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essere se stessi

 

 

dicono che gli artisti ci riescano attraverso la loro arte, ma è come dire che i pazzi ci riescono attraverso la loro pazzia.
L’arte come la pazzia, non si possono giudicare.
Io potrei dire che adesso non mi fa così paura che qualcuno possa accorgersi di quanto poco sappia. Tollero il mio corpo e non ho + timore che mi si possa vedere così come sono. Ma certo non è tutto. Io sono + di una semplice ammissione di pochezza. Sono anche una grande dimostrazione di forza, soprattutto ora che le cose mi appaiono agli antipodi pur sembrando identiche.
A chi fosse completamente a digiuno delle fattezze di un essere umano, come potrei descivermi? Dovrei poter vedere l’altro e in riferimento a ciò che di lui vedo spiegare me
Ecco perché è così difficile capirsi, noi non vediamo quasi mai l’altro, xché la sua volontà non è di mostrarsi, ma quell’altro siamo noi. Il mondo è fatto indiscutibilmente di tanti noi, dentro e fuori di noi.
Come una pianta che abbia germogliato senza pace, una pianta che ha raggiunto i confini del suo vaso e non ricorda + di essere se stessa vacillante nel vuoto, appesa penzoloni, quanto all’umida ombra di una massa simile a se stessa, che la sovrasta e la comprime a terra.
In questo esistere, che ci fa essere + grande di noi, non sappiamo vederci, non ci incontriamo +, separati da molti noi stessi che hanno messo al primo poto il diritto e la necessita di vivere e non quella di essere.
Se anche avessi compreso la malattia di questo corpo, non avrei fatto molta strada perché ancora non so da dove cominciare a conoscerlo e a far si che riconoscendosi ceda all’idea che ogni sua parte esiste anche se non vive o sopravvive, che le sue funzioni sono prioritarie rispetto all’unicità organica.
Come si spiega ad una cellula cancerogenache non c’è  +bisogno di lei?

xchè è come mi sento

Ho letto di te per caso e oggi per caso ho trovato questa.

La condivido con te…non so perchè! (?!)

 

 

VORREI SEDERMI VICINO A TE

 

Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,

ma non ne ho il coraggio:

temo che il mio cuore mi salga alle labbra.

Ecco perché’ parlo stupidamente e nascondo

il mio cuore dietro le parole.

Tratto crudelmente il mio dolore per paura

che tu faccia lo stesso.

Il mio cuscino mi guarda di notte

con durezza come una pietra tombale;

non avevo mai immaginato

che tanto amaro fosse essere solo

e non essere adagiato nei tuoi capelli.

 

Garcia Lorca

Mille sveglie ticchettanti

questa è una cosa molto difficile, non importa in che forma la debbo articolare, devo prima estrarla da me
istinto
proprio mentre sono lì,  sento che me ne devo andare, non ho voglia di dire nulla ne mi aspetto che mi si dica nulla
Poi quando sono lontana mi viene il dubbio che forse avrei dovuto chiedere di +, farmi spiegare…
E’ da un po’ che dico che non voglio + essere una sua paziente e mi chiedo perché
Poi oggi ho letto una frase a proposito di sveglie che funzionano occasionalmente e alle quali ci ribelliamo perché non ne capiamo il motivo
E poi ancora ho letto che queste sveglie sono solo una  procedura messa in essere dal maestro e dai suoi allievi per cercare un risveglio permanente dalla nostra condizione di dormienti.

Ragione
Se l’allievo non si affida al maestro, deve andarsene. …Ciò non gli farà alcun bene, ma …meno male della menzogna , della soppressione della verità, della resistenza o della sfiducia…
La fiducia è necessaria al risveglio, ma un cattivo maestro può produrre solo risultati negativi
Per raggiungere il risveglio bisogna convincersi di essere nulla
per rinascere bisogna morire prima di morire
Cosa farai per riportare almeno una parte di ciò che hai visto in uno stato di coscienza aumentato ,all’attuale stato di coscienza?

Sentimento
Ho bisogno di tutto eppure di niente.
L’amore terreno esiste per dare coraggio, a chi  non ne possiede, di amare se stesso
Sei autarchica hai solo due pori aperti e vuoi chiuderti anche quelli
Bisogna avere la forza di sollevare le palpebre e vivere senza compiangersi per innamorarsi ogni giorno di +
Queste sono le cose come vengono in un ordine leggero e profondo, come ciondoli di caramello,  che ti invogliano ad aprire la bocca, lunghi come pugnali che affondano e rimestano il poltaceo denso del mio desiderio di essere io 

Non c’è chiarezza, non quella chiarezza limpida e sequenziale che tutti desideriamo. Pezzi di metalli preziosi sul fondo di un secchio pieno di un liquido torbido giacciono insieme a viscide frattaglie e taglienti spezzature arrugginite.

La mano incerta non sa se ritrarsi o rimanere immersa, se muoversi o giacere in attesa.
Stanca 
Dormire per sempre  
Mille sveglie ticchettanti che molti prima di me hanno faticosamente caricato. 
Se sentirò la prossima mi sveglierò…  per un attimo…

the sea of the simulation

e se un segnale molto forte non servisse a raggiungere molte unità ma un unica unità molto, molto lontana?

Nel raggiungere quella controparte estrema, l’emittente sarebbe costretta a fare molto rumore, lasciando tracce incomprensibili di una comunicazione mirata a una moltitudine inconsapevole che recependo brandelli del messaggio si muoverà di conseguenza (causa effetto) creando di fatto, il destino di colui al quale il messaggio era diretto

No Time

No Space

another Race

of vibrations

the Sea

of the Simulation

http://www.youtube.com/watch?v=wJs1XJL-6S4

Natale senza Maya

 Quanta gente alla mia tavola, sono la mia famiglia eppure ho la sensazione di essere tra di loro come una lama affilata che soffre dei tagli che infligge a chi le si avvicina. E sono vicini, così vicini che posso sentire i loro cuori sussultare e la loro pelle fremere al + blando sfiorare. Nel mio petto un vuto, come l’attimo prima che la paura si trasformi in spavento.
Non sono i pensieri miei di donna che mi  lasciano sospesa in attenzione. Sono piuttosto tutti quelli che non so formulare eppure esistono e mi sorprendo a temere il peso di questi pensieri, + grandi di me, del mio cuore, del mio cervello e della mia volontà.
Chi sono io per provare tutto qusto?
E ancora i pensieri vagano senza ordine e tempo, come se stessero cercando ossigeno, come se dovessero lavarsi dopo aver percorso strade di dolore e di gioia, senza dolore e senza gioia, ma solo il nome di questo e di quella, che si è incollato ovunque come grasso di un anguilla.
cosa è la gioa e cosa è il dolore senza parole, contenitori, definizioni…ciò che si spalanca senza senza fine, ciò che si contrae all’infinito.
Così in alto, così in basso e io sospesa in mezzo, vuota come un guscio vuoto.

un buco nel bozzolo

Mentre guardo lo schermo luminoso della radiosveglia mi coglie impreparata il pensiero che io non so che aspetto ho.
Guardo il soffitto e cerco di usarlo come percorso stroboscopico per ritornare dai miei occhi, ben situati dentro di me, la mia testa, il mio cervello, a quel corpo allungato sotto il piumone. cerco di mettere insieme immagini come quella della telecamera della metropolitana che mi inquadra dal didietro e non so dire se ho il culo + grosso di quello che mi aspetterei di avere. Come quella dello specchio ieri mattina che ha rimandato una faccia appesantita dai segni del ridere, del piangere, ma soprattutto dello stupore di non sapere chi sono diventata. Poi quella delle mie mani con le unghie corte e lo smalto Mercedes dell’ultima trovata marketing di un mio possibile cliente. E ancora il mio corpo dalla cintola in giù che si specchia nella sagoma di vetro nell’angolo del mio bagno, con centimetri e irregolarità che sembrano mie da sempre ma è una bugia che racconta la mia pigrizia e la mia ansia di fare.
Ma se provo a visualizzarmi tutta intera mi perdo sulla gigantografia di un dettaglio, come quando in una stanza, che frequenti ogni giorno, ti soffermi ad osservare una crepa nel muro senza riuscire a scoprire dove hai messo le chiavi della macchina e dove il tuo cervello, insieme alla memoria dei tuoi gesti e del tuo corpo, abbia conservato quell’informazione.
Il tempo. Dicono che il tempo non esiste. Una convenzione per mettere in ordine le cose. Un illusione che ci distrae dall’assoluto. Se me ne stessi sdraiata in questo letto, ignorando di avere un aspetto, un corpo una biologia. Se non sapessi + chi sono e dove mi trovo, se fossi in coma, con l’essenza del mio essere viva manifesto agli altri ma non a me, perchè, se così fosse, dovrei immaginare di possedere una vita materiale?
Ho dato un po’ di spago ai miei contorti pensieri e mi sembra di aver praticato un foro nel bozzolo, sto lasciando quel luogo angusto e scuro che mi ha protetto . gli occhi, loro per primi mi rivelano la novità di percezione, guardano e vedono un mondo a cui appartengo e la cosienza mi viene dalla prcezione, perchè tra le immagini che vedo c’è anche la mia.

Brucia

Povera Italia, come direbbe Battiato, tra avviliti e corrotti non si salva nessuno e nessuno vuole prendersi a responsabilità di ciò che accade. Gli accusatori invece riempiono i giornali e le strade

Nella mia lista di cose da bruciare, raccolta per il falò di sabato, x gli under 16 c’erano libri e professori, per gli adulti politica e politici, quasi non fosse cambiato nulla dalla scuola allo stato.
Un’altra voce popolata era l’ansia, qualcuno ha menzionato debiti e ricordi che in solido e in astrazione sono +o- la stessa cosa, “15 anni da lavoratore dipendente” e “le ragazze senza pesonalità che ti criticano ma poi ti copiano”
A questa lunga lista ho aggiunto un cararmato per una piccoletta di 10 anni, l’invidia, la pigrizia, i cattivi pensieri e la tosse, poi ho bruciato.
Doveva essere un boccone pesante anche per quel fuoco alto 10 metri, questa mattina le ceneri fumavano ancora.

Scheherazade

Tell me about the dream where we pull the bodies out of the lake
and dress them in warm clothes again.
How it was late, and no one could sleep, the horses running
until they forget that they are horses.
It’s not like a tree where the roots have to end somewhere,
it’s more like a song on a policeman’s radio,
how we rolled up the carpet so we could dance, and the days
were bright red, and every time we kissed there was another apple
to slice into pieces.
Look at the light through the windowpane. That means it’s noon, that means
we’re inconsolable.
Tell me how all this, and love too, will ruin us.
These, our bodies, possessed by light.
Tell me we’ll never get used to it.

-Richard Siken

Ascolto e taccio

Ascolto e taccio, ma l’ascolto non passa solo per le orecchie non transita solo per il cervello direi che l’organo più ricettivo è la pancia, ansia?

Più leggo e meno capisco, non ho veramente voglia di scrivere, lo faccio solo per cercare di ascoltarmi, non ho più nessuno con cui parlare, la trincea che ho scavato tutto intorno a me comincia a produrre I suoi effetti ed io galleggio pesante come una piattaforma petrolifera, produco una sostanza densa che mi sembra ingombrante vischiosa ed inutile come il petrolio.

Ho detto che mi sento inadeguata, ma non sempre, ci sono momenti in cui me ne dimentico? O sono momenti in cui faccio ciò che mi è connaturato?

Ho riposato sono molto meno stanca, ma a cosa mi serve? Mentre scrivo noto che il malessere di fa più evanescente, Cerco anche io un punto di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente?

No oggi Battiato non scriverebbe più così se mai cerco un punto di gravità dinamico che mi faccia vedere ogni cosa per quello che è invece di quello che è per me.

O forse quello che cerco è un punto al di fuori di me da cui contemplare me stessa mentre mi agito tra causa ed effetto all’unisuono cosciente del tempo e dell’eterno senza contrasti, in armonia che diviene armonia, dove gli attriti sono combustibile per il mio percorso e non sgradevoli fumarole che puzzano di incombusta inadeguatezza.

Dopo una giornata perfetta ci si sente angosciati e soli, l’angoscia di non poter replicare all’infinito ciò che sicuramente non potrà essere due volte uguale e che dalla perfezione potrà solo divenire via-via più imperfetto. Ma allora dove cercare quell’armonia in divenire?

Contrazione ed espansione, queste le regole dell’universo, perché mai dovrebbe essere diverso nel piccolo mondo a me sensibile?

“Mi sento banale” non direi, direi piuttosto scollata, come uno specchio tagliato in tanti pezzi perché ne servivano tanti per riflettere tutto quello che serve, ma lo specchio sempre quello è. I tanti pezzi fanno allo scopo, catturano le azioni che sono li in attesa di essere giustificate dall’ immagine che proiettano. E’ lo specchio a non avere più una superficie abbastanza estesa che lo manifesti come tale. Si trova pressoché disperso, ma non ancora, nutre la speranza di farcela a rimanere se stesso, uno specchio grande e luminoso, e ad accogliere il mondo che in lui si riflette per il quale si è tagliato in tanti piccoli pezzettini che presi singolarmente sono solo banali utili pezzettini.

