LABIRINTO VERTICALE

sono salita piano, uno scalino poi tendo l’orecchio
il corridoio in penombra, nessun rumore solo un ronzio.
Mi affaccio alla stanza, nel letto sul fianco sinistro una figura avvolta dalle coperte,
non dico niente, penso che non si sveglierà.
Mi siedo sul pavimento accanto alla finestra e la guardo dormire, sembra diversa da che l’ho vista ‘ultima volta. Ero in corridoio e anche allora ho aspettato che si svegliasse, ma senza sperarci veramente. L’ultima volta intorno a lei c’era un campo di forza che sembrava aggredirla + del dolore.

Quanto è difficile quello che è così difficile?

No è impossibile, anche se mi sforzo anche se immagino…non so proprio pensare a cosa e come ci si sente quando tutto cambia così senza motivo apparente, quando il dolore e le forze che ti abbandonano diventano amici inseparabili. Quando la profondità del tuo pensiero dura meno di un istante e un istante di smarrimento dura in eterno

Ma forse è come guidare un aereo, sembra così complicato con tutti quei bottoni che riempiono soffitto e pavimento senza soluzione di continuità…
La prima volta che ho sentito questa espressione non capivo cosa volesse dire e poi ho capito che soluzione e risoluzione volevano dire fine. Ma anche un astronave con bottoni in attesa di essere schiacciati a perdita d’occhio, se la guidi tutti i giorni, se ci vivi dentro, non è nient’altro che il quotidiano.Il quotidiano è la stabilità. Parcellizzare l’esistenza in pezzetti da 24 ore, le ore in in pezzetti da 60 minuti.. una modalità per stabilizzare, normalizzare, comprendere e digerire l’esistenza.
Ho un amico che divide tutto in piccoli spazi e multipli di questi. Un esistenza ordinata fatta di ogni 30 minuti. Solo oggi vedo in questo spezzettare, il processo intrinseco di istruzione, costruzione di isole stabili: piombo e bismuto.

La digestione è un processo di morte, disgrega ciò che era per renderlo un nutriente. E’ la fine di un processo che da inizio ad un altro, come quella canzone della fiera dell’est dove dal topolino al fuoco divoratore, ogni cosa si consuma per effetto della successiva.

Mi sposto, solo di poco, per appoggiare la schiena al muro, la vedo stropicciare gli occhi e cercare con le mani qualcosa tra le coperte, allora dico:
-ciao Anna cerchi gli occhiali?
-no ora so chi sei, mi risponde, non importa.
E’ lei a chiedere come va, le rispondo bene e cominciamo a pigiare quel milione di tasti che fa dell’incontro di due persone una relazione.

Le chiedo se è + comodo il letto di casa o quello dell’ospedale. Mi risponde con tono soddisfatto
-quello di casa.
accenna al materasso ad aria e solo allora capisco cos’era quel sibilo che si sentiva gia dal corridoio. Un sibilo amico, una coperta di pace, non come la gabbia dura e dolorosa che avevo percepito in ospedale.

-pero il bello dell’ospedale è che ci danno dentro con gli anti dolorifici
-hai ancora mal di testa? le chiedo, e in quel momento so che le fa bene dirlo
-Sbatterei la testa nel muro…ci voleva anche lui

C’è u attimo di silenzio e poi io le dico una cosa sul corso che ho fatto e cominciamo a parlare di orto e di cibo e lei mi dice che vorrebbe occuparsi solo di orto e di cibo, e io penso che anche io se potessi vorrei occuparmi solo di orto e di cibo; essere vicino alla creazione della vita, trasformare i frutti della terra in energia…questo dovrebbe essere il nostro compito…ora è così chiaro. Eppure sia io che lei non possiamo, o meglio lei non può e io…Parliamo ancora di fiori e di spezie come se fossimo in giardino, come se domani, passate poche linee di febbre potessimo metterci li a zappare la terra, come due vecchiette con il mal di schiena unico deterrente.

“è venuta a prendersela il 118 questa sera. Era una situazione oltre i limiti dell’umano”
mi ha detto Dona al telefono.

Mi tornano in mente parole e frasi che si avvolgono in una spirale
…la realtà esterna è assolutamente indifferente al nostro destino ma è soltanto quello che essa è…sventurata la terra che ha bisogno di eroi…il mondo non si da spontaneamente, ma va preso…conquistato come un bimbo conquista un oggetto…
tutti gli ostacoli che incontreremo verranno visti come strutturali allo stesso percorso di ricerca e non come malevolenza da parte del mondo…
Quando Fulcanelli riceve il Dono di Dio, il suo maestro esprime la sua gioia, ma anche il timore:
“SPERIAMO CHE QUESTO DONO NON DEBBA ESSERE PAGATO CON UN PREZZO TROPPO ALTO”

La speranza non può essere che il balsamo delle cose che sappiamo diverse da ciò che vorremmo fossero e io avrei bisogno adesso, di sapere che cosa è la malattia e fino a quando e per chi lo è.