota come un guscio vuoto.

un buco nel bozzolo

Mentre guardo lo schermo luminoso della radiosveglia mi coglie impreparata il pensiero che io non so che aspetto ho.
Guardo il soffitto e cerco di usarlo come percorso stroboscopico per ritornare dai miei occhi, ben situati dentro di me, la mia testa, il mio cervello, a quel corpo allungato sotto il piumone. cerco di mettere insieme immagini come quella della telecamera della metropolitana che mi inquadra dal didietro e non so dire se ho il culo + grosso di quello che mi aspetterei di avere. Come quella dello specchio ieri mattina che ha rimandato una faccia appesantita dai segni del ridere, del piangere, ma soprattutto dello stupore di non sapere chi sono diventata. Poi quella delle mie mani con le unghie corte e lo smalto Mercedes dell’ultima trovata marketing di un mio possibile cliente. E ancora il mio corpo dalla cintola in giù che si specchia nella sagoma di vetro nell’angolo del mio bagno, con centimetri e irregolarità che sembrano mie da sempre ma è una bugia che racconta la mia pigrizia e la mia ansia di fare.
Ma se provo a visualizzarmi tutta intera mi perdo sulla gigantografia di un dettaglio, come quando in una stanza, che frequenti ogni giorno, ti soffermi ad osservare una crepa nel muro senza riuscire a scoprire dove hai messo le chiavi della macchina e dove il tuo cervello, insieme alla memoria dei tuoi gesti e del tuo corpo, abbia conservato quell’informazione.
Il tempo. Dicono che il tempo non esiste. Una convenzione per mettere in ordine le cose. Un illusione che ci distrae dall’assoluto. Se me ne stessi sdraiata in questo letto, ignorando di avere un aspetto, un corpo una biologia. Se non sapessi + chi sono e dove mi trovo, se fossi in coma, con l’essenza del mio essere viva manifesto agli altri ma non a me, perchè, se così fosse, dovrei immaginare di possedere una vita materiale?
Ho dato un po’ di spago ai miei contorti pensieri e mi sembra di aver praticato un foro nel bozzolo, sto lasciando quel luogo angusto e scuro che mi ha protetto . gli occhi, loro per primi mi rivelano la novità di percezione, guardano e vedono un mondo a cui appartengo e la cosienza mi viene dalla prcezione, perchè tra le immagini che vedo c’è anche la mia.