Non so se si tratta di coraggio o piuttosto di destino, io sono orrificata da questa dispersione, la temo

Il principe felice di Oscar Wilde, una bella storia, ma è una storia triste, triste xché anche se dai tutto non è mai abbastanza. La privazione ci insegna che ciò che manca serve, ma ci insegna anche che molto di ciò che vogliamo e pretendiamo e superfluo. Questa forse è la proprietà del vuoto, rivelare la vera entità dell’assenza e quindi della presenza.

 

sopravvive il 15%

Thelistserve è un progetto universitario al quale tutti possono iscriversi

Una specie di lotteria dove chi partecipa potrebbe essee estratto per mandare una mail a tutti gli altri iscritti (io tra questi)

Il progetto è carino e spesso la gente è presa alla sprovvista, ho ricevuto ricette, consigli incitamenti, alcune mail erano interessanti altre …

Se mai vi venisse in mente di iscrivervi ne pubblico una qui di seguito

Potrebbe venire il vostro turno per comunicare una cosa importante ad un numero importante di persone che non avreste mai modo di incontrare

Dear Listserve,

I am not asking my question rhetorically.  I am a doctor, and I need to know.

A “code” is an emergency that sends a large team of doctors, nurses, technicians and others to a patient who is unresponsive, not breathing, or pulseless.  It is a frenzy of activity.  Unless a designated representative of the patient says otherwise, the team springs into action and determines whether to begin CPR.  The process involves much more than pounding on a chest for a minute, and that by itself can be violent.  Ribs are broken, and the patient rocks from side to side from the force required.  Orders are yelled across the room.  And if the patient does not begin breathing spontaneously soon, they may put a tube down his trachea and connect him to a machine that will breathe for him.

On television, the survival rate when something like this happens is close to 50%. In reality, a patient whose heart stops has about a 15% chance of surviving to leave the hospital.  Survival does not guarantee quality of life.  There may be brain damage or other problems.  This being said, an attempt at resuscitation is appropriate for many people–and for many others, it is not.

Your current state of health, age, and other factors affect your chances for a good recovery.  Depending on how things go, breathing machines, surgeries, loss of functional capacity, or rehabilitation may follow.  Think about this decision and discuss it with your family before you are hospitalized.  Ask your doctor if you need help. “Five Wishes” is a good place to start.

T.
Denver, Colorado
lunarblue23@gmail.com

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centimetri di catena, un paio d’ali

Sono in vacanza. Quasi non ci credo peró squarci di luce si aprono nella compattezza del mio pensare e fare.
Tornano solitarie immagini di un nulla in particolare che da un pezzo disertavano il mio quotidiano neuronale .
Persone a cui non pensavo + da tempo sembrano aver ritrovato il sentiero dei ricordi.
La vita senza il dovere è come una  cella da ergastolano a cui crollino improvvisamente i muri in preda a moti sussultori .
Stupore meraviglia e paura si mescolano in un riflusso Esofageo fino a far sprofondare  la testa in onde lisergiche di visioni apparentemente caotiche.
E, proprio quando scopri di avere due anelli in + alla catena, ti capita di pensare: “allora sono proprio prigioniero!”.
E anche allora non puoi trattenerti dal godere di quei pochi centimetri conquistati, neanche ti fossero spuntate le ali.

the answer my friend is blowing in the wind

Ricerca : CRESCITA
Circa 10.700.000 risultati(0,13 secondi)
Ricerca: IN CRESCITA
Circa 54.800.000 risultati(0,12 secondi)
Ricerca: DECRESCITA
Circa 1.110.000 risultati(0,16 secondi) 
Ricerca DECRESCITA FELICE
Circa 497.000 risultati(0,12 secondi)
Ci son molte cose belle, ricche e piene che sono entrate e uscite dalla mia vita lo so. Ma ci sono momenti , come oggi,dove le mie parole cadono come  foglie morte d’ autunno in un bosco di piante decidue.
 Ascolto il giovane tecnico, ha lo sguardo di chi la sa lunga e un sorriso che gli piove in giù  e penso: è trasparente come un’acciuga di cui sia rimasta solo la lisca. Il suo collega un po + vecchio ha già avuto qualche scorcio di realtà che gli ha imbrattato la camicia e la scrivania, è più silenzioso e schivo, ma sembra a tratti di volersi liberare, parla con un certo impeto poi le parole rallentano e lo sguardo si spegne. Il capo, o quello che per età dovrebbe esser + vicino all’esperienza della vita, così come la conosco io, sembra aver dormito in troppi letti diversi, mangiato troppi cibi etnici, studiato troppi fenomeni sociali
Trattenere il fiato, come in un esercizio ginnico per rafforzare  gli sfinteri . Vivere in apnea e farci l’abitudine. E’ questo che svuota e invecchia. Forse non è affatto un mio coetaneo. Mi sboccia un pensiero: miliardi di anni pieni di nulla, di nulla che accade giorno dopo giorno, dopo giorno.
E’ passata qualche ora, nella mia commedia quotidiana è cambiato il fondale.
Appoggio i piedi sul sedile di fronte, non è un gesto menefreghista ne arrogante, sono stanca, ho dormito poco e nulla, sono sveglia dalle 5 di mattina. Un passeggero che occupa il sedile di fianco al mio dice senza quasi rivolgersi a me “magari qualcuno potrebbe volersi sedere su quella poltroncina”
rimetto i piedi a terra.
Lui ringrazia lezioso e accusatorio
Poi una signora di una certa mole fa per passare e incespica nella borsa che il passeggero zelante ha lasciato a fianco del suo sedile
“forse la sua borsa non dovrebbe stare li, è di ingombro a chi passa” dico
“se le da noia la tolgo subito, spero che abbia il biglietto di prima quando passerà il conduttore”risponde
una schermaglia che potrebbe non aver fine, ma mi suona il telefono, esco sul pianerottolo di congiunzione tra i due vagoni per rispondere
E’ una chiamata di lavoro e mentre parlo sedimento parole
Crescita, cosa vuol dire questa parola?
Tutto cresce; la frutta, un bambino, il tasso di mortalità a causa del cancro e delle malattia coronariche, la frustrazione della gente che cerca giustizia personale in uno scompartimento di un treno locale…  crescita non è sinonimo di BENE come spesso siamo tentati di pensare.
La crescita è un’azione che si può osservare applicata praticamente ad ogni cosa.
Forse si può scegliere, in quale direzione, con che energia, con che passo, ci sono piante secolari che misurano centimetri.
Crescita. E’ la parola + inflazionata dei nostri giorni, speriamo e poi temiamo e ci chiediamo quando torneremo a crescere. Crescere, sinonimo di ripresa, modello economico basato sul consumo.
Riprendo il mio posto, il sedile difronte ora è occupato da una signora che sembra indifferente al rigagnolo d’acqua che le cola sulla spalla dal condizionatore soprastante. Chiudo gli occhi e sono altrove.
Vedo la mano gonfia di mia madre e mi sembra così ingiusto, guardo la faccia preoccupata di mio padre e mi sembra così ingiusto. Il portico pieno di noi, della nostra famiglia che ha fatto e detto molte cose. Piccoli gesti, grandi parole, risate dei + giovani sospiri dei + anziani.
E’ un mantra di lessico ordinario
Hai mangiato da saziarti?, hai dormito a sufficienza? Sei contento? come và questo e quello?
ma il mondo sta davvero per finire?
Saremo cresciuti abbastanza?

blu

é solo una bici- mi sono detta mentre la vedevo sporgere dal camion, poi ho allungato la mano e ho tolto il coprisellino. Una bici su cui ho appggiato il mio deretano x anni, a cui ho tenuto come se fosse l’unico oggetto posseduto. Una bici a cui ho delegato la rappresentanza di un’amicizia

Quando mia madre si è trasferita da trezzano a milano, a casa mia sono finite tutte le cose che non poteva dare a nessuno ma che le dispiaceva di buttare. Tutte le cose di qualche valore sono andate a casa di mio fratello. Il motivo è che mia mamma ama gli oggetti + di quanto ami le persone, quindi li da a mio fratello x assicurarsi che vengano ben custoditi, non xchè ami + lui. Lei non se ne rende conto ovviamente e qundi non la giudico, ma questo non vuol dire che le sue azioni non mi facciano soffrire

Di recente le ho regalato una caffettiera d’argento, che le piaceva molto e che a parer suo stava inutilmente mal esposta a casa mia

Questo l’ha resa molto felice. In questo dono c’è un contenuto, io ho fatto quello che la rende + felice, non quello che rende + felice me, xchè x me quella caffettiera d’argento vale molto meno della mia vecchia moca da due.

La bici e il fatto che l’ho cavalcata per tutti questi anni spero che sia per chi la porta via un modo per ricordarsi di me, si è certamente così

Nel mio corpo astrale scoperò con chi mi pare( storie di sesso e molto altro)

C’era un casino bestiale in questo sogno, giuro che non ricordo veramente i fatti ne le persone, ma tutto era così familiare, un dettaglio lo rendeva speciale

Il dettaglio aveva un colore, blu e una forma, un insetto. Ma non un instto qualunque, di quelli che ti puoi immaginare simile a uno scarafaggio, un acaro o una cavalletta

era la rappresentazione grafica animata di uno pseudo virus in dimensioni giganti.

Scivolava su sfere gelatinose che rilasciavano piccole bolle solide e cercava un passaggio sul mio corpo. C’era quasi riuscito quando in un movimento parzialmente conscio, scivola ma rilascia delle bolle una delle quali mi risale per il naso. Poi mi sveglio.

Quella mattina, dopo aver prestato sevizio come conduttora di pedibus, decido di andare a ritirare il libretto scolastico di mio figlio maggiore,  sono accompagnata dalle chiacchiere di altre mamme, i cui figli frequentano tutti lo stesso istituto elementare di mio figlio minore. Sono abbastanza concentrata su quello che dicono perchè il mio progetto ha come obbiettivo di regalare a mio figlio compagnia sulla strada verso la scuola, soprattutto in odore di prima media, dove dovrà comunque andare e tornare da solo.

Spesso le cose più innocenti, e fatte con le migliori delle intenzioni, degenerano in invidia e pettegolezzo, quindi ascolto con attenzione e doso le risposte, insomma sto lavorando e cerco di essere “professionale” .

– a me non è arrivata notizia di questa cosa, dice una di loro, e subito le fa seguito, nemmeno a me figurati a me l’ha detto..

– In tutta franchezza, esordisco con un sorriso sulla faccia e le piume abbassate, non si tratta di nessun progetto, io Carla e Cinzia abbiamo messo insieme i nostri 3 figli perchè possano rendersi autonomi nell’andare a scuola. Ovvamente li accompagnamo per qualche giorno, alcune mamme ci hanno seguito e ci hanno chiesto, così è nato un pedibus autogestito, senza la volontà di includere o escludere nessuno…

Si rilassano e cominciano a richiacchierare tutte insieme, non c’è più il pettegolezzo o pietra dello scanalo, non c’è + un capro espiatorio che potrà prendersi la colpa del fatto che tizia e caia non sono state coinvolte…

All’altezza del comune, saluto l’ultima delle mamme e raccolgo un complimento fatto con garbo: “facciamola davvero questa pizza, ho notato che da quando facciamo così le cose funzionano davvero meglio”

Code di pensieri fanno un po’ di fatica a trovare continuità. Mentre cammino, quella sfera blu sembra farsi spazio dentro di me; chi sa cosa rappresenta il colore blu, le sfere…l’insetto lo so da me cosa rappresenta!

Infilo la porta della guardiola- in che classe è suo figlio?

seconda liceo, rispondo come un automa,

La bidella sorride inarcando il sopracciglio e chiedendosi se sono dotata di un cervello – in che sezione?

Abbozzo un sorriso, scendo sulla terra e gurdandola implorante negli occhi in un inutile sforzo di memoria, riesco a partorire la frase -forse nella e o nella d

-Come si chiama di cognome suo figlio, aggiunge cercando di mettere l’accento sul COGNOME. ma io sono proprio presa dal blu di questo corpiciattolo che ha lasciato un suo uovo dentro di me e ripeto il nome e poi, solo poi, aggiungo il cognome.

Ci dev’essere gente che sogna marziani tutte le notti e che viene a ritirare il libretto scolastico dei propri figli come se niente fosse. Io non sono certo il peggiore dei casi,  la bidella sembra saperlo, molto gentilmente mi porge un foglio di carta e mi fa apporre due firme.

Torno in strada e un piede dopo l’altro sto andando verso lo studio del mio amico/medico. Sono in buona e voglio condividere questo momento  anche per mettere a pari certe schermaglie per e-mail, e poi chi sa se mi sentirò altrettanto bene un altra volta che passo di qui?  Gli avrei mandato un sms o insomma l’avrei avvisato, ma sicuramente non oggi, quest’uovo blu mi dirige come una puntina simbiotica

L’aria che respiro è rarefatta e tutto mi sembra speciale come se accadesse per la prima volta. Le case hanno contorni definiti, vedo tutte le insegne e ognuna mi accende un ricordo . Con le mie gambe e i miei pensierini che seguono sferici e blu, suono al citofono, il portone si apre senza risposta, come al solito,  non perché lui sappia chi è, solo perché non risponde e basta e forse crede di sapere sempre esattamente come andranno le cose, quindi anche chi suonerà al citofono nei prossimi cento anni.

