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Chad, il seguito

I Chadiani sono bella gente, il loro paese un po’ meno.

Gli uomini sono alti, hanno un portamento elegante e una apparente serieta’, le donne, da brave musulmane, si vedono poco. Dal punto di vista culturale, di usi costumi, simpatia ed interesse, non é che mi dicano molto.

Diciamo che tendono a farsi i fatti loro e non sono particolarmenti disponibili o incuriositi nei confronti dello straniero. Tra la gente del posto e noi si instaura un rapporto piu paritario, nel quale spesso non ascoltano quel che dici e non fanno quel che chiedi.

La settimana scorsa, dopo che non sono stato preso a bordo dall’ aereo bastardo, sono salito di corsa sul camion che portava il nostro materiale alla base di Goz Beida. Due giorni di viaggio in un paesaggio desertico, una notte a gelare sotto le stelle e una colazione a base di cuore e fegato di capretto.

La cosa interessante é stata la nostra sosta, bagnata, per la notte:

Ci siamo fermati a meta’ strada in un villaggio di tettoie, nemmeno capanne, e abbiamo avuto la fortuna di incontrare una delle prime piogge di questa stagione. Il vento ha buttato giu’ tutti i ripari, l’unico modo per rimanere asciutti era entrare nel camion, infilarcisi sotto, oppure coprirsi con teli di plastica.

La gente del posto usava quest’ultima tecnica. Centinaia di persona, a casa loro, avevano come unica protezione dei teli di plastica e le famiglie si coprivano fino a quando l’acqua non cessava. Passato il vento e rispuntate le stelle la gente emergeva ridendo da sotto i teli UNHCR sistemando le tettoie che sarebbero servite contro il sole dell’indomani.

Le temperature stanno calando, il clima é secco e penso che oramai si stia meglio qui che non in pianura padana. La vita, al momento, non é particolarmente eccitante, mi muovo parecchio tra le nostre tre basi nelle quali pero’ mi rinchiudo una volta arrivato a destinazione. Piano piano il mio lavoro diventa piu dinamico, metto il naso fuori casa e inizio ad assaporare la vita del posto. Ho gia potuto giocare a calcio tre volte, un pareggio e due sconfitte per la cronaca. Ho potuto anche fare un giro in moto, rigorosamente fuori pista dove ho rimediato una caduta ed una bucatura.

Il cambiamento pare esserci stato, l’artefice si è mosso, ad Ottobre saro’ nel pavese e la strada da percorrere via terra sara’ un’ altra.

Saro’ nuovamente disoccupato. Ad Ottobre giardinieri ed imbianchini non hanno mercato, gli alberghi sono chiusi, l’Italia diventa sempre piu cara, io sempre piu tirchio. Meglio muoversi per tempo e iniziare con gli annunci di lavoro.

offresi.

Chad

Ciao a tutti.
Rieccomi su questo Blog, perchè sono finalmente in partenza.
Dopo sei lunghi e controproduttivi mesi finalmente aria di cambiamento anche dalle mie parti.
Mentre Tabata è tornata nel pavese alla ricerca della sua strada io sono rimasto aspettando che la mia si liberasse.
Venerdi prenderò un volo che mi porterà a Ndjamena, capitale del Chad, da li raggiungerò Abechè e quindi Goz Beida. Per quattro mesi sarò basato in un campo profughi a 30 km dal confine Sudanese, ad occuparmi di logistica per la oramai famosa regione del Darfur.
Sono contento di partire, di lavorare e ritrovare quegli stimoli che ultimamente si perdevano tra letto, internet, televisione e qualche birra.
Devo ammettere che, nonostante la voglia di lavorare, e guadagnare, sia molta, il mio primo stimolo è il progetto che seguirà la fine del mio contratto:
Chad, Niger, Mali, Senegal, Mauritania, Spagna, Italia. To Italy overland insomma, partenza OttobreNovembre.
In realtà non è che debba tornare in Italia e forse la meta cambierà. Il problema è che sembra quasi impossibile andare a Nord (confine libico of limits e minato), Sud (Repubblica centrafricana troppo instabile e confine minato), Est (guerra in Darfur). Non mi restano molte alternative ma non è da escludere una strada alternativa. Se riuscissi a raggiungere Kartoum allora poi potrei andare in Egitto e nuovamente in medioriente.
Insomma, mi piace sognare ma so bene che da qui ad Ottobre tutto può cambiare.
Chissà se Tabata sarà artefice del cambiamento….
Per adesso comunque mi devo concentrare sul lavoro, i nuovi viaggi sono ancora una fantasia, e un segreto.
Ai miei datori di lavoro ho solo potuto dire che rinuncio al biglietto di ritorno. Anche se una volta finito il contratto loro, come si dice, “non possono essere ritenuti responsabili delle mie azioni” non mi sembra ancora il caso di rendere noti i miei progetti.
La persona che mi ha voluto assumere era una conoscenza del Pakistan, ci eravamo incontrati ad Islamabad, aveva apprezzato il fatto che fossi arrivato via terra ed ha anche avuto modo di vedere parte del lavoro che ho fatto. Lui aveva provato a tornare in moto dal Pakistan all’Italia ma gli hanno rubato il mezzo in Iran.
E’ stato da poco trasferito in Africa e mi ha contattato quando ha visto la mia application presso la sua organizzazione.
Un pò di culo ogni tanto ci vuole.

Spero di scrivere molto anche durante questi 4 mesi, vorrebbe dire che avrò una vita interessante.
A presto.

Nbi e routine

Ciao Lulops

E’ vero, da quando ho finito I miei viaggi manco da questo blog. Ho una scusa, scontata, non ho molto da raccontare.

La vita di Nbi e’ molto piu’ vicina a quella del pavese che non a quella del viaggiatore. Guardo la tele, esco la sera, incontro amici, consumo.

La ricerca di lavoro procede male, Nbi non e’ la piazza che mi aspettavo e di trovare qualcosa non se ne parla. Al momento faccio una internship alla GTZ, mi occupo di questioni logistiche per un progetto di conservazione energetica.