Salgo le due rampe di scale ma non sono qui e soprattutto i miei pensieri, non sono qui. Apro la porta a vetri, è tutto come tre settimane fa; a lui non piacciono i cambiamenti, anche quando rinnova, rinnova sempre conservativo. In sette anni che frequento lo studio non ha mai cambiato la disposizione di un singolo oggetto. Sospetto che se una cosa diventa lisa o obsoleta, la sostituisca con l’oggetto + simile o se possibile, uguale.

La porta dello studio è quasi chiusa, tendo l’orecchio per capire se dentro c’è qualcuno. Non sento voci e nemmeno rumore di tasti digitati, evidentemente aspetta qualcuno e si aspetta che questo qualcuno varchi la soglia, ora sembro così precisa ma è solo un ex post. Non saranno passati 30 secondi dalla mia entrata che ho deciso di uscire senza lasciare traccia del mio passaggio. Mentre sto per schiacciare il pulsante che apre il portone da dentro, questo scatta da solo e sulla porta incontro una mia carssima amica

– accompagnami devo ritirare una ricetta

–no scusa ma non posso, sono salita e non sono entrata, se vuoi ti aspetto qui

torna con in mano un foglio e la vedo perplessa mi chiede

-ma su c’era qualcuno?

-no ma la porta era socchiusa, tipico di quando sta facendo qualcosa e non vuol essere disturbato ma attende qualcuno

Andiamo a prendere un caffè insieme e facciamo una strada che altrimenti , da sola, non avrei fatto. A metà strada, sulla piazza del duomo, la vedo; ha il capo basso i capelli raccolti in una coda rimedio dell’ultimo minuto. E’ vestita in qualche modo, con jeans e camicia troppo stretti, anche lei mi ha visto, le faccio un sorriso e la saluto con la mano e pronunciando un ciao grazioso.

Io sono contenta è una bella giornata di sole, lei è afflitta e compressa o così mi sembra mentre rimbalza sulla sfera azzurrata di un immaginario scudo che l’ovetto blu sta producendo tutto intorno a me.

Sta andando da lui e se mi avesse trovato anche solo sulla base del pianerottolo avrebbe pensato le cose peggiori e avrebbe avuto modo di scaricare su di me tutta la colpa della sua vita infelice.

Una sensazione di immediato appagamento, come il terzo pezzo gigante di toblerone che mi sto ficcando in bocca adesso.

Quando con la vespa ho scavallato l’argine quello stesso giorno, ho cominciato ad avere una sensazione di pesantezza, mi sono sentita debole e meschina, tronfia delle mie stupide false conquiste, di cui ho bisogno per sentirmi bene e meglio degli altri

“Spesso sappiamo quello che vogliamo, ma non possiamo volere quello che vogliamo”. Avevo archiviato questa frase da qualche parte, incerta del significato, della forza o della banalità.

Forse avrei dovuto fermarmi al primo pezzo di toblerone,  affondo nell’eccesso, ho bisogno di sentire nausea per sentirmi paga e vorrei, vorrei tanto ma…

 

Se io fossi

se io fossi un animale sarei sicuramente una formica. Una formica classica come quella della fiaba, quella che lavora e si lagna degli altri che non fanno nulla e poi però d’inverno si fa carico della cicala. Non è la cicala ad aver bisogno della formica, ma il contrario.

Se non ci fossero formiche la cicala morirebbe e si estinguerebbe. Ma se non ci fossero cicale? Se non ci fossero cicale la formica si annoierebbe nel tepore della sua tana e sceglierebbe un altro perdi giorno da criticare e di cui poi farsi carico. Questa si che è una necessità! tanto da trovare chi la soddisfi pur anche rinunciando alla tradizione e alla via consciuta. Tanto che un giorno la formica si porta a casa un maggiolone bello grosso e questo dopo averla affabulata per un po’, se la mangia e grazie alle sue provviste sverna e sopravvive ad una nuova stagione. Quel che si dice:” far di necessità virtù!”

“l’ultima volta che ho sbattuto la testa ho perso il 70%della mia coscienza”

Radiogiornale:la Dr, celebre coraggioso marchio automobilistico bla bla bla, il credito non sarà concesso…
“perché la banca dovrebbe dargli tanti soldi con tutti i debiti che già hanno?Ma questi hanno sbattuto la testa!”
“l’ultima volta che ho sbattuto la testa ho perso il 70%della mia coscienza”
“secondo me hai beccato uno zombie che prima ti annoia e poi ti succhia il cervello”
Guido e mentre sbircio i due piccoletti dallo specchietto retrovisore penso che  il  loro è il dialogo + sensato della settimana. Vado fiera di essere sopravvissuta  agli ultimi 7 giorni senza aver perso “il settanta % della coscienza”
Ieri mattina mentre accompagnavo mio figlio a scuola, sono sempre esageratamente di corsa la mattina, uno davanti a me andava lentissimo, la stradina di campagna non lascia agio a grandi manovre.Quindi mi ero rassegnata a starmene al seguito quando, la macchina davanti accosta a destra. Non la conosco è una vecchia utilitaria dal colore indefinito, però carino che mi fa passare!. Mentre gli sono di fianco ritorna bruscamente a sinistra inchiodo e quasi finisco nel fosso. Mi riposiziono dietro e lui accellera, sono spiazzata, ma la mattina le cose si fanno in automatico, come quando vai all’autolavaggio infili il gettone e aspiri i tappettini con l’angoscia che la macchina si fermi e tu, senza più gettoni ti ritrovi a metà dell’opera. Quindi anch’io accelero, allora quello davanti inchioda e poi accelera di nuovo, qui capisco che c’è qualcosa che non va, la cosa si ripete un paio di volte, poi frena definitivamente, scende dalla macchina e si avvicina sbraitante e con tono minaccioso.
Guardo mio figlio di 10 anni sul sedile accanto e automaticamente schiaccio il pulsante bloccaportiere. Lui, un signore che ha l’aspetto di uno che si è appena svegliato e ha rotto la macchinetta del caffè, da fuori, agita le mani e bofonchia qualcosa gridando: ” datti una calmata”, allora esibisco il cellulare e gli grido attraverso il finestrino , non chiuso, di +, che sto chiamando la polizia. Si agita ancora qualche momento dice cose che non ascolto perchè la polizia ha risposto e alla mia concitata richiesta di aiuto uno mi sta dicendo, in tono non moto diverso dall’energumeno li fuori “stia calma e chiami i carrabbinieri di zona”
“scusi io sono su una strada di campagna da sola in macchina con mio figlio di 10 anni, le dico che c’è un malintenzionato che mi sta aggredendo e lei mi dice di chiamare i carabinieri..?” dopo qualche secondo di botta e mala risposta decido di attaccare. A questo punto il tizio la fuori, che grazie a Dio non può sentire ciò che dico,  decide che non ne vale la pena, risale in macchina e se ne va.  Mio figlio mi guarda con occhi + grandi della faccia e mi dice “che fai non li chiami i carabinieri?”
Ci penso un attimo e decido che 10 anni sono troppo pochi per perdere la fiducia negli strumenti della democrazia. Quindi chiamo i carabinieri con tono + pacato, ormai il pericolo è svanito. Racconto l’accaduto.  La risposta è da manuale eppure in quel momento li sento amici, almeno non inveiscono, non mi danno della pazza, non mi dicono di chiamare qualcun’altro. Mi dicono “si segni il numero di targa, se le ri-capita può sporgere denuncia”.
Mio figlio mi guarda ed è solo per lui che rispondo in tono affabile, “guardi la targa se la segni lei, non è detto che se questo signore è male intenzionato, lo sia x forza solo con me, almeno se capita a qualcun altro che ve lo segnala avete già un precedente”. Forse l’ho convinto, si fa ripetere il numero di targa, mi fa qualche domanda aggiuntiva, tipo : “lo conosce?” la risposta è ovviamente no, “quanti anni aveva?” vorrei dire: scusi ho dimenticato di chiedere, ma sempre per amore di mio figlio rispondo disciplinatamente” 30/40…”
Tutto il giorno mio figlio deve aver parlato dell’accaduto, l’ho fatto anch’io con chi mi ha chiamato o ha avuto la sfortuna di incontrarmi poco dopo l’accaduto. La sera per me l’episodio è dimenticato, ma mio figlio al ritorno da scuola mi chiede “ma i carabinieri ti hanno richiamato per sentire se tutto andava bene?
“I carabinieri non richiamano”, gli rispondo, come se quello che dico avesse un senso “sei tu che devi richiamare loro”
Scusa ma se quello lo rincontravi e ti picchiava?
“Non preoccuparti, mamma uno come quello se lo fuma”, gli dico accarezzandogli la testa, “abbiamo chiamato i carabinieri casomai capitasse  a qualcun’altro”.
Però non posso fare a meno di pensare che quando siamo piccoli abbiamo idee molto chiare…poi cresciamo e qualcosa di incomprensibile prima ci annioa e poi ci succhia il cervello…forse perdiamo anche + del 70% della nostra coscienza e di solito,  senza mai aver nemmeno sbattuto la testa.

Maratona popolare

La testa affondata nella mia spalla l’occhio un po cerchiato e quello sguardo così limpido, non ci sarebbe forse nemmeno bisogno delle parole per commuoversi e invece ci sono anche quelle e sono parole pulite, semplici e lineari,

cosa c’è dopo?
non so esattamente, sai quando siamo al cinema?
si 
e tu mi chiedi ma adesso cosa succede? e io ti rispondo che non lo so perché anch’ io sto guardando il film con te per la prima volta?
la bocca si allarga in un sorriso e la faccia sparisce quasi tutta nell’incavo della mia spalla
ma io ho paura che non ci sia niente, sia tutto finito
e allora di che ti preoccupi, se è finito tu nemmeno lo sai
si ma lo so adesso e se adesso penso a dopo…
Se mi stai chiedendo cosa credo io e io no ho sempre ragione, anche se molto spesso ce l’ho, io credo che morire sia come nascere. Nessuno sa prima di nascere quell’energia dov’era e poi nasce un bambino
o una bambina
o una bambina, che non sa nulla di se e  deve imparare a conoscersi giorno dopo giorno, e non sa nulla di nulla, nemmeno sa come si muovono le parti del suo corpo, ci mette un anno solo a capire come si fa ad usare la mano per mettersi la forchetta in bocca.
Quanto ci ho messo io ad imparare ad usare la mia mano?
Un bel po’ ma eri abbastanza testardo, ecco la morte è un po’ così, con tutti gli anni di esperienza e di storia che ci siamo tramandati non sappiamo nulla di cosa accade dopo, e nulla di quello che accade prima, ma se guardo a quello che c’è intorno a me ne so abbastanza per capire che tutto si ripete e tutto si trasforma
E chi lo fa?
Nessuno lo fa, si fa
Quindi Dio non esiste
Dio esiste dentro di noi, forse una volta era qualcosa di grande e intero, ma poi qualcosa è successo e forse lui per salvarsi si è diviso in miliardi di piccoli pezzi rivestendosi di terra, di carne, di sole, di luna…
Forse noi siamo qui per morire e rinascere in un insieme, ma il processo è lungo perché i pezzi sono tanti e molto distanti tra loro
Anche io ho un pezzo?
Si anche tu ce l’hai e io credo che parte del processo preveda già che in alcune persone ce ne siano + pezzi o un pezzo + grosso, anche se i pezzi veramente grandi sono probabilmente affidati alla materia che noi chiamiamo inanimata e ai vegetali…però questi pezzi non hanno coscienza, sono come un dischetto della playstation senza playstation.
Posso giocare alal wii domani?
si però non troppo perché poi se no ti viene di nuovo l’angoscia e la notte non dormi, come adesso.
Non è vero oggi non ci ho giocato
Ma ieri si e le cose non sempre hanno effetto immediato
come Dio che ci mette un casino dii secoli a trovare tutti i suoi pezzi?
Eh più o meno
Ma tu non mai hai pura
Spesso, ma sono anche felice molto spesso, e triste a volte e arrabbiata…fa parte della vita una lunga maratona popolare dove ognuno gareggia come può e come sa, vince chi arriva alla fine
Bel premio ti danno: muori

ricorda che sei in piedi su un pianeta che si muove

entro dalla porta e subito so che lo troverò li esattamente come lo vedo spaparanzato in mezzo alla sua famiglia. anche lui sa ancor prima di vedermi e fa per alzarsi ma io non voglio attirare l’attenzione

c’è tutta la mia famiglia dietro di me siamo tutti in cura da lui ma solo mio fratello maggiore si ferma a stringere la mano, raccogliendo quel gesto di alzarsi dal tavolo in segno di saluto.
Stessa sera altro posto,stesso nome ma cambia tutto il resto
sguaiatamente stravaccato al fianco della mia vicina nemmeno fa il gesto di alzarsi
io lo saluto per educazione, ma non mi piace e non mi è mai piaciuto. E’ la mia vicina a menzionare un appuntamento con passeggiata che dovremmo avere con un amico e con questo intrigo mi trattine. Mi bastano cinque minuti per capire che non ha senso restare.
Non c’è niente da compatirsi, non c’è nulla per cui soffrire. Gli uomini, tutti a cercare di dimostrare qualcosa, a se stessi, alla moglie, alla collega…io non ho nulla da dimostrare la vita capita al di là delle nostre aspettative. Vorrei poter avere diritto di replica, questo si, vorrei poter fare delle domande, e vorrei che la pietà, l’empatia, la compassione dettassero l’esperienza della risposta, il parto della verità.
Ma sono tutti solo gesti, di rispetto, per carità non mi lamento, meglio uno che fa il gesto di alzarsi anche se sei stata la sua amante e lui è li con moglie e figli, che uno che se ne stà riverso su d una panchina e non fa nemmeno cenno a ricomporre le membra e alzasi per salutare una signora che entra dalla porta. non mi ferisce l’uno, non mi compiace l’altro.
Mi chiedo solo a che serve, così poco tempo ci è concesso e quanto spreco ne facciamo per riempirlo di gesti stupidi e grezze difese del nostro amor proprio.
Ho scritto una lettera ad uno dei due qualche giorno fa e allora in quel caso si avrei apprezzato una piccola calorosa risposta.
Forse è per questo che l’ho poco + che ignorato questa sera, forse è per questo che non avevo nessuna voglia di salutarlo. Forse è per questo che mi si affianca o mi rivolge la parola solo in presenza di terzi…forse
Fose lui ha bisogno di testimoni per dimostrare la sua giustizia, forse io ho bisogno di testimonianze per darmi pace e sperare di vivere la verità.
Forse io so cosa vuol dire soffrire e non voglio infliggere sofferenza, forse lui non soffre abbastanza e crede di meritare più dolore di quello che gli è concesso.
…se la gente è stupida è odiosa o sciocca e tu senti che sei stata quieta abbastanza….
ricorda che sei in piedi su un pianeta che si muove …questa galassia è solo una di milioni di bilioni di questo sorprendente universo… e tu ed io e noi e voi..quando tu ti senti piccolo e insicuro pensa a quanto tutto è inverosimile prega che ci sia da qualche parte una vita intellignte xché qui non c’è un cazzo di niente.

“Honi soit qui mal y pense”

Subiendo al tren dos ojos te fijaron solo que sabès que para vos ya no es tiempo. El tren llega a la Nord, quizàs si està todavìa, Juan sos incorregible, no tenès salvaciòn, no aprenderàs nunca, olvidàs que la entrada en el embudo se debiò a una mirada que se encontrò con la tuya…

è sempre troppo tardi per quel che non è accaduto, “non c’è scommessa + persa di quella che non giocherò” questo senso di perdita che non ci abbandona mai- c’è chi ne utilizza l’energia propulsiva per lanciarsi in sempre nuove avventure, c’è chi ne subisce il monito e ne approfitta per non muoversi mai. Ovviamente tra gli estremi tutte le sfumature per accogliere o meno la sfida, per credere in un domani che cambia o soccombere all’ineluttabilità delle cose.
I francesi dicono che con i ma e i se si potrebbe mettere la Eiffel in bottiglia. Gli Italiani + modestamente parlano di un senno di poi di cui son pieni i fossi, ma tutto questo è quel fare/disfare di cui ho già detto e che se fossi un compositore metterei in musica.
Se però voglio indagare la ragione, diciamo  meccanica, di una pulsione in particolare, cioè quella di aspirare all’elezione di un compagno, compagna, pulsione che compatibilmente con il mio essere attento al mondo che mi gira intorno, mi fa gioire e soffrire di piccoli e grandi gesti, direi che siamo fatti e studiati per essere ricettori superficiali. Lo dice il nostro intero corpo, che ha mille funzioni ma nessuna eccezionale. Come tutti gli strumenti multifunzionali, il nostro corpo sa fare un po’ di tutto ma nessuna delle sue funzioni è meravigliosa. I cinque sensi, la motricità, la capacità di rigenerazione, la percezione, la comprensione…
E anche tutte le nostre azioni sono di conseguenza mirate ad ottenere un risultato superficiale. La qualità delle nostre azione produce un minimo scarto sull’ esito finale, è piuttosto la quantità delle nostre azioni di una certa qualità, che produce un effetto apprezzabile.
“Essere qualcuno è un’altra cosa, -dissi piano-
Non te l’immagini nemmeno. Ci vuole
fortuna, coraggio, volontà. Soprattutto
coraggio. Il coraggio di starsene soli come
se gli altri non ci fossero e pensare soltanto
alla cosa che fai. Non spaventarsi se la gente
se ne infischia. Bisogna aspettare degli anni,
bisogna morire. Poi dopo morto, se hai
fortuna, diventi qualcuno.”
(da La casa in collina, 1948)
Noi non desideriamo essere ricchi, potenti, amati o belli perché apprezziamo queste qualità, piuttosto apprezziamo ciò che queste qualità fanno per noi; gratificano il nostro ego.
Per giustificare la necessità che abbiamo di essere Io ,io, io… ci inventiamo canoni, regole, paradigmi. Incredibilmente questo IO, IO, IO funziona anche in negativo, possiamo bearci della nostra sorte avversa e compiangerci a lungo.

La coppia è una cosa utile, serve a proteggere la costruzione della famiglia e assicura la cura della progenie. Fuori contesto è come usare un cacciavite per mangiare gli spaghetti, doloroso e frustrante.

L’amore è un energia che quando passa accende e brucia, spesso non è sincrono ne corrisposto, non costruisce cose, non tranquillizza spiriti, non mette pace anzi. A cosa serva non lo so, forse come tutti i prodigi non ha uso. Non siamo noi ad usare lui ma lui ad usare noi.

Come donna non ho mai avuto tregua; da bambina soffrivo il tramonto e il natale, i ragazzini spesso mi confidavano le loro pene d’amore e mi trattavano come un maschio mentre a casa mia madre mi avrebbe voluta vestita di fiocchi. da ragazza le donne non mi sono piaciute ne io a loro. da donna ne ho abbastanza degli uomini e i pochi che mi interessano se ne approfittano sempre.

La cosa peggiore è che pur avendoci provato molto non mi sento uguale a nessuno, non riesco a identificarmi a lungo in nessun ideale, non provo reale trasporto per nessuna cosa in particolare, non c’è ricchezza o dono x cui mi batterei.

Però ho grandi momenti di energia in cui riesco a concentrare le mie forze, quando però si esauriscono lo fanno di botto, senza preavviso lasciandomi completamente incapace

Non ho rimpianti perchè non penso mai che le mie azioni facciano realmente la differenza, forse perché come ho già detto credo nella quantità e io non faccio mai troppo a lungo la stessa cosa.

Però uno spiraglio c’è, questo spiraglio è rappresentato dal rendersi indipendenti, voglio dire non giocare + alla causa effetto. Tirarsi fuori dal gioco, sospendere i giudizi, soffrire senza accusare, arrabbiarsi senza sfogarsi, amare senza essere amati. Insomma non rinunciare solo perchè l’altro, o quell’evento, o quel gesto…rinunciare solo se priva di forza e provarci fino alla morte


Discendenze

E’ brutto sentire la distanza che si allarga in termini di comprensione e affinità con la propria madre negli anni, ho sempre pensato che crescendo e invecchiando succedesse il contrario, forse nella maggior parte dei casi è così. Mio padre è sempre lo stesso e quindi negli anni non mi sorprende ne mi delude più . Percepire invece mia madre più distante, sempre più diversa da me mi ferisce, non so bene perché . Forse perché è il modello cui mi sono sempre ispirata e vedere che non mi piace è doloroso. Eppure ha compiuto settanta anni per cui è il momento Dell accettazione, non delle critiche, forse da questo punto di vista sono io in ritardo, nonostante i miei 43 anni….
Spero che la tua clausura abbia momenti di gioia, un abbraccio.
Ho dovuto accentare tutte le tue e.  Sul telefonino “è” complicato rispettare gli accenti. Sarà per questo che mi sono resa conto di quante “è” ci sono in un messaggio così breve. Come se l’Essere fosse granitico e inamovibile, come se le cose non potessero mai + cambiare nella tua percezione. Forse x questo mi sono chiesta se “è” la morte a dare alla vita un valore assoluto. Quella morte che senti prossima perché l’età di tua madre ti fa pensare che è passato molto + tempo di quanto ne rimanga.
Ho visto un film grottesco
– the descendant – molto intrigante nella sua semplicità. Tra lacrime e risate mi sono chiesta cosa sia l’accettazione della morte. Non in teoria, non nei nostri momenti blu, ma nella realtà, quando devi pronunciare la parola che si riferisce ad una persona che è stata viva e il cambio di stato ci obbliga a vedere diversamente. Me lo sono chiesta nella posizione di chi quest’esperienza l’ha già fatta qualche volta senza accorgersi che l’altro rappresentasse l’ occasione di cambiare, di farcela, di salvarsi. L’altro che abbiamo cercato e nel quale abbiamo riposto chi bene chi male, la memoria e lo scopo della nostra vita. Perché senza l’altro nulla ha un senso, o così sembra pensarla la maggior parte di noi. E l’altro c’è fino a che il suo cuore batte, o fino a quando il suo cervello ragiona? o fino a quando ci può dire si o no? o fino a quando abitiamo entro lo stesso confine? fino a quando possiamo varcare il confine?

Come si parla a una pianta? come si comunica con un piccione?come ci si mette in relazione con un fantasma? Tutte situazioni grottesche perché in equilibrio tra “essere e non essere”
E poi il gran finale: l’eternità, oppure Dio, La Creazione…ci sono molte definizioni per descrivere quel senso di smarrimento che proviamo se anche solo per un attimo ci rendiamo conto di chi siamo veramente:  una caccola sull’orlo di essere starnutita …
eppure un centro di energia , “di gravità permanente” oggi dentro un corpo di femmina in carne ed ossa, domani…il senso della vita mi sfugge

Mio suocero dice sempre che DOPO non c’è nulla e quando lo dice io lo guardo e penso ” eh come ti piacerebbe!”

il postino

la rabbia è quella di una attimo che passa, di quando sbatti il mignolo contro l’angolo del tavolo al risveglio di una notte in cui hai dormito poco.
No, questa non è rabbia. Non voglio dire magari lo fosse, perché non potrei mai pensarla così, ma se fosse rabbia sarebbe di tutt’altro spessore e con diversissime, se mai ce ne fossero, conseguenze
No,  è una sorta di dolore scarno come quando non è colpa di nessuno che conosci ma la guerra ha distrutto il tuo paese o l’uragano ha spazzato la tua casa.
Puoi decidere di sederti e aspettare che tocchi anche a te, oppure scorciarti le maniche e vendere cara la pelle, ma in entrambi i casi avrai fatto anche non facendo e sarai convinto che il mondo dipenda dall’azione, illusione che non ho + o sempre meno. Con disgusto mi trovo a emettere giudizi su persone di cui non so nulla o anche se so, mi rendo conto che sono giudizi che vogliono rassicurarmi, che non mi fanno pensare ai miei di sbagli. Sempre + spesso mi ritrovo a confrontarmi con situazioni che sembrano piovute dal celo per mettermi alla prova. Per sbattermi in faccia i miei giudizi pigri e lagnosi.
Fino a ieri, provavo una sorta di paura immediata, come una scossa elettrica, poi l’adrenalina mi aiutava, tagliando un pezzo qua, amputando un altro la…Oggi le cose che accadono erano nell’aria da un po’, le ho sentite arrivare e + di una volta, come rossella ohara ho pensato “domani”. C’è sempre qualcosa che avresti potuto fare prima o meglio, quindi non è di questo che mi rammarico. ho fatto quanto e come ho potuto, questa è sempre la risposta giusta, a patto che poi non si cominci con il dare la colpa ad altro o ad altri.
Il mondo rotolando viene avanti come dice un autore americano, non lo ferma nessuno. Questo si, ma siamo tanti NOI a far il mondo quindi io parto da me, non da noi.
Mi metto al riparo dal mondo esterno, per quello che posso, per quanto posso. Non mi sento offesa e ferita, ne abusata.
Sto cercando uno spazio interno dove io faccio la differenza, dove so distinguere il bene dal male, la pigrizia dal riposo, la necessità dalla ruberia, dove non avere pene o paure, come un bambino ancora da nascere, che nel pensiero di chi lo desidera e lo crea è semplice e perfetto.
quanto poco me ne importa di molte cose e questo fa si che le poche in cui credo debbano reggere tutto il peso della voglia di vivere che io ho, dell’energia creativa, che io ho, dell’amore per la condivisione che io ho.
Rimanere attaccata alle parole sempre + vuote, a intenzioni senza azioni, a vuoti troppo pieni ma sempre lamentati . Chi è quel folle che vorrebbe far questo nell’ultimo possibile trentennio della sua vita?
Nemmeno per un attimo mi sono senta fiera di tutto ciò, forse solo un po’ speranzosa di vedere prima o poi, oltre il brutto, oltre la noia, oltre l’indifferenza.
Tutto questo arriva come sempre arrivano le cose importanti, tutto insieme, senza tempo per reagire e reca molto dolore,ma non paura e non siamo tutti qui per assistere al grande spetacolo del Creato?
Condivisione, non deresponsabilizzazione, amore non cioccolatini, amicizia non ritrovi allegri di gente che si sente sola. Ciò che sento essere giusto, non quello che gli altri pensano sia giusto.
Non sono parole di affermazione, semmai di spiegazione; Ho bisogno di aiuto?
Tutti ne abbiamo, se no non saremmo nati a milioni su una palla che gira nel freddo universo. Ma ho bisogno di aiuto vero, quando si può, come si può, senza aspettarsi nulla in cambio, quando lo si ritiene giusto e non quando fa comodo e non quando serve ad alleviare sensi di colpa, paura solitudine, responsabilità… e soprattutto ho bisogno di onestà e rispetto.
Quello che io so di te, quello che tu sai di me, cose che possono piacere o non piacere,che possiamo ritenere giuste o sbagliate, ma questo non ci da diritto di giudicare la persona.  Lo dico pensando ai miei lividi giudizi di questi ultimi giorni, su persone e cose.
Si vorrei che tu mi dicessi ciò che pensi, ma non per cortesia, paura ansia…ma solo ciò che pensi. Non ho bisogno di una risposta o di un segnale. Ho bisogno di tutto, ma di verità e credo di aver affinato il gusto, quando sa di altro sto cercando di imparare a tenere la bocca chiusa. Sto cercando di capire chi sono e di riuscire ad essere, sono stanca di semplicemente esistere.
Ho sentito questa poesia alla radio e mi è piaciuta perché parla della nostra inconsapevolezza rispetto alle leggi dell’universo, della nostra ignoranza, e della nostra arroganza. Abbiamo paura del dolore come dell’uomo nero, e l’uomo nero e il dolore li abbiamo creati noi
Il dolore è un postino grigio, silenzioso,
col viso asciutto, gli occhi d’un azzurro chiaro,
dalle sue spalle fragili pende
la borsa, il vestito è scuro e consumato.
Nel suo petto batte un orologio
da pochi soldi; timidamente sguscia
di strada in strada, si stringe ai muri
delle case, sparisce in un portone.
Poi bussa. E ha una lettera per te.
— Attila József