In pratica non faccio niente.

Dovevo produrre 100 stufe in argilla ed adesso che le ho commissionate, passo le giornate a cazzeggiare su internet, alla ricerca di un lavoro vero. Non mi pagano.

Tabata e’ oramai di base a Malindi, non e’ in cinta, e si sta occupando della ristrutturazione della nostra casa. Ogni tanto sale lei e ogni tanto scendo io.

Se il tuo sogno inquieto fosse premonitore potrebbe essere di buon auspicio, ho spesso fantasticato di fare cose losche. Ammetto di aver mandato il mio CV anche alla CIA (incurante del fatto che la prima domanda chiedesse se si e’ americani, discriminante fondamentale per poter applicare).

Mi piacerebbe un po’ di azione, magari pagata.

Le prospettive per il futuro sono ancora nebulose, tra qualche mese ci scade il visto e dobbiamo lasciare il paese. Mentre Tabata e’ abbastanza convinta di dover tornare in Italia, a fare l’esame di stato ed un po’ di esperienza, io sono convinto che faro’ l’impossibile per non doverci tornare.

Penso spesso al Pakistan, un posto di merda dove vorrei tornare. Si tratta del paese dove, fino ad oggi, mi sono sentito piu’ vivo, piu’ cowboy e avventuriero, piu’ appagato. Probabilmente sara’ Peshawar la mia prossima meta.

Prima di quel giorno Tabata ed io pensavamo di andare a Zanzibar, a riprenderci dallo stress dei nostri uffici e delle nostre carriere.

 
Poi tanto cambiera’ tutto di nuovo e chissa’ dove andremo a finire.

 
Un saluto a tutta la cascina, in particolare a Giorgino.

P.S. A me’ continuano ad arrivare un sacco di Track back su post vecchi. Vuol dire che ci hanno bombardato il sito?

Nairobi

Ciao amici.
Come vedete ora che ho smesso di viaggiare la vita diventa piu’ monotona, non ho molto da raccontare poiche’ le giornate si ricalcano sempre piu’.
La nostra ricerca di lavoro non sta dando i suoi frutti. Mi dicono di essere paziente e lo sono. Non sopporto andare in giro a dover quasi elemosinare un lavoro. Io mi presento, la gente e’ molto disponibile. In ufficio vedo tante persone, spesso giovane, alla quale e’ stata fatta inizialmente fiducia. A me’ dicono che vedranno se mi trovano qualcosa. Sembra quasi che io stia chiedendo favori mentre invece penso di poter dare un contributo nel campo della cooperazione.
In realta’ un piccolo lavoro lo ho trovato, solo che e’ gia’ finito.
Gli scandalosi telegiornali italiani penso non abbiano quasi parlato del Social Forum di Nairobi. Lo faccio io.
Ho scritto un articolo al giorno per una ONG italiana, world-friends, li dovreste trovare sotto la sezione Diario, cliccando su “leggi il blog di world friends”.
Tabata ora e’ in Italia, a Pavia fino al 9.2, pronta a tornare per trovare il suo lavoro.
 
Ciao

Nairobi

Eccoci qua, finalmente “a casa”, a Nairobi in Kenya.
Scappati dall’India oramai saturi abbiamo finalmente riscoperto l’uso dei materassi, delle docce calde, delle posate,  e del benessere generale che costituisce le nostre solite vite.
Siamo felici di aver finalmente posato lo zaino e di ritrovarci in quello che per noi va considerato un paradiso di ordine e pulizia, di silenzio e pace.
Strano ma vero, una capitale africane puo’ essere vista cosi quando si arriva dall’India.
 

Il mio ultimo post trattava Auroville, a circa 3 settimane dal termine del nostro tour indiano. Da li siamo passati per Gokarna, una tappa fissa dei miei soggiorni asiatici. Un posto tranquillo e bello dove la gente non applica ancora la filosofia del “spulcia il turista fino all’osso, succhiagli le energie e prendilo per sfinimento che qualche rupia la guadagni”. Quest’ ultimo e’ stato il live motive del tragitto che ci separava da Delhi.
Arrivati in Rajasthan siamo dovuti scappare dalla calca dei commercianti e cagacazzi per rintanarci nel fondo del deserto dei tartari dove abbiamo passato due giorni a non fare nulla, passeggiando per le dune. Lo scenario, fino all’orario del tramonto, era idilliaco. Dopo, dalla vicina Jaisalmer, arrivavano le orde di turisti per ammirare il tramonto.
La dinamica di questa “meravigliosa esperienza”era per noi contemporaneamente comica e patetica:
Nascosti dietro ad una lontana duna solitaria ammiravamo lo spettacolo dei pullmann turistici che arivavano strombazzando nella polvere del deserto. Questi si fermavano a poche centinaia di metri dalla duna prefissata affinche’ i suoi passeggeri potessero godere della indimenticabile e romantica esperienza del tramonto col cammello.
Gruppi di decine di trasparenti turisti occidentali scendevano dal bus con le loro belle tenute safari nuove per percorrere i 100 metri che li separavano dalla meta a dorso di cammello. Dopo una strenuante contrattazione la carovana partiva per il suo viaggio. Per ogni cammello un turista, per ogni turista un uomo che tira e uno spinge, un bambino che vende patatine ed un secondo bibite. I meno intrepidi hanno potuto optare per un carrello (tirato dal cammello frustrato da 3 indiani).
Dopo 5 minuti si raggiungono le dune, il tempo di scendere dal cammello e voltarsi verso il sole calante che la calca di bambini con collane,  musicisti che impongono le loro performance e rompiballe assortiti, gli ostruiscono completamente la vista. Vengono pagati affinche’ se ne vadano.
Nel mentre i pullmann hanno raggiunto le pendici della duna e, con un concerto di clacson che si sente fino a Delhi, richiamano i loro portafogli ambulanti nel ventre della cassaforte. Il polverono riporta l’animalus turisticus nella vicina Jaisalmer lasciando a noi, che timidamente emergiamo dal nostro nascondiglio, tante meravigliose aiuole di coloratissima plastica.
Divertiti ed afflitti ci incamminiamo verso la nostra capanna, dove accendiamo il fuoco e ammiriamo un celo ancora molto bello.
Pensiamo: per foruna che ne i turisti ne gli indiani hanno ancora imparato a volare.
 