Pavese

“Essere qualcuno è un’altra cosa, -dissi piano-
Non te l’immagini nemmeno. Ci vuole
fortuna, coraggio, volontà. Soprattutto
coraggio. Il coraggio di starsene soli come
se gli altri non ci fossero e pensare soltanto

Che lo abbia scritto proprio Cesare Pavese fa pensare ma è stata una scoperta casuale

Qualche giorno fa il mio parrucchiere mi ha riferito della conversazione avuta con un’altra cliente “mi diceva che aveva sentito un intervista ad un filosofo importante, il succo è che per come stanno andando le cose tra breve ci sarà una guerra, una guerra di quelle che ci farà retrocedere ad uno stadio inimmaginabile”

Sarà forse per questo che ho preso in mano il libro di Pavese, come si legge voracemente un vecchio giornale nella nostra lingua se ci si trova in terre straniera. Per capire cosa pensa e come vive la gente una guerra.
Scopro che allora come adesso, la guerra ha il suo fascino, che c’è chi ce la faceva a stento e chi ce la faceva comunque. Che i giovani avevano un sacco di energia ma non sapevano cosa farne, che quelli di mezza età erano scontenti e anestetizzati proprio come oggi. Che le donne erano le uniche a vivere nel presente, le madri almeno, e quelle che lo erano state. Che la gente si aspettava che il cambiamento arrivasse, che non dipendesse da loro. E le bombe fioccavano a Torino e a Milano, eppure non era guerra, che si dormiva nei prati e si scappava dagli edifici in fiamme, eppure non era guerra. Perché guerra vuol dire fucile e dover decidere della vita di un altro, non una bomba che piomba da chi sa dove per colpire senza nulla di personale.
Una guerra di droni non avrebbe nemmeno le trincee, gli eroi e i disertori. Potrebbero esserci milioni di vittime bianche senza che mai nessuno abbia colpito o fatto fuoco dovendo scegliere guardando lo sguardo di un altro diventare vitreo, la vita trasformarsi in morte a causa propria.
Si, ho risposto al mio parrucchiere, l’unico modo per evitarla è credere che potrebbe realmente accadere.
“Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?” Cesare Pavese, da Lavorare stanca 1936

Un sogno da 50 euro

La mia gatta miagola incessantemente da qualche giorno, i gatti sono creature notturne. Due sere fa mentre uscivo sul terrazzo a prendere l’acqua minerale lei ne ha approfittato per uscire.

Non abbiamo più visto traccia di lei x 48 ore. Mio figlio Geo ha pianto 20 minuti tra le mie braccia chiedendosi perché le volpi devono mangiare i gatti, perché i gatti non hanno buonsenso… nel mentre gli dicevo di non  fare tutti quei cattivi pensieri, che magari si stava semplicemente divertendo con altri simili… che gli animali hanno le loro necessità e non è giusto essere egoisti con loro solo perché vogliamo proteggerli… che dobbiamo rispettare le loro scelte anche se ci fanno soffrire…
ieri mattina ho trovato la gatta arrampicata a 5 mt sull’albero del vicino e alle sette di mattina, con la scala e un freddo che rendeva tutto immobile e irreale, l’ho riportata a casa.

La felicità di mio figlio, la possibilità meschina di tacitare il mio senso di colpa? Questa notte ho ignorato l’incessante miagolio mettendo tra me e la gatta due porte e un piano di scale.
Dopo il recupero sono andata in palestra e il mio istruttore di Pilates ha incessantemente parlato delle fasi del sonno,  gli altri 4 che frequentano la mia stessa ora sembrano avere tutti problemi di insonnia, qualcuno tal volta cede alla tentazione del sonno chimico. Ascoltavo con poco interesse per le nozioni e molto per l’esperienza umana. Mi vengono in mente le parole di Claudio, quando interpellato in merito alla sensazione di inutilità o di frustrazione nel trovarsi davanti a scelte importanti, ha risposto “si anch’io, ma no, io dormo” riferendosi al fatto che diversamente da me lui non aveva , a causa di ciò, disturbi del sonno.
Dopo la palestra e il pranzo dai miei ho preso senza troppo riflettere le vie del centro. Sabato è una giornata in cui fare shopping è massacrante, ma, come dimostrano due sacchetti di carta pieni di oggetti irrilevanti, abbandonati in cucina, calze, libri, blue ray, l’obbiettivo non era approvvigionarsi di articoli in saldo.
Do aver lasciato i figli con il mio ex marito, mi è balenato in testa di chiamare un amico che non vedevo da un po’. Poi l’esigenza di libertà nei movimenti e nelle scelte ha avuto la meglio.
Vagando e divagando per le strade di Milano sono stata colpita dalle vetrine ancora piene a due settimane dall’inizio dei saldi.
Alcune insegne dai contenuti ammiccanti mi hanno riempito di tristezza. I commenti delle persone che occupavano gli stessi angusti spazi alla ricerca di un irrinunciabile oggetto dei desideri mi hanno accompagnato per ore.
Alle 8, quando ho raggiunto un amica al cinema avevo collezionato badilate di occasionale e abbondante, espressiva e variegata umanità, sotto forma di i incontri e interazioni casuali.
La Talpa mi ha tenuta due ore inchiodata allo schermo, non riesco a trovargli un difetto, fatta eccezione per la sala, + angusta e puzzolente di quanto sia verosimile per un cinema di prima visione x quanto a Pavia. Per alleviare la tensione sulla schiena che risentiva degli esercizi della mattina, Infilo la giacca tra me e lo schienale. Sarà stato in questo modo o forse poco dopo, nel bar dove ho invitato la mia amica ad un irish coffe, che avrò perso la banconota da 50 euro che avevo messo nel taschino frontale insieme al telefono.
Me ne sono accorta solo arrivata a casa.
Sono salita in stanza con almeno 10 riviste acquistate di recente alcuni libri mezzo iniziati, ma dopo qualche minuto, nonostante il gatto continuasse a miagolare fuori dalla mia porta, sono caduta nel sonno. la prima volta mi sono svegliata verso le tre, con l’intenzione di mettere una seconda porta e le scale tra me e il gatto molesto.
Alle prime luci dell’alba ho ceduto alla preghiera incessante del quadrupede domestico e sono uscita a liberarla in giardino. Tornata a letto cercavo di concentrarmi sul nullapensiero e tornare a dormire, ma come vento tra le lenzuola un idea incontenibile gonfiava i miei pensieri . I poveri non hanno accesso al credito! La costituzione di società a costo zero, l’abbattimento degli onorari imposti dalle categorie professionali, la liberalizzazione di alcuni settori merceologici e fasce orarie di commercio, hanno cominciato a impastarsi con la visualizzazione di questi 50 euro che escono dalla ia tasca e sono trovati da qualcuno, chi? Qualcuno che ne avrà potuto godere e forse per il buon umore di inaspettata buona sorte abbia avuto una ricaduta anche migliore su chi non va al cinema, o non entra nei bar,che non ha accesso al credito ne soldi da spendere in quei luoghi.
Una fantasia paragonabile a quella che ho inscenato per calmare le lacrime di mio figlio, che pensava alla volpe, alle macchine che corrono veloci sulle strade di campagna, ai gatti senza giudizio.
Però alla fine il gatto era vivo, e se premeva per uscire ancora questa mattina qualcosa di buono e di irrinunciabile la fuori ci dev’essere, non solo per i gatti intendo.
Forse no, i criceti corrono in una ruota di plastica all’interno di una gabbia, chi sa cosa gli frulla in testa. é buffo perché un criceto di peluche meccanico con molti accessori tra i quali la gabbietta con tanto di ruota, riscuote parecchio successo sulle letterine a babbo natale degli ultimi due anni. Chi è mi chiedo, quel genio del male che ha saputo lavorare sull’immaginario infantile tanto da fargli desiderare la rappresentazione di una vita in prigionia?
Un topo che non mordicchia, non rilascia sgradevoli ricordini, non fa danno alcuno a chi potrebbe mai interessare se non ad altri topini che possono esercitare e scaricare l’esperienza di prigionia su un simulacro di plasica? Non è un pensiero originale, Filip Dick ci ha scrito un fantastico romanzo di psico fantascienza,anche se meno famoso di Blade Runner.
I suoi racconti sono diventati soggetto di film best sellers solo quando lui era oramai impossibilitato a vederli da due metri di terra o poco + che pesano sulla tomba in cui giace a Santa Ana, California
Anche per  Le tre stimmate di Palmer Eldritch c’è quindi la chance che diventi un interessante film i 3d
speriamo solo un FILM.

Dipende da tre cose

-Se una persona a cui hai già detto tante volte di non fare una cosa continua a farla- ho chiesto a mio figlio- tu cosa fai + spesso, le rispieghi o lasci correre?-

-dipende da tre cose- mi ha risposto-di che umore sono, se mi sta simpatica quella persone, quanto nei guai si può cacciare se non le spiego.-

-E allora quando io non capisco una cosa e tu e tuo fratello, a mie ripetute domand, rispondete “va beh”?-

-Ma quelle non sono cose importanti mamma-mi dice lui rendendomi evidente che mi sto soffermando pretestuosamente su un dettaglio irrilevante e poco filosofico.

Allora tra me penso che forse quando usiamo questi tre criteri in realtà stimo escludendo gli altri, ossia non solo quanto ci si possa mettere nei guai facendo una cosa che reputiamo sbagliata, e quanto si possano mettere nei guai gli altri, ma e anche se noi siamo l’altro con cui il soggetto testardo potrebbe mettersi nei guai

Un amica tempo fa mi raccontava di essere andata al bar e di aver chiesto un caffè, era il bar sotto casa, nel quale lei andava abitualmente, -Invece del solito caffè, + bicchierino d ‘acqua mi vedo arrivere solo il caffè. Lo sa che il caffè va sempre accompagnato da un goccio d’acqua?- fa lei. -Il barista precedente me lo serviva sempre così ed è una cosa che fa piacere. La gente va educate -disse a conclusione del racconto- altrimenti come fanno a sapere perché, se mai decidessi di farlo, ho cambiato bar.

Sorge un problema, l’estraneo , colui che ci conosce appena, notano ogni cosa che può mettere a rischio la propria posizione nei confronti dell’altro. Tal volte si arriva a fare pensieri assolutamente speculativi sul perché di un occhiata o di una risposta. Perché tutti vorremmo sempre essere nel giusto e siamo proni a scaricare sull’altro ogni cosa che non ci torna: -cosa gli avrò mai fatto per tirarmi una simile occhiatacci?! –

Che siamo egocentrici lo dimostra il pensiero condiviso che l intero universo sia stato creato perché noi si possa abitare la terra.

Dunque l’amico,il parente, lo stimato collega a furia di giustificare quello sguardo o quell’atteggiamento, (altrimenti dovrebbe mettersi così spesso in discussione da non arrivare mai a fare ciò che deve tutti i giorni) ha smesso di essere attento, ha creato un cortocircuito, tanto che spesso leggiamo o ascoltiamo commenti insensati relativamente ai più prevedibili e a volte anche tragici eventi. L’assassino stupratore era sempre stato una brava persona, il folle omicida un mite depresso, il suicida uno tranquillo che non si sarebbe mai potuto dire…

Insomma se vuoi sapere qualcosa non fare domande che ti confondi solo le idee, le risposte sono spesso la proiezione di noi stessi, lungi dall’essere la verità, bugie dette nell’assoluta buona fede di chi metterebbe la mano sul fuoco sulla propria oggettivitá

Ieri ascoltavo un programma radiofonico, si parlava della responsabilità e a chi attribuirla, riguardo al recente naufragio. -Vede- si accingeva l esperto interrogato dal giornalista, -in ufficio si fanno molte riunioni, a danno del rendimento produttivo di un azienda, solo per condividere una responsabilità, come a dire siamo tutti qui siamo tutti coscienti ed eventualmente colpevoli. Quindi non si decide mai niente, l unanimità o l’assenso sono mero quieto vivere, perché nessuno che sia sano di mente si espone per dire il suo reale pensiero /opinione. In mare le riunioni sono unicamente operative, per comunicare ad ognuno il suo compito, la gerarchia non concede nessuna condivisione. Il capitano decide e del capitano è la colpa se le cose si mettono male, così come la colpa e di tutti quelli che non hanno obbedito o non si sono attenuti al codice.