Raggiunta Delhi abbiamo tentato di ottenere un visto kenyano. Il nostro biglietto di sola andata, a detta dei funzionari kenyoti, non ci avrebbe portati da nessuna parte. – Il governo del kenya esige un biglietto di ritorno, in assenza di questo non viene concesso il visto e la compagnia aerea non ti fa salire sul volo per Nairobi-.
Queste le parole del funzionario agli addetti visti. Una ragazza kenyana della mia eta’, piu’ tirata di Naomi Campell e assente dal suo ufficio per l’ultimo mese. (piu volte avevo provato a contattarla via telefono). La sua Lexus 4×4 posteggiata sul marciapiede lascia intendere la sua “nobile provenienza”. Certamente la figlia di uno stimatissimo corrotto Kenyano.
Noi invece siamo andati in aereoporto, senza visto e col nostro biglietto, siamo saliti sul volo e ora siamo qui.
 

Dall’Italia al kenya, via India:
 

4 mesi e ½  in cui abbiamo speso 1000 euro incluso visti, regali di natale e un biglietto per il Kenya.
Mesi intensi e formativi ricchi di sorprese, divertimento e avventura, che ci hanno portati in posti dei quali in pochi possono parlare.
Il tutto al costo di due settimane di vacanza a 100 km dalla casa dei piu’.
Se qualcuno, oltre che dirlo, ha veramente pensato che viaggiare sia la cosa per lui, non ha scuse. Il viaggio e’ semplice, e’ alla portata economica di chiunque ed e’ la cosa che piu’ insegna nella vita. Ho la presunzione di dire questa cosa.
Scegliete il vostro mondo, inforcate la vostra bici, caricate il vostro zaino oppure girate la vostra chiave. Il resto andra’ da se’.
 

Ora restiamo qui un po’ di tempo:
Tabata deve farsi passare il mal di schiena mentre io devo curare sia una infiammazione al petto che la Giardia.
Devo recuperare 7 kg e trovarmi un lavoro.
 

Alla prossima.

Tabata e il Cibo

Dall’Italia all’India via terra, il salto di qualita’ e’ vasto ed interessante.

Tutto il mondo sa’ quanto gli italiani siano abituati a mangiare tanto e bene.

L’ultima pastina scrausa la abbiamo mangiata in Grecia, cucinata da noi in un minipentolino e con un fuocherello fatto dal piu bravo “uomo della foresta”, dopo cio’… benvenuto fritto!

Dalla Turchia ed Iran che, come arte culinaria offrono ben poco, ci siamo ritrovati sommersi da Sambusa, Pokora, Gylabi e altre pastelle fritte dello stesso genere ma con ripieni differenti. La prima volta ci devi stare molto attento, un Samusa al giorno e’ poco ma due sono troppi e la caghetta e’ assicurata ! Queste pallette informi sono un concentrato di grassi vegetali ed animali dal sapore indefinito, ma sono le classiche cose che trovi ogni dieci metri dall’Iran all’India senza interruzione.

Il Pakistan oltre a questo ci ha offerto un (inizialmente buono) Dahl, ossia piccoli ceci in zuppa con piu’ olio che non Ceci. Buono la prima volta, buono la seconda ma odiosi dopo aver passato 40 giorni ad ingurgitarlo.

Finalmente poi siamo arrivati in India, qua la cucina non e’ il top, ma almeno abbiamo piu’ varieta’ di piatti (rigorosamente vegetariani). Il Thali e’ quel che va per la maggiore, piatto economico ma redditizio, un insieme di riso e Dahl (cucinato con meno olio) e, come contorno, due diversi tipi di vegetali.

Per cio’ che riguarda i dolci sono uguali dall’Iran fino all’India. Pastelle della consistenza di biscotti molli di colori diversi, forme diverse, ma con tutti lo stesso sapore. Aiuto !

Dimagrire ? Non se ne parla ameno che non si pratichi il digiuno la tua super quantita’ di Olio e insalubrita’ e’ assicurata.

… Ah come mi manca la cucina di mamma !

Auroville

Il mio ultimo post voleva parlare della bella esperienza che e’ stato il nostro trekking nepalese. Purtroppo mi sono dilungato su quanto lo ha preceduto ed adesso gran parte della contentezza ed eccitazione da questo creata e’ svanita. Le nostre menti si sono riempite di novita’ ed il ricordo di quel trekking e’ oramai sopito sotto la mole delle nuove esperienze da noi vissute.

Vorrei trattare due argomenti, ma dubito di riuscirci. Intanto vi riassumo i nostri spostamenti:

Pokara-Katamandu

Katmandu-Boghdaya: e’ questo il posto dove il principe Siddharta e’ diventato il Buddah ed e’ qui che ogni paese buddista ha una sua importante rappresentanza sotto forma di monastero e monaci.

Bodghaya-Calcutta

Calcutta-Pondycherry

Auroville.

Mia madre chiedeva spunti profondi, provenienti da un mondo dove questi, volendo, ti assalgono da ogni lato. Non ne parlo, questo e’ vero, ma pur considerandomi la razionalita’ fatta a persona non posso certo sottrarmi dall’osservare, elaborare e tirare le mie conclusioni.

Ho maturato varie idee e penso che annoierei i piu’ se mi dilungassi su questioni spirituali. La spiritualita’ e’ una costante di questo viaggio e io mi limito ad osservare con il mio estremo criticismo stando ben attento a non lasciarmi trascinare come purtroppo accade a molti.

Un tema interessante riguarda la meditazione poiche’ questa non e’ legata ad alcuna dottrina ed e’ pensata come il modo attraverso il quale l’uomo impara a conoscere se stesso e quindi Dio. La cosa bella e’ che questo Dio non e’ un Dio, ha diversi nomi ed appartiene a tutti. Si tratta forse dell’Uno dei nostri primi filosofi e sta a rappresentare quella forza cosmica da qui tutto deriva.