Quando mondi cosí diversi si trovano a operare insieme ogni giudizio è vago perché missione e paradigma di ognuno non potrebbero essere + diversi. La compagniaCosta, sono gente di terra e di ufficio. Il personale di bordo, gente di mare. Chi ci va di mezzo non avrà credo mai un unica versione dei fatti se non una versione arbitraria, mediata e mediatica che possa funzionare fino a che non verrá dimenticata. –

Quindi arivo al mio piccolo e penso che tutto sommato essendo che io e l altro apparteniamo ad universi paralleli ma diversi, a nulla serviranno le mie spiegazioni, soprattutto se come la luna e il sole siamo l una abituata a vedere l’altro ogni bardo che separi la luce dalle tenebre.

Solo qualora gli astri, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire, cambiassero bruscamente la loro traiettoria, solo allora forse e forse troppo tardi, la distrazione potrebbe diventare prima attenzione e poi attrazione; come il sogno per la realtà, come lo scoglio per il vascello,  come la vita per la morte.

befane, draghi e altre meraviglie tra i globuli bianchi

Il mio frigo fà rumore perchè ha quasi 25 anni e la caldaia fa eco xchè ne ha dieci e i vecchi si sa, brontolano sempre ma di quello che vorremmo sapere ci raccontano molto poco

Anche in una casa di campagna come la mia ci sono rumori che ti accordano ad un tempo meccanico, all’operosa industria del consumo. Dalla finestra un aereo di linea interrompe il blu pristino del cielo già sporco di lunghi rami scuri rigidi e privi di ritmo vitale. In lontanaza campane che suonano senza muoversi.

Non riesco a separarmi da questi due elttrodomestici, e non è una questione economica è orrore di ciò che non conosco.

Fino a ieri la novità mi spingeva fuori dal letto, mi faceva fare le scale 4 a 4 e non c’erano porte o murate che potessero contenermi. Stavo imparando, mi sembrava che non ci fosse un grano di riso uguale all’altro, volevo che tutto fosse diverso e per me lo era.

Provo a chiedermi se ciò che mi fa paura non è ciò che non conosco, ma ciò che conosco gia e non mi piace. Come separare ciò che non conosco dal riconoscere l’affezionato ritornare di vecchi nemici ristrutturati dall’opera ingegnosa e creativa del design ?

Come difendersi da quello che sappiamo già non funzionerà senza chiudersi al nuovo, al diverso, al dopo e al prima?

Mi disturba l’idea che quando altro da ciò che è consolidato fa capolino, riceva sempre un freddo e tal volta ostile benvenuto. Sarà x questo che se ha la fortuna e la stamina di insediarsi, a sua vota elimina tutto ciò che lo ha preceduto e ostacola tutto quello che sta per arrivare.

Allora penso che potrei adottare un criterio elettivo che si basi sull’accoglienza e l’integrazione, per esempio riparare il mio frigo invece di sostituirlo. Il frigo è passivo, o sufficientemente passivo perché me ne possa occupare con tempo e voglia di avere a che fare con gli altri, i creativi del frigo!

Ma che dire di un amico, un collaboratore, un marito. Certo non sono soggetti passivi e in + si relazionano, con pessimi risultati, con la popolazione dei creativi la fuori. Spesso sono loro stessi dei creativi.

L’istinto è quello di un globulo bianco nei confronti di un agente patogeno. L’aggressività che conteniamo o alla quale diamo libero sfogo è genetica, fa parte dell’istinto di sopravvivenza, è connaturata all’essere vivente. Ci vuole grande ricchezza di ogni risorsa per dare il tempo al nuovo di rivelarsi e comunicare le sue intenzioni, ricchezza per non perire in caso di esito nefasto, ricchezza per non perdersi in caso di esito troppo zelante, ricchezza di non accomodarsi in caso di presa per il culo.

Mio figlio scende le scale si stiracchia e mi si siede sulle ginocchia.

Lo abbraccio e lo sbaciucchio, poi penso, se io fossi un globulo bianco e lui qualcosa di nuovo che arriva dall’esterno, quante possibilità avremmo di poterci godere un momento come questo?

Dal fagotto arancione che la befana ha lsciato nel nostro camino escono due automobiline di plastica moto attese, finalmente si potrà usare la pista ricevuta per natale

Gli involucri sgargianti sono un insulto a qualsiasi tipo di politica per il contenimento dei rifiuti e la possibilità di smaltirli per vie differenziate, ma questo non sembra attirare l’attenzione dei miei figli in alcun modo, la confezione non li eccita ne li disincentiva. L’interesse è tutto sulla morfologia vicarita dai due simulacri. Di uno è in discussione l’appartenenza al regno dei pesci o dei mammiferi, 15 minuti di discussione sull’osservazione della pinna riprodotta nell’immagine della carta digitale che servirà ad aumentarne la potenza. Dell’altro, subito viene colta la differenza tra viverna e drago. Cerchiamo sul web informazioni aggiuntive, sporattutto perchè Geo, il + piccolo, sembra deluso di sapere che la sua automobilina non sia un vero drago. Quando apprendiamo che la viverna non sputa fuoco  e ha due arti in meno del drago, ma possiede un pungiglione sulla coda e doti magiche, tanto da essere dei due il + temuto, subito riguadagna terreno. Questo rettangolo di plastica colorato del tutto simile a molte altre automobiline già viste, acquisice il fascino delle cose magiche non meno del al gatto di casa, la bacchetta magica di sanbuco e i soldatini di Warhammer.

Mio figlio lupo. quindicenne è felice di sfoggiare le sue conoscenze mitologiche e dedica un ora del suo tempo alla costruzione e prova della Pista insieme al fratellino di 9.

Forse siamo vittime del consumismo e perdutamente sordi alle + basiche regole di questo vivere nella coscienza dei nostri tempi, ma crediamo nella befana come nel potere della cioccolata calda. Speriamo che i draghi esistano da qualche parte e che gli squali uccidano perché non possono fare altrimenti.

Forse cambierò il frigo e  posso presagire che quando Il drago salirà in cielo nell’equinozio di primavera,  la stessa sorte toccherà probabilmente anche alla caldaia.

Ti auguro e mi auguro…

“…e vorrei tanto che imparasse che le azioni che gli esseri umani perpetrano gli uni contro gli altri non sono solo aberrazioni, ma una parte essenziale di quello che noi siamo. In questo modo soffrirebbe meno. Il mondo non le crollerebbe addosso ogni volta che le succede qualcosa di negativo”.

Forse questo, oltre che un buon consiglio (Paul Auster in Uomo nel buio) è anche un punto di partenza per  distinguere senza giudicare, perchè non sono solo ma sono anche. Il distinguere il Solo dall’Anche ci può dare il tempo e la distanza che occorrono per Vedere la differenza.
Perché una differenza c’è, è solo molto faticoso accettarlo.

Quest’anno + in ritardo degli altri anni, perché il tempo accelera e quindi manca
è proprio nell’ultimo giorno del 2011 che mi sveglio con il desiderio d augurare a tutti una cosa buona per l’anno in arrivo.
E’ proprio in questa mattina di sole, che guardando alle belle cose mute che la Natura ci offre, che capisco la differenza tra fare auguri e augurare

E per curare quellUno conto l’Altro di cui P.Auster dice così bene, ti auguro e mi auguro di condividere una buona cosa per il nuovo anno


Muto Natale

Questo natale è per me un natale “Libero”. libero dall’esigenza di fare, libero di ricevere, sereno nel non ricevere.

Una natale in equilibrio sommo sul puntale , precario, ma catartico, perchè a guardarlo dalla base dell’albero sembra magico che tutto quel peso scintillante abbia resistito al vento e ai gatti e noi, e abbia oscillato in qua e in la e ancora lo faccia senza cadere.

E’ bello guardare alle cose mute. Quante parole, molte e troppe non nostre.

Oggi il sole bagna il cortile e l’umidità imprigionata dalle tenebre sembra la neve del mio presepe.

Il “Grazie”nasce spontaneo e non è a chi e non è perché, ma solo “è”

Condivido con chiunque la mia gioia e auguro a tutti questo Natale

Il mercato degli asini

Sabato 15 ottobre 2011 (Giornata internazionale degli indignati) …

Un uomo in giacca e cravatta è apparso un giorno in un villaggio.

In piedi su una cassetta della frutta, gridò a chi passava che avrebbe comprato a € 100 in contanti ogni asino che gli sarebbe stato offerto.

I contadini erano effettivamente un po’ sorpresi, ma il prezzo era alto e quelli che accettarono tornarono a casa con il portafoglio gonfio, felici come una pasqua.

L’uomo venne anche il giorno dopo e questa volta offrì 150 € per asino, e di nuovo tante persone gli vendettero i propri animali.

Il giorno seguente, offrì 300 € a quelli che non avevano ancora venduto gli ultimi asini del villaggio.

Vedendo che non ne rimaneva nessuno, annunciò che avrebbe comprato asini a 500 € la settimana successiva e se ne andò dal villaggio.

Il giorno dopo, affidò al suo socio il gregge che aveva appena acquistato e lo inviò nello stesso villaggio con l’ordine di vendere le bestie 400 € l’una.

Vedendo la possibilità di realizzare un utile di 100 €, la settimana successiva tutti gli abitanti del villaggio acquistarono asini a quattro volte il prezzo al quale li avevano venduti e, per far ciò, si indebitarono con la banca.

Come era prevedibile, i due uomini d’affari andarono in vacanza in un paradiso fiscale con i soldi guadagnati e tutti gli abitanti del villaggio rimasero con asini senza valore e debiti fino a sopra i capelli.

Gli sfortunati provarono invano a vendere gli asini per rimborsare i prestiti. Il corso dell’asino era crollato. Gli animali furono sequestrati ed affittati ai loro precedenti proprietari dal banchiere.

Nonostante ciò il banchiere andò a piangere dal sindaco, spiegando che se non recuperava i propri fondi, sarebbe stato rovinato e avrebbe dovuto esigere il rimborso immediato di tutti i prestiti fatti al Comune.

Per evitare questo disastro, il sindaco, invece di dare i soldi agli abitanti del villaggio perché pagassero i propri debiti, diede i soldi al banchiere (che era, guarda caso, suo caro amico e primo assessore).

Eppure quest’ultimo, dopo aver rimpinguato la tesoreria, non cancellò i debiti degli abitanti del villaggio ne quelli del Comune e così tutti continuarono a rimanere immersi nei debiti.

Vedendo il proprio disavanzo sul punto di essere declassato e preso alla gola dai tassi di interesse, il Comune chiese l’aiuto dei villaggi vicini, ma questi risposero che non avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo poiché avevano vissuto la medesima disgrazia.

Su consiglio disinteressato del banchiere, tutti decisero di tagliare le spese: meno soldi per le scuole, per i servizi sociali, per le strade, per la sanità … Venne innalzata l’età di pensionamento e licenziati tanti dipendenti pubblici, abbassarono i salari e al contempo le tasse furono aumentate.

Dicevano che era inevitabile e promisero di moralizzare questo scandaloso commercio di asini.

Questa triste storia diventa più gustosa quando si scopre che il banchiere e i due truffatori sono fratelli e vivono insieme su un isola delle Bermuda, acquistata con il sudore della fronte. Noi li chiamiamo fratelli Mercato.

Molto generosamente, hanno promesso di finanziare la campagna elettorale del sindaco uscente.

Questa storia non è finita perché non sappiamo cosa fecero gli abitanti del villaggio…

linz

Di recente, in un libro, leggo un passaggio che allude ad una pratica esoterica esercitata al forno:” Uccidi il vivo per resuscitare il morto”. Pratica che io esercito nella vita di tutti i giorni quando faccio domande, sarà per questo che (come mi hanno detto di recente a Linz) le mie domande sono così scomode?

Godetevi le foto:
gialal ad-din rumi nacque in persia nel 1207 e morì in turchia nel 1273, maggiore poeta mistico della letteratura mondiale

qui una poesia che mi è piaciuta fra le tante per voi del gruppo di linz (Simona)

EVOLUZIONE

ogni forma che che vedi ha il suo tipo supremo nell’oltrespazio:
se la forma scompare, non temere: la sua radice è eterna.

Ogni immagine che vedi, ogni discorso che ascolti
non penarti quando scompare, che’ questo non è vero.

Poiché eterna è la fonte, i suoi rami scorrono sempre,
e poi che ambedue mai cessano, inutile è il lamento.

Considera l’anima come fontana e le opere come rivoli:
finché la fonte dura ne scorrono freschi i ruscelli.

Via dal cervello il dolore, e di quest’acqua pur bevi;
non temere che si secchi, è acqua senza sponde!

Da quando tu venisti in questo mondo d’esseri
davanti ti fu messa, per salvarti una scala.

Fosti dapprima sasso, poi divenisti pianta
e ancora poi animale: come ciò t’è nascosto?

Poi divenisti uomo con scienza, mente e fede:
guarda come ora è un Tutto quel corpo, già parte di terra!

E, trascorso, oltre l’uomo, diverrai angelo certo
oltre questa terra, dopo: il tuo luogo è nei cieli.

E passa ancora oltre l’Angelo e in quel Mare ti immergi:
così tu goccia, sarai mare immenso e oceano.

Smetti di parlare di Figlio, di’ col cuore uno.
Se il tuo corpo è vecchio, a che temere, se l’anima è giovane?

sono andata in un blog e ho trovato commenti di sicialiani sui sufi, imperdibile questo:

A mia fragamende lo desviscio ma pare popprie nu frocio turgo colla gonna rotelante como lallama rodande de mezzinga, lu cattone nimato ciapanese. ma nu sa zarvecognine sti dervisciati da anna ngiro colla gonna comme a froci?
Postato lunedì, 30 aprile 2007 alle 6:59 pm da ORONZO LAMERDUTA

privata o pubblica l’acqua un bene prezioso

In prossimità del referendum forse è bene ascoltare esperienze di prima mano

un amica mi scrive:

“allora ho chiamato sergio, il papà di giada che lavora all’acqua potabile da trent’anni

lui dice che non capisce perché un milanese dovrebbe votare no, nel senso che il servizio dell’acqua a milano è sempre stato efficientissimo anche da quando è in mano in parte alla metropolitana milanese.

1. il paese è altamente corrotto e abbiamo oramai infiltrazioni camorristiche anche al nord. La privatizzazione essendo che noi NON siamo un paese virtuoso consentirebbe a merde umane (vedi giro di affari intorno al pattume) di mettere le mani su un bene collettivo.

anche una gestione con controllo del pubblico non ci garantisce perché elenco di amministratori collusi ne abbiamo a raffica (vedi scotti che ha appena corrotto funzionari pubblici per intascarsi u7 MILIONI DI EURO della comunità europea e riempire il cielo di pavia di tossine bruciando sostanze pesanti). Se il pubblico agisce male abbiamo sempre lo strumento di mandarli via con il voto, se hai un’amministratore delegato di un’azienda privata che gestisce l’acqua te lo tieni almeno per 25 anni (i contratti hanno queste durate) NESSUNO LO MANDA VIA.

In sostanza se il pubblico controllasse veramente perché no, il fatto è che il privato frega e il pubblico non controlla.

2. ci sono tre casi italiani di gestione privata di cui uno in Lazio. L’acqua non è migliorata, la bolletta è aumentata e la differenza se la mettono in tasca i privati e sicuramente non spendono soldi per mettere in ordine il sistema idrico che in Italia pare sia veramente obsoleto (come tutto oramai). Inoltre in Italia vedi tv si passa sempre non a vera libera concorrenza ma al massimo a duopoli (rai/mediaset) anche perché le multimazionali interessate al business dell’acqua pare siano 2/3 al massimo. Una francese la suez, per tutte. Quindi dopo il settore alimentare i francesi si prenderebbero pure l’acqua italiana. Peraltro è decenni che le multinazionali cercano di appropriarsi dei bacini idrici boliviani, non credo per il bene dell’umanità.

3. Parigi, Valencia dopo 25 anni di privati nell’acqua stanno tornando al pubblico perché non funzionava la gestione privata, quindi forse bisognerebbe vedere cosa succede nella vicina europa. questa legge intende appaltare il 40 per cento delle risorse idriche italiane. Il paese è troppo corrotto per permettersi una cosa del genere e non curare un bene della collettività, così prezioso, dato che è previsto che le guerre del prossimo secolo saranno per l’approvvigionamento idrico.

questo quanto”

oggi non compro

L’altra sera quando il gatto è sparito x 24 ore ho fatto un fioretto: ho detto che se lo ritrovavo mi sarei messa a dieta.
Poi siccome la dieta richiede una scelta che non sono in grado di fare, ho ripiegato su: non mangio alla sera fino al falò. per ingannare il tempo di cena ho letto
Ieri ho finito “Esche vive”
Il libro è carino ma io un libro così non so se vorrei scriverlo.
Qualcuno ha detto che chi scrive lo fa xché ha qualcosa da dire e non tanto x dire qualcosa, però non è così semplice definire nettamente le due tipologie. Diciamo che persino un messaggio pubblicitario dice qualcosa xhé deve creare un esigenza, ma allo stesso tempo chi lo fa soddisfa una sua necessità di raccontare.
Ho sentito un commento molto illuminante in merito al nostro presidente del consiglio
Trattasi di genio, o di genialità,della forma di comunicazione utilizzata, definita scientifica  :
L’obbiettivo è quello di essere sempre al centro dell’attenzione= massima visibilità, la tecnica è quella della provocazione, assai + facile ottenere un commento se lo strappi dalle trippe di qualcuno, piuttosto che ottenerlo per ragioni di merito, contenuto, ecc…
Il giornalista della Rai che sosteneva questo dice di occuparsi di Berlusconi da 14 anni e dice anche di sapere x certo che nulla di ciò che fa o dice è casuale. Ogni cosa è studiata a tavolino per ottenere il massimo della copertura mediatica (la tecnica aggiungo io, è quella dello show-business stile paparazzi, gossip ecc dove le star creano o sfruttano gli incidenti per acquisire notorietà e a questo servono gli uff stampa con le palle!) tecniche conosciute e ampiamente descritte dal libro “Storytelling”, dove si parla di campagna elettorale che dura per tutto il mandato politico e non solo a supporto delle elezioni.
Così come l’utente finale di un prodotto ha il potere di acquisto per premiare o votare contro, l’utente finale in questo caso ha il potere di non alimentare il fuoco CESSANDO DI FORNIRE commenti sdegnati, dichiarazioni contrarie, denunce mediatiche, in modo da ridurre l’ossigeno al minimo. Insomma come diceva il buon Colombo (anche se non in merito a questo) astenersi dal fare, dargli abbastanza corda e stare a guarda chi si impicca da solo) ignorare e avere le palle di dire di no, non comprando certi prodotti che sono la televisione prima di tutto, il cinema e tutto il resto di cui si sa, astenendosi dal dichiarare che fa schifo o che siamo contrari, perché tanto si è capito che in questo tipo di battaglia c’ è chi è + forte, + strategico e ha grandissima potenza di fuoco.
Nell’astenersi bisogna anche astenersi dall’appoggiare chi campa grazie all’opposizione, i vari Benigni, Guzzanti, Grillo ecc ecc. Insomma bisognerebbe non andare + al cinema o a teatro,ne guardare i vari speciali, programmi di denuncia e talk-show indipendentemente dal vento che tira in studio, boicottando soprattutto le produzioni italiane di qualsiasi genere, soprattutto quelle che fanno opposizione e satira, e anche quelle che in qualche modo offrono modelli, vedi i vari polpettoni di natale i cui incassi alimentano anche  il fondo cassa per la propaganda del Nostro. Ma pure i libri che ci illuminano sul tessuto sociale e politico ( Gomorra & C )… Purtroppo ci andrebbe di mezzo anche chi non vogliamo punire, e poi che noia senza farsi 2 risate o versare 4 lacrime alle nostre stesse spalle! Dovremmo assumerci la responsabilità di ciò che facciamo e scegliamo tutti i giorni, Invece di scaricarla su idoli temporanei o duraturi,siano questi giornalisti, scrittori, politici o artisti.
Questa è proprio una lotta dura! Chi può chiederci tanto?
Io in prima linea voglio giustificare la mia di pigrizia, il mio di assenteismo, infatti, la notizia di questi giorni è che il battibecco, di tipo scandalistico sdegnatorio tra Moratti e Pisapia, ha portato maggior affluenza alle urne.
Allora, avevo deciso di andare a votare e annullare la mia scheda, e invece no, questo prodotto non lo compro, voglio fare parte di quella minoranza che comincia a essere critica, che si chiede xché e per cosa e x chi devo andare a votare e siccome non c’è risposta, me ne sto a pensare ai cazzi miei, che se proprio devo essere egoista e fottermene del mondo, preferisco farlo per una buona causa: me!

sei libero?

ciao priscilla
un’amica a roma si sta laurendo in sociologia con una tesi sulla libertà, cosa è oggi libertà come persona e poi come donna… domanda di una certa profondità e vastità.

Per me libertà è data da dentro, mai da fuori.

Se la libertà viene da fuori questa per statuto non c’è, si nasce e la prima mossa è la registrazione del codice fiscale da lì in poi è tutta misurazione, calco prestabilito fatto di censo, razza, geografia, aspettative patriarcali e matriarcali.

Quindi in sostanza non ne vedo da fuori.

O meglio la libertà individuale si intreccia visceralmente con quella sociale. Forse libertà è per forza di cose nella relazione con il mondo.

Parte dunque da un’esperienza interna che paradossalmente coincide con la liberazione da se stessi per partecipare nel mondo. Quindi non viene da fuori ma ti porta fuori da te. Sono libera quando mi dimentico di me, della mia testa nell’accezione di testa vincolante, di testa padrona di tutto. Sono libera quando dimentico le mie idee, i miei pregiudizi e accolgo.

Quando ho sincera intimità con le persone, quando faccio l’amore, quando corro in un prato e sento il vento e la terra. Quando mi sento unita al tutto. Liberata dall’ego.

E’ quando coincido con quello che sono, quando incontro il mio daimon lo riconosco e lo incarno senza falsità. Come direbbero testi sacri indiani TU SEI QUELLO, come direbbe la grecità CONOSCI TE STESSO. Quando c’è coincidenza fra il fatto e quello che sono.

E’ quando non ho paura (ancora la paura appartiene alla testa e si trasmette al corpo). Dire quello che penso al momento giusto, dire un sentimento, dire un desiderio, come donna mi sono sentita liberata quando ho detto ad un uomo che lo desideravo oppure che potevo fare a meno di lui perché i percorsi non coincidevano.

E’ l’indipendenza economica che permette il movimento fisico di conoscenza, viaggiare per esempio. E’ quando ho tempo.  Soprattutto come donna libera professionista con un figlio. Quando dilato ed estendo come un elastico tempo e spazio. Quando creo nuovi mondi e nuove assonanze per lavoro. Nella creatività mi sento libera.

Quando nessuno sa dove sono, quando rispetto la relazione che ho davanti e la faccio fluire libera per quello che è togliendomi da quello che vorrei o che dovrebbe essere. Mi sento libera quelle rare volte che c’è armonia fra corpo e mente.

Mi sono sentita liberata quando ho partorito, viaggiato da sola, smesso di fumare, quando non ho detto a tutti quello che facevo. Quando ho tenuto il segreto. Quando ho chiesto a mia madre di stringermi forte.

Se penso ad un’immagine che mi porta alla libertà penso ad un funambolo, a un soffitto che diventa un pavimento, ad un respiro, al vento che colpisce le foglie dell’albero, allo schiamazzo in cortile dei bambini, la trasparenza, il vuoto, l’acqua.

Lo scritto è sensibilmente legato al tempo presente, la riflessione cresce con me.

aspetto tue e di altri, simona

Un tetto per l’arte

Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima –   Fernando Pessoa –

http://www.artnews.rai.it/dettaglio_puntata.aspx?IDPuntata=1024

“Per fare qualcosa di diverso dalla televisione bisogna essrere televisione”. Questo uno degli enunciati proposti all’interno di una mostra dal titolo Are you Ready for TV?” Che si puo visitare in questi giorni al MACBA di Barcelona.

Per distinguersi da qualcosa, bisogna prima essere uguale a qualcosa. Così funziona la natura,il processo di evoluzione.
I motivi di ciò sono che l’imitazione è uno degli strumenti più efficaci di conoscenza, quindi attraverso il processo di mimesi si creano prima simili e poi dissimili .Inoltre sembra che il nostro modo di approcciare la vita sia prima di capire ciò che non vogliamo. Questo processo di esclusione è spesso empirico, ma non è inusuale che di associazione in associazione si possa riconoscere come proprio qualcosa di molto distante da se. La sofferenza, l’ inadeguatezza, che ne derivano potrebbero spingerci a cercarcare nel diverso ciò che ci appaga: l’urgenza dell’arte.
I filmati in mostra riproducono, campionano una realtà mediatica. Parlano di concetti, filosofia, politica,storia, arte… senza spendere parole, ma solo riproducendo immagini. Le sequenze, la collocazione temporale e geografica, compiono il miracolo.

Questo ovviamente è reso possibile dall ‘immenso autorevole potere dell’etichetta referenziante dello spazio museale che le ospita, uno spazio architettonico firmato da un brillante architetto, nel cuore pulsante di una città famosa per per la sua necessità di distinguersi dal resto della Spagna, utilizzando ogni strumento, compresa la lingua; Barcelona di Catalunya.

Come ci mostra uno dei video esposti , classificato sotto la sezione: l’ instancabile comico, l’arte, soprattutto quella concettuale, al di fuori di uno spazio museale dedicato, perde la sua oggettività.
Accade per delle linee tracciate sul muro di una sala espositiva che si portano senza soluzione di continità all esterno, diventando semplici linee, che forse sono decorative, o utili ad informare riguardo all utilizzo di quello spazio sul muro di un cortile? Un banale passaggio di cavi? un indicazione a non parcheggiare?