L’argomento mi e’ molto confuso ma quel che mi e’ chiaro e’ come la meditazione sia alla portata di tutti (qui tutti meditano) ed ognuno raggiunge il suo piccolo obbiettivo.

Per noi chi medita deve seguire un percorso prededefinito che deriva dalla sua dottrina, in India invece ognuno medita per trovare la propria strada e chi ha successo raggiunge la stessa piazza, indipendentemente dal percorso seguito.

Detto questo non posso negare che il mio unico personale successo in campo meditativo e’ stata la stoica resistenza ad un attaco zanzarifugo di 30 min. Penso pero’ che la capacita’ dio passare tanto tempo a farmi succhiare il sangue non sia un successo da attribuira all’India quanto piuttosto al ben piu pragmatico passato Pavese.

Mentre con gli occhi chiusi cercavo di fissare la radice del mio naso non potevo far altro che pensare al Milan, in fondo alla classifica e privo di San Shevcenko.

Insomma rimango sempre io ma il tema mi interessa e mi prometto di cercare maggiori successi non appena trovo qualcuno capace di spiegarmi come non pensare piu’ al Milan.

Ritornando a questioni spicce ora vi parlo di Auroville:

E’ questo un posto scaturito dalla idea di una donna francese nata nell’ottocento e morta trent’anni fa. La madre era discepola di Sri Aurobindo, un importante filosofo riconosciuto tale anche dalla cultura occidentale. La madre, negli anni sessanta, ha concepito un posto dove tutti dovevano vivere al di sopra delle differenze, un posto aperto dove ognuno venisse messo in condizioni di coltivare i propri interessi senza dover scendere a patti con i dictat di nessuna societa’.

Oggi questo posto esiste e si chiama Auroville. Qui abitano 2000 persone provenienti da ogni angolo di mondo. Ad ognuno e’ stata data della terra e questa e’ stata usata nel migliore dei modi. Nonostante quanto si possa pensare non si tratta per nulla di un posto di ex hippye. Abita qui bellissima gente che si propone come obbiettivo quello di vivere in comunita’ all’interno della grande comunita’ che e’ Auroville.

Come conseguenza della liberta’ di espressione e sperimentazione al di fuori del circolo di produttivita’ e consumo, Auroville e’ oggi all’avanguardia nell’uso di tecnologie pulite che vanno da case ed energie sostenibili ad un intero stile di vita sostenibile. La citta’ viene spesso chiamata a dare il suo contributo a seguito di catasrofi quali lo Tsunami ed i meno noti terremoti del Gujrat (India) e di Bam (Iran)

I piu’ vivono in bellissime case con tutti i comfort ma molti prediligono una vita semplice dove ognuno gode di quanto gli altri hanno loro da insegnare.

Mi sono stufato di scrivere questa introduzione equindi vi invito a cercare Auroville su Google.

Tabata ed io abbiamo passato una settimana nella comunita’ di Solitude dove abbiamo dormito nella piu bella capanna in cui sia mai stato e dove ci siamo sfamati di solo cibo organico proveniente dalla farm. Il tutto ovviamente gratis poiche’ il profitto non interessa a nessuno. Qui abbiamo lavorato i campi come ai vecchi tempi, strappando a mano le erbacce che infestavano il riso.

La farm e’ nelle mani di Krishna e Deepa. Lui inglese e lei indiana. Una bellissima coppia di rispettivamente 33 e 23 anni.

Krishna e’ arrivato ad Auroville quando aveva 19 anni e da li si e’ dedicato a sperimentare vari tipi di cultura che non richiedessero sostanze chimiche e dispendio di acqua. Auroville gode di molto credito da parte di diverse universita’, sopratutto americane, che mandano qui i loro studenti ad imparare su agricoltura, ingegneria e altro ancora.

Gli altri aurovilliani sono ben felici di mangiare da Krishna in cambio di un contributo perche’ sanno che cosi facendo sostengono una buona causa. Allo stesso modo altri sono contenti di farsi costruire una casa o un mulino dal centro di ricerca scientifica poiche’ cosi facendo sanno di finanziare la ricerca.

Auroville e’ un esperimeto riuscito, un posto che si sostiene come una normalissima citta’, un posto dove la gente cresce i figli in ottime scuole e dove tutti sembrano essere sempre felici. Un posto dove tutti danno il meglio di se’ poiche’ porta ognuno a trovare la sua strada e lo motiva a fare del suo meglio. Un posto dove tutti lavorano e dove l’ingegnere e l’avvocato sono sullo stesso piano del contadino. Il contadino ha infatti deciso di essere tale pur avendo potuto essere a sua volta avvocato.
A solitude Tabata ed io abbiamo difeso il nostro tricolore: abbiamo fatto Pesto in quantita’ industriali, cucinato Gnocchi al sugo e quattro bellissime pizze cotte al forno a legna. Si trattava degli esperiementi che ogni Aurovilliano e’ naturalmente inclinato a sostenere, esperimenti che anche per noi sono stati una grande soddisfazione.

Krishna ha sperimentato la cultura del Basilico non nota agli Indiani, un ragazzo egiziano ha creato un forno a legna con del fango che le nostre pizze hanno battezzato mentre noi ci siamo sbizzariti nel sostituire gli ingredienti con quel che la terra ci poteva offrire. Il tutto e’ stato un gran successo.

Siamo stati ad Auroville una sola settiamana ma grazie a quelle che per molti possono sembrare stupidate abbiamo avuto modo di capire pienamente lo spirito di questa gente.

Ora siamo in partenza, stiamo andando in Kerala, una regione marittima a me’ ancora ignota.

Ciao

From India to nepal

Il tempo passa veloce, le vicissitudini alle nostre spalle sono numerose. Nonostante la intenzione iniziale di raccontare i vari passi del nostro cammino mi trovo costretto (fondamentalmente per pigrizia) a compiere grandi balzi che lasciano buchi nella nostra storia.

Il mio ultimo serio post raccontava della valle di Swhat, verdeggiante luogo montano pakistano dal quale siamo oramai partiti piu’ di un mese fa.

Nel mentre abbiamo attraversato due nuovi confini, siamo stati nel templio d’oro dei Sik e nella capitale del governo tibetano in esilio, Dharamasala. Qui abbiamo avuto l’onore di vedere sfrecciare un omino vestito di arancione, alzava le mani da dietro il paerabrezza per salutare il suo popolo. Il Dalai Lama, i tibetani ed il Buddhismo sono stati per noi una parentesi molto interessante.

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Soldato indiano al confine pakistano

  Dalle montagne di McLeod Ganj siamo quindi scesio verso Chandigarh, una citta’ costruita ex novo negli anni 50 dall’architetto Le Corbusier. Un posto molto interessante il cui impianto urbanistico e’ degno di attenzione anche dai non addetti ai lavori.

Qualche settimana fa abbiamo invece fatto il nostro tuffo nella piu vera India: Ho catapultato Tabata in una delle citta’ piu’ vecchie al mondo, ancora oggi certamente una delle piu’ sante. Varanasi, un tempo, Banares, e’ uno dei posti dove l’India concentra tutta se stessa. Qui il Gange e’ il centro della vita ed e’ uno dei fiumi piu’ inquinati al mondo. Qui si vedono galleggiare, oppure bruciare cadaveri, qui gli indiani ti fischiano continuamente nelle orecchie le loro offerte cher vanno dalle piu’ esotiche delle droghe, alle piu’ giovani delle prostitute fino ad innoque ma persistenti proposte di giri in barca, massaggi, magliette e cagate varie.

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Pittori lungo il Gange

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Santone (al contrario) che contemple il suo fiume

I vicli stretti della enorme citta’ vecchia dove le scimmie, i cani e le mucche, diventano il traffico che intasa le strade, dove non puoi sottrarti alle attenzioni degli avvoltoi appollaiati sui trespoli dei loro negozi, diventano pero’ insopportabili una volta superati i tre giorni.

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Tabata bellezza di Varanasi

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By the Ganges by night

Dopo Varanasi serve pace e tranquillita’, serve natura e pulizia, serve una capatina in Nepal.

Ora siamo a Pokhara, seconda citta’ del Nepal al confronto della quale Pavia sembra Mexico city. Mentre scrivo da sotto la tettoia del nostro albergo ho davanti ai miei occhi un pianta di Papaya (in realta’ decisamente tra le balle perche’ ostruisce la vista) ed il bellissimo lago con le colline giunglose che lo abbracciano.

Quando vedo questo grande specchio d’acqua, pulito come non mai, non posso che pensare a mio padre che a quest’ ora lo avrebbe gia attraversato almeno 5 volte.

La settimana scorsa abbiamo preso una barchetta e, muniti di cibo, rigorosamente in costume, ci siamo cimentati in un remata, piknik e bagno con le montagne innevate dell’Annapurna alle nostre spalle. Dopo tanto relax ci siamo detti che era tempo per un po’ di dinamicita’, era tempo di lanciarsi in un esperienza completamente nuova della quale tanto avevamo parlato ma mai avevamo seriamente intrapreso. Il trekking e’ una figata. Non avendolo mai fatto non avevamo idea di cosa comportasse se non delle lunghe passeggiate. Ora, seduto sotto la solita tettoia, con le vesciche ai [piedi ancora bollenti (Tabata vanta invece due buchi sui talloni), tiro le somme della nostra scampagnata di 5 giorni.

Ho viaggiato in vari modi e con vari mezzi ma mai esclusivamente con le mie gambe. E’ stata questa la bellezza del nostro Trekking; avere camminato 6 ore al giorno laddove camminare era la unica possibilita’, raggiungendo le nostre mete la sera avendo la serenita’ e stanchezza di chi e’ immerso nella natura e non puo’ che seguirne le regole. Abbiamo attraversato  foreste, vallate e ponti, costeggiato fiumi e visto innumerevoli cascate. Passando per pittoreschi villaggi dove negli orticelli non mancavano mai piante di Maria e dove vecchiette di 70 anni davano filo da torcere a Bob Marley. Siamo saliti e scesi da numerose montagne, percorrendo circa 60 km in 5 giorni e raggiungendo i 2750 metri. Abbiamo preso parecchia acqua e siamo stati bene come non mai.

Non posso negare che il percorsso da noi seguito e’ probabilmente uno dei piu’ battuti al mondo, questo comporta la possibilita’ di trovare villagg, cibo e pernotto a circa ogni ora di cammino, significa incontrare spesso altri turisti e significa che si tratta di uno dei sentieri migliori per neofiti quali noi. Ciononostante, avendo deciso di spingerci oltre la nostra meta iniziale, ci siamo spesso trovati soli eccezion fatta per i villaggi dove ci fermavamo a dormire.

Il nostro bagalio consisteva di due piccoli zainetti, uno dei quali esclusivamente ontenente cibo. Sapendo che il costo del ristoro sarebbe stato alle stelle abbiamo fatto una astutissima spesa che ci ha portati a spendere 2 euro al giorno complessivi (vitto e alloggio) contro i 10 euro medi che la gente e’ costretta a lasciare nelle varie guest house.

Del Trekking ho detto poco ma ora sono stufo. Se ce la faccio lo riprendo la prossima volta.

Ciao. Buon lavoro e buono studio a tutti.

Saluti a tutti.

Saluti dal…………….Nepal.

Siamo nella cittadina di Pokara, in riva ad un bellissimo e tanto pulito lago che ci si puo addirittura fare il bagno.

La vegetazione e’ fantastica, il paesaggio anche. Se le giornate fossero serene si potrebbero vedere i vari monti dell’ Annapurna.

Ieri abbiamo aperto, o meglio spaccato come due cocomeri, i nostri polmoncini padani. Una piccola salita di 1km che, tra andata e ritorno, ci ha fatti scarpinare per 7 ore.