La Montagna di Sale, istallazione  di Domenico Pladino che a breve comparirà in piazza Duomo a Milano,  spostata all uscita di un casello autostradale perde la sua oggettività artistica e diventa sale da spargere sull’ asfalto, quindi simbolo e avvertimento di imminenti nevicate.
Al di fuori dello spazio museale, le immagini della mostra al MACBA tornano ad essere solo televisione, come Cenerentola, pur rimanendo fisicamente le stesse, perdono la regalità che la scarpetta di cristallo e cemento, ideata da Richard Maier, ha loro conferito.
C’e quindi da chiedersi: ma il museo fa l’ arte?
Apriamo qui un altro capitolo che potremmo chiamare la costruzione e affermazione di un simbolo.
L’ architettura costruisce simboli largamente condivisi, conferisce materialità e stabilità all’ effimero concetto di arte. Il binomio arte e casa dell arte ha forse punti di contatto con l’ arte primitiva?

La casa Degli uomini haus tambaran in nuova Guinea, un edificio imponente, costruito interamente di vegetali, contiene pezzi di arte primitiva, sono oggetti di uso privilegiato, ossia che vengono ideati e costruiti per essere dedicati a particolari occasioni di importanza assoluta, la vita, la morte, l’ età adulta, il genere… Mi spingerei fino a dire che l’ arte concettuale chiude il cerchio, si ricongiunge con l’arte primitiva. Utilizza imitazioni di oggetti di uso comune, facendone simbolo concreto, ma allo stesso tempo astratto, del potere e della solenità, che l’uso di questi oggetti, ha loro conferito. Per consentire la consevazione di questi oggetti, simboli, poteri, viene loro dedicato un posto architettonicamente imponente e autorvole, che duri vettorialmente nel tempo, che elevi a forma d’arte ciò che oggi è stato scelto dall’establishment per il popolo e preservi nel domani, per la storia di chi verrà.

BIPARTISAN O BIPOLARI?

Questa lettera di protesta in cerca di condivisione, mi arriva in fw via mail da un’amica.

Decido, ad insaputa dell’autore , di pubblicarla e di rispondere

E’ significativo e appropriato che, nel momento delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, gli italiani, o almeno i rappresentanti istituzionali da loro liberamente eletti, soffino sulle candeline della torta confermando una delle nostre doti più caratteristiche: la capacità di fare i peggiori voltafaccia a cuor sereno, adducendo le motivazioni più false.

Il più vergognoso di questi voltafaccia è forse quello nei confronti di Gheddafi e della Libia. Un anno fa abbiamo dovuto assistere all’accoglienza da terzo mondo riservata al colonnello, col quale Berlusconi aveva addirittura firmato un trattato d’amicizia fra i popoli libico e italico. Durante lo scoppio della crisi, silenzio. E ora siamo pronti non solo ad assistere silenti all’invasione del paese, ma a parteciparvi attivamente, fornendo basi e truppe.

Forse che Gheddafi è diverso oggi, da com’era un anno fa? Ovviamente no. Il voltafaccia ha motivazioni molto terra terra, benchè il ministro della Difesa abbia coraggiosamente assicurato che nelle operazioni i nostri non metteranno piede sull’ex paese amico. Queste motivazioni sono che gli Stati Uniti e la Francia hanno deciso di intervenire, e c’è il rischio che ci sostituiscano nello sfruttamento commerciale del paese.

Naturalmente, le motivazioni di Obama e Sarkozy non sono molto più elevate. In fondo, presiedono entrambi paesi che sono ancora letteralmente coloniali: nel senso di possedere letterali colonie, che vanno da Puerto Rico alla Nuova Caledonia. E si tratta di paesi che hanno sempre avuto interessi in generale nel Nord Africa, e in particolare in Libia: ad esempio, il primo intervento armato che gli Stati Uniti effettuarono al di fuori del continente americano fu appunto un bombardamento su Tripoli, nel … 1804!

Ma restiamo ai nostri voltafaccia. Un altro è seguìto agli incidenti nucleari causati dal terremoto del Giappone. Mentre tutto il mondo faceva un esame di coscienza e meditava sull’energia atomica, il governo italiano continuava a dichiarare imperterrito che avrebbe mantenuto in vita il programma di costruzione delle centrali nucleari. Salvo accorgersi che la cosa poteva danneggiarlo dal punto di vista elettorale, come si è lasciata scappare “fuori onda” l’ineffabile ministro per l’Ambiente. E allora, marcia indietro, senza nessun problema.

Naturalmente, non possiamo dimenticare che è proprio grazie a questa nostra dote naturale che siamo risultati i veri vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Gli unici, cioè, che sono sempre stati dalla parte dei vincitori, per tutto il conflitto: prima con l’asse, e poi con gli alleati. All’epoca si diceva che eravamo il doppio di quanti sembravamo, cioè 90 milioni: 45 milioni di fascisti prima della guerra, e 45 milioni di antifascisti dopo.

D’altronde, a proposito di fascisti, cos’altro era il Concordato del 1929, se non un altro storico voltafaccia? Personale, dell’ateo Mussolini. E nazionale, dell’Italia risorgimentale che aveva sconfitto lo Stato Pontificio ed era sorta sulle sue ceneri. Per 68 anni, dal 1861 al 1929, appunto, quell’Italia era rimasta laica e libera, e da un giorno all’altro si era ritrovata clericale e coatta.

Eppure, nelle celebrazioni di questi giorni quell’Italia è assente. Perchè dovunque, in prima fila tra le autorità alle cerimonie, si vedono vescovi e cardinali. Quando non avviene il contrario, e ad essere in prima fila sono invece le autorità alle celebrazioni religiose. Addirittura, il 17 marzo, alla solenne messa celebrata dal Segretario di Stato e conclusa con il canto del Te Deum: che i preti, naturalmente, hanno ragione a cantare, per ringraziare Dio di aver reso così malleabili e generosi i governanti italiani.

Naturalmente, tra i cantanti del coro ce n’erano molti che stavano facendo anch’essi il loro bel voltafaccia. A partire dal presidente della Repubblica, (ex) comunista e ateo come il miglior Togliatti: responsabile, quest’ultimo, dello storico voltafaccia alla Costituente che causò il recepimento del Concordato clerico-fascista nell’articolo 7 della Costituzione laico-repubblicana.

Noi italiani siamo fatti così. E questo ci infonde speranza, perchè presto o tardi faremo un nuovo voltafaccia, e gireremo le spalle anche a Berlusconi. Non si troverà più uno che ammetterà che l’aveva votato, così come una volta non si trovava uno che ammettesse di aver votato la Democrazia Cristiana, che pure era il partito di maggioranza relativa. A festeggiare l’Italia dei voltafaccia, io aspetterò quel momento, anche se sarà ormai troppo tardi per gioire.

Io credo che sentirsi diversi in patria sia una delle nostre + grandi caratteristiche (noi popolo italiano) e questa lettera di protesta lo dimostra ampiamente.
Ci sono animali che si sono guadagnati da noi uomini appellativi come Gazza ladra, lurido maiale, furbo come una volpe…è abbastanza naturale che dal nostro punto di vista si classifichi, ma nessuno è così ingenuo o privo di buonsenso, da credere che così facendo le caratteristiche di questo e  quello abbiano alcun senso per loro (animali) o inducano a cambiamenti di direzione o presa di coscienza da parte loro (sempre animali) .
Mi scuso di utilizzare il mondo animale versus quello umano, ma è solo un basso stratagemma per non entrare in polemica utilizzando esempi + vicini e + calzanti, semplicemente perché il mio stato d’animo mentre scrivo e penso cio che scrivo, non è polemico , ma introspettivo (parlo/scrivo, “ad alta voce” in modalità IP)
Essendo che facciamo parte di un sistema mondo( e chi sa se a nostra insaputa di sistemi + complessi e e vasti molto al di la dell’universo conosciuto) penserei che accettare le proprie caratteristiche,( in pieno fiorire , abbozzate o al tramonto se parliamo di noi singolarmente, ma, di media ,in eguale matrice per noi come popolo) potrebbe essere un buon primo passo per per responsabilizzarsi su ciò che sembrano essere le conseguenze del nostro agire (sempre come popolo) e forse cominciare a credere di poter fare diversamente (sempe come popolo).
Accusare ingiuriare, fare la differenza tra noi e “Gli Altri”, visto che siamo qui in patria e volenti o nolenti utilizzatori, sfruttatori o sfruttati (il che non fa differenza perché nell’uno o nell’altro caso siamo comunque conniventi), da questo sistema paese, forse è un po’ingenuo, forse è un po’ infantile (sempre se parliamo di popolo ovviamente) e ci porta a quell’entropia tipica del perfetto bipolare, non a caso abbiamo proprio in questi giorni adottattato una parola che usiamo, in amniera molto mediterranea, proprio come la pasta, in tutte le salse.
Questa parola: BIPARTISAN,  o meglio l’uso vezzoso e modaiolo che ne fanno i nostri media come i nostri governanti  e noi stessi (che incidentalmente potremmo essere tra le fila degli operatori media o dei politici o di entrambi) mi fa venire in mente:
“La vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire”.
George Orwell
…sempre pensando ad alta voce mi chiedo, visto che ormai, soprattutto grazie a internet sia possibile comunicare tutto e il contrario di tutto, forse anche una fonte autorevole come quella citata ha bisogno di un aggiornamento,proprio come il modo di opporsi al “regime” avrebbe bisogno di sottoporsi ad un “question time“, prima di affrettarsi a dare risposte?
http://www.politikon.it/modules/news/article.php?storyid=1147

http://www.accademiadellacrusca.it/parole/parola_singola.php?id=2561&ctg_id=58

Serendipity

Ogni giorno apro la mail, guardo le news, faccio un giro sulle bacheche dei social, ma quanti messaggi di aiuto? Quante proposte x cambiare strada, corpo, cibo, vita, mondo!

Sono confusa, credo di non essere sola, o meglio di non essere la sola ad essere confusa.

Qualche giorno fa in una piazza di NY un ragazzo aveva un cartello al collo con su scritto hugs for free(regalo abbracci). Mi ha fatto sentire molto sola.

Ieri il mio trainer in palestra mi ha massaggiato con un cilindro di plastica la colonna vertebrale e non la smetteva + di dire quanto bisogno abbiamo di toccarci, di essere toccati.

Ho sentito un servizio su radio dj parlava di germi e di quanto questi fossero ovunque, anche sul carrello della spesa, di come fare a proteggersi.

Ieri mi arrivano mail di gente che non conosco ma che si trova in Giappone e mi racconta di come sta vivendo la paura e il dolore.In fondo commenti di amici indignati per l’indifferenza e l’assenza.

Oggi ricevo una catena travestita da idea sociale x abbassare il costo della benzina e me la manda una persona che quando la incontro a stento mi saluta, in effetti, sono stata l’amante di suo marito.

Poi , quando e dove meno me lo aspetto, su fb, una persona che sta facendo PR mi dice una cosa che sembra vera, sobbalzo, sbigottisco, sono incredula… In mezzo alle frasi fatte, alle citazioni, alle petizioni agli slogan e ai gingle, qualcuno ancora è capace di usare parole sue, pensieri suoi!

Ma allora c’è speranza, ancora il verbo è vita!

conosci, conoscimi, conosciti

Quando sono nata devo aver provato una grande solitudine, niente di ciò che conoscevo, si presentava davanti ai miei nuovi occhi, polmoni, derma. Un mondo alieno, ostile e doloroso. Poi ho cominciato a collezionare esperienza e nella ripetitività ho trovato il primo piacere. Piacere di riconoscere ciò che conoscevo. Credo che questo abbia caratterizzato tutta la mia vita, il piacere è associato a ciò che riconosco.

In questo mondo scarseggiano le cose belle, l’amore, l’incanto, il bene, la gioia…esiste la possibilità che scartando ciò che è nuovo xchè ostile e preferendo ciò che conosco xchè lo conosco, essendo il male meglio rappresentato del bene,  in tenera età mi sia sottoposta + frequentemente a esperienze negative che positive

E’ solo una supposizione , ma può essere che all’inizio abbia provato piacere per ogni cosa che riconoscevo, trascurando il piacere di per se stesso, la novità non veniva annoverata tra i piaceri. Piuttosto associata al mondo ostile e alieno. E’ quindi possibile che nella mia scala delle priorità abbia accettato di buon grado e prima, ciò che nella mia vita è accaduto +spesso. Solo dopo, molto dopo, tra le cose che accadevano spesso ho individuato ciò che riconoscevo ed era piacevole e ciò che riconoscevo ed era spiacevole. . L’ostilità e la novità, unite in un binomio primogenio, esperienza matrice, la nascita,  hanno possibilmente frenato in maniera importante il mio processo di conoscenza. In altre parole il processo cognitivo ha priorizzato in percentuale drammatica il mio gradimento delle cose conosciute, limitando le possibilità di eleggere la novità inquanto positiva e di conseguenza restrigendo gli input ascrivibili al sistema di valutazione .

Prematuramente impregnata dalla sofferenza + che dalla gioia