La foresta e’ rigogliosa e la natura in cui sei immerso ti fa sentire veramente bene. Posso dire, per quel poco che ho visto, che il Nepal e’ uno dei piu bei posti che ci siano.

I nepalesi sono bella gente e la qualita’ della vita e’ relativaemente elevata. Le stanze sono pulite e vantano una oramai a noi sconosciuta “24 H hot water”.

Se la meta di molti overlander e’ il Nepal posso capire il perche’, significa fine dei patimenti ed inizio della pacchia.

Ci stiamo piano piano organizzando per intraprendere un modestissimo trekking di qualche giorno. Fedelissimi alle nostre Birkenstok (infradito per gli ignoranti) non supereremo i 2000 metri. Arriveremo a Tatapani, una delle prime tappe del circuito dell’Annapurna. Tra andare e tornare dovremmo metterci un 3,4 giorni. 

Temo che il Nepal ci portera’ via un bel po di tempo. 

E’ nostra intenzione uscire dall’est e quindi tornare in India dal west Bengal. Tra Pokara e Katmandu non c’e’ molto dal punto di vista urbano ma un sacco da quello naturalistico. Stiamo meditando una puntatina sui confini di un importante parco nazionale. Pur non entrando (e non dover quindi sottostare alle sue regole, ossia biglietto, jeep, eccetera) dovremmo riuscire a vedere qualchecosa con il nostro fai da te’. 

Pero ora vi saluto. 

Questa bloggata e’ molto modesta e spero di riuscire a riempire il buco dal Pakistan sino a qui quando saro’ arrivato a Katmandu. 

Il mio “editore”, Priscilla, chiede commenti.  

Forza, non fate gli stronzi, scrivere due righettine non vi costa nulla. 

  

Ciao

Tabata says: “WELCOME TO INDIA”

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Cerimonia chiusura confine

Il giorno 28 Luglio cosi scrivevo nel mio diario:
“Golden Temple, Amritsar
  Non potevo aspettarmi un piu’ bell’ingresso in India…. “
Dal nulla un tripudio di colori, suoni, musica e donne bellissime hanno circondato noi ed i nostri modesti zainetti. Un salto dal noioso e musulmano Pakistan al vivace e colorato mondo indiano. Da questa parte della cancellata, dopo aver sbrigato le solite pratiche di confine, abbiamo aspettato la cerimonia di chiusura dei cancelli e relativo ammainamento delle bandiere.
La chiusura e’ stata un vero e proprio spettacolo con un bravo show man ed un calorosissimo pubblico composto da turisti stranieri, indiani e gruppi scolastici. Da entrambe le parti, mentre i militari compivano i loro solenni rituali, il pubblico cantava ed incitava i propri soldati. Ovviamente non c’e’ stato paragone, mentre il povero Pakistan aveva una tifoseria di 30 spettatori, l’India ne contava almeno 500. Il tutto e’ durato circa 45 minuti ed in conclusione i militari si sono stretti la mano, hanno ammainato le bandiere con sincronia svizzera in modo che nessuna bandiera fosse mai piu’ alta dell’altra ed hanno chiuso i cancelli.
WELCOME TO INDIA !
La notte siamo stati ad Amritsar ed abbiamo potato, come al solito, per l’opzione di pernotto piu’ economica.
Un dormitorio gratuito nel Golden Temple fatto apposta per i pellegrini in visita. Il mangiare nella mensa commune, da noi scherzosamente definite “dei poveri”, dove chiaramente abbiamo sfamato le nostre bocche, e’ stata un’ esperienza veramente indimenticabile.
Il tempio e’ gestito da centinaia di volontari, la religione e’ quella Sik, una minoranza in India dove i piu’ sono Hindu.

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Goden Temple


Per tutto il perimetro esterno, interno e nei dintorni del Tempio, ci si immerge in una musica cantilenante e tranquilla, molto piacevole da ascoltare che, regalandoti una confidenza e un senso di casa incredibili, ti coinvolge da subito. La gente e’ parte integrante di tutto cio’.
Nonostante nel Tempio ci siano circa 20.000 visite al giorno e nonostante l’India sia molto caotica, all’interno di questo luogo santo vige la tranquillita’ e l’ordine, un posto speciale insomma.
Passati 2 giorni in questo luogo siamo partiti alla volta di Mcleod Ganj il luogo dove si e’ rifugiato il Dalai Lama dopo essere scappato dal Tibet negli anni ’60.

 

 

Da Chitral a Swat

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E’ bene ricordare che lo Shangrilla si trova in Pakistan.
Questo posto mitico sospeso tra le nuovole dove la gente non invecchia mai ha alimentato i sogni di molti portando i grandi esploratori dei secoli avventurosi ad incontrare queste montagne nel loro viaggio verso l’Utopia.
Per essere precisi lo Shangrilla andrebbe collocato nella regione di Hunza, meta del mio precedente viaggio Pakistano, ma, vista la breve distanza da Chitral, mi piace pensare che il paradiso appartenga ai Kalash.
Ovunque un tripudio di acqua. Non solo un limpidissimo fiume ma una serie di canali che sempre ti costeggia e taglia il cammino. Tutto e’ di dimensioni limitate e di una armonia naturale che non puo’ che renderti sereno. I bambini raccolgono le noci, gli adulti lavorano i campi, l’acqua scorre trasparente sopra sassi e canaline di legno, la mucche, le capre e le galline pascolano liberamente poiche’ qui, la sera, ogni animale sa di dover tornare a casa. Persino il saltuario rombo dei potenti Land cruiser del 70 (circa uno ogni tre ore) sembra disperdersi nel perenne gorgoglio di Bumburet (una delle tre vallate che costituiscono la valle Kalash).
Qui tutti sono sereni, gli erbivori in particolare. Sempre nelle montagne si respira odore di Marijuana, cresce selvatica ed e’ certo per questo che mucche e capre sembrano tanto felici.
Siamo stati a Bumburet per soli tre giorni spendendo quotidianamente 40 centesimi per dormire e 60 per mangiare. Il Paradiso e’ decisamente piu economico del nostro Inferno.
Nell’ultimo dei nostri giorni presso i Kalash abbiamo raggiunto il villaggio dei nuristani. Questa gente arriva per l’appunto dalla regione Afghana del Nuristhan dalla quale distavamo di soli pochi km, o meglio di una montagna. In una casa del villaggio abbiamo goduto di grande ospitalita’ passando due piacevoli ore con una famiglia piena di sporchissimi e simpaticissimi bambini. (Padre e figlia sono ritratti nella foto del precedente post).
I Kalash, con i loro copricapi colorati, visi aperti e solari, sono una cosa troppo diversa per poter sopravvivere ancora a lungo. Uomini e donne sono apparentemente sullo stesso piano e queste ultime ti gridano il loro saluto (Shpota !) per poi venirti a stringere vigorosamente la mano e abbracciarti con forza. Il Pakistan purtroppo e’ talebano e fondamentalista, la gente spesso e’ ottusa ed e’ per questo che le donne che si vedono in una settimana possono contarsi sulle dita di una mano. I Kalash un tempo erano molti di piu’ ma, non potendo molti accetttare la esistenza di tanto colore, o meglio di Pakistani non Musulmani, e’ stata intrapresa nei loro confronti una campagna religiosa degna dei peggiori Gesuiti.
Oggi la regione e’ abitata da un misero 30% di Kalash mentre il restante 70% e’ costituito da convertiti e da coloro i quali hanno abbondonato i luoghi troppo affollati.
Purtroppo, secondo molti, il tempo dei Kalash e’ venuto e gli eredi di Alessandro sono condannati a sparire nell’arco di un ventenio.
Alla valle Kalash abbiamo dovuto prendere una risoluta decisione: Lasciare quel suono che oramai aveva ovattato i nostri cervelli, rallentando metabolismo e mente, per andare in contro a quella che e’ purtroppo la vera dimensione del ventunesimo secolo. Strade, clacson, traffico, rumore.

Siamo tornati a Chitral da dove all’indomani ci saremmo mossi per Swat

Pakistan

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Vi avevo lasciati nel desertico Iran, ora vi riprendo dal verdeggiante Pakistan.
Attraversato il deserto del Baluchistan, che da Zahedan (Iran) ci ha accompagnati quasi fino a Peshawar, ci troviamo ora nelle meravigliose, imponenti e avventurose montagne pakistane.
La strada per l’Iran si e’ chiusa alle nostre spalle non appena arrivati a Peshawar. Nei due giorni in cui abbiamo attraversato la zona calda del Baluchistan e’ infatti stato ucciso il cosidetto leader dei ribelli, il Sig Bugti.
La regione del Baluchistan, pur essendo brutta, e’ ricca di gas naturale ed e’questo il motivo per il quale gli viene negata maggiore autonomia, se non addirittura la indipendenza, da Islamabad.
L’assassinio da parte del governo e’ stato la scintilla che, da Quetta a Multan, ha dato il via ad una serie di manifestazioni portando l’esercito ad isolare per svariati giorni la regione dal resto del Pakistan.
quando siamo saliti sul nostro colorato bus Quetta-Peshawar, ereavamo stati ripresi assieme agli altri passeggeri da una telecamera. Tabata sosteneva che fosse per un eventuale riconoscimento del cadavere, mentre io pensavo che fosse per scovare eventuali criminali a bordo.

Dei seguenti 4 giorni passati a Peshawar uno e’ stato dedicato ad un misto di shopping e kung fu, e uno invece ci ha portati in quello che il Lonely planet chiama ” il far west pakistano”.
In un caso ho dovuto difendere a calci e pugni il sedere della mia mogliettina dalle manate di frustratissimi e stupidissimi pakistani. Nonostante infatti non si sognerebbero mai di sfiorare una donna locale, pena un rapidissimo linciaggio da parte della folla, sembra invece che nel corso degli anni abbiano imparato che le loro azioni rimangano impunite quando rivolte agli stranieri. Penso di aver contribuito a sfatare questo mito e la vicenda mi ha anche reso piu’ ricco del cellulare volato dalla tasca del “mano-morta”.
Il far west pakistano va invece sotto il nome di Darra ed e’ costituito da una cosidetta zona tribale dove si dice vengano quotidianamente prodotte 2000 armi. Principalmente pistole Kalashnikov e fucili a pompa.
Le zone tribali in Pakistan sono numerose e sono costituite da tutti quei posti che, per motivi vari il governo non e’ mai riuscito a controllare completamente. In questa vige la legge tribale, il che significa che la legge se la fanno da se. Non e’ dunque un caso che in esse vengano prodotti hashish oppio e armi.
Le Tribals Areas teoricamente sono off limits per gli stranieri, mentre in pratica sono accessibili se si e’ capaci di usare argomenti convincenti con i poliziotti che ti dovrebbero rimandare a casa.
A Darra abbiamo visto come, con un forno a legna ed una lima, ti costruiscono un Kalashnikov in tre giorni, abbaimo sparato con la riproduzione di una beretta ed io, purtroppo, non ho saputo resistere al fascino della Pen gun. Quella che si presenta come un innoqua penna e’ infatti capace di sparare un proiettile calibro 12. Un gadget da James Bond insomma che mi sono dovuto per forza fare regalare da Tabata per il mio oramai prossimo compleanno.

Da Peshawar abbiamo proseguito per le ormai ambitissime montagne pakistane con prima tappa Chitral:
un posto piacevole, relativamente pulito e pieno di gente cordialissima, un posto dove le tracce dell’antica presenza coloniale inglese, sono decisamente ancora nell’aria. Qui si gioca infatti al “Gioco dei Re” ( oppure Re dei giochi ) intendendo con esso il polo selvaggio dove tutto e’ concesso, e sempre qui si possono trovare gli unici pakistani che amano correre dietro un pallone.
La citta’ di Chitral da il nome ad un’ intera regione che, rapportata al XXI secolo, puo’ dirsi difficle da raggiungersi.
16 ore di pulmino (N.B. pulmino pensato da 9 posti ma magicamente diventato da 19) su una strada che da noi la gente non oserebbe affrontare nemmeno con un big foot, una strada sterrata che si arrampica tra montagne infinite dalle quali regolarmente cadono le porzioni che bloccano la via.
In questo viaggio Tabata ha ancora dimostrato la sopportazione di un fachiro eunuco riuscendo a convincere la sua chiappa sinistra che pur poggiando sul parafango non se la passava peggio della sua controparte sul sedile.
Dopo due interessanti giorni passati a Chitral citta’, siamo andati alla scoperta di quella che e’ certamente una delle vallate piu’ bella del mondo: il mondo dei puffi, meglio noto come Valle Kalash.
I Kalash sono un popolo colorato, di pelle chiara, capelli biondi e occhi azzurri. La teoria piu’ accreditata vede in loro i discendenti di Alessandro MAgno, o meglio di quei soldati che hanno deciso di fermarsi in questo paradiso.

Da Madyan, Swat Valley, vi saluto

ITALY TO IRAN

Deserto.
Dalla Kappadokya turca sino ad Ardabil, Iran, solo il deserto ha accompagnato il nostro sguardo. A nulla e’ valso inerpicarsi sulle montagne, raggiungere l’arroccato castello di Babak, IIX secolo.
Niente ha potuto regalare colore ai nostri occhi.
Ovunque, inesorabilmente, solo deserto. Anche in montagna.
Questa terra secca di rocce roventi nasconde i suoi tesori al resto del mondo. Il cuore delle genti e’ buono e la bonta’ infinita, la cultura della cordialita’, della correttezza senza limiti. Questa verita’ oltre che scioccante diviene triste quando confrontata a quanto la pregiudizievole ignoranza occidentale, alimentata da calunniosa propaganda, continua a voler pensare di questo paese.
Isolato dalla economia mondiale, dalla maggioranza dei flussi di comunicazione, il popolo iraniano sa di passare per pecora nera del mondo. Sa anche di non meritarselo e la tristezza traspare quando ti vien posta la ricorrente domanda:
– Mi scusi signore, mi dice cosa pensa la sua gente di noi iraniani ? –

Immagina un mondo dove la gente ti sussura timidamente il benvenuto quando passeggi sulle sue strade, un mondo dove, appena arrivato, sei costretto ad accettare il fatto che il tuo trasporto, il tuo cibo, il tuo te’, viene offerto da chi guadagna duecento euro al mese.
Immagina un mondo dove un taxista dopo quattro ore di guida rifiuta di essere pagato perche’ sei ospite nel suo paese.
Pensa come funzionerebbero i meccanismi che regolano la umanita’ se ognuno fosse disposto ad accompagnarti, aiutari, a fare il possibile per esemplificare le cose.
Ora non pesare piu’ a questo mondo, sarebbe una utopia. Pensa invece ad un paese.
Benvenuto in Iran

Siamo in viaggio da 12 giorni, reduci da fatiche e varie esperienze poitive ed appaganti.
In Grecia abbiamo conosciuto una strana signora che ci e’ stata di grande aiuto. Siamo stati ospiti di Elena, pisana di adozione, greca di nascita. La sua casa a Drama rimane chiusa per dieci mesi e quando torna il giardino e’ invaso dalle erbacce, i calcinacci ricoprono il pavimento.
Qui per lavarsi si riempono le pentole alla fontana del vicino parco, le si scalda sul fuoco e ci si giostra tra i vari barattoli che abitano il bagno.
Elena ci ha portati ad Iracliza, ci ha indicato una spoiaggia dove, con la zanzariera e qualco ferraglia raccattata in giro, abbiamo improvvisato un accampamento con tanto di pasta cucinata sul fuoco.
Una serata speciale, una notte insonne, un’alba bellissima e un bagno mattutino. Guidati dal caso che da questa spiaggia deserta ci portera’ sino in India.
Italia, Grecia, Turchia e quindi Iran. Una volata con sosta in Kappadokya per vivere in una piccola grotta che per due giorni diviene la nostra casa. Fresca e tranquilla, scavata nel tufo che e’ il muro del nostro ostello.
Adesso finalmente Iran. Finalmente lontani dal nostro mondo, dal “primo mondo”, dai nostri canoni, dai turisti che invadano ogni angolo di bellezza. Un mondo diverso dove la gente e’ speciale.
Le donne sembrano tanti Ninja oppure, come dice Tabata, tante suore. Solamente i cordialissimi poliziotti possonoi avere da ridire sul nostro vestiario. Nessun problema sul finto velo di Tabata, sulla camicia che non copre il sedere. Non vanno invece bene canottiera e pantaloncini che con finta ignoranza e gran disinvoltura cerco di introdurre come nuovo costume della republica islamica dell’ Iran.
Per ben due volte il mio tentativo di lanciare questa nuova moda e’ fallito. I poliziotti mi hanno fatto notare che si tratta di vestiario non consentito:
– Noi te lo dobbiamo dire, tu poi fai come ti pare. Scusaci. Benvenuto in Iran –
Stiamo viaggiando fuori dai sentieri battuti, nessuno parla Inglese e il trasporto e’ difficile da rintracciare. Solamente grazie alla onnipresente disponibiliuta’ riusciamo a raggiungere le nostre mete.
La mia compagna di viaggio, oramai promossa a moglie onde evitare lunghe diquisizioni su usi e costumi occidentali, si rivela essere una viaggiatrice provetta:
Turche che sembrano letamai e docce che sembrano Turche sono per lei solo ostacoli minimi. Con una buona dose di sopportazione, ciabatte alte un metro e mezzo e l’equilibrio di Bruce Lee, il tutto non e’ che normale amministrazione. Dormire per terra e’ oramai meglio di un materasso, camminare per ore con dieci chili sulle spalle e quaranta gradi all’ombra niente piu di una piccola passeggiata. Le nottate sui pullmann sono meglio della Disco.
Solo un problema sembra essere insormontabile: Lasciala sola per per trenta seconda e si addormenta !
Nonostante questo piccolo neo merita i miei piu’ grandi complimenti.

Saluti da Esfahan, prossima meta’, forse, Yazd.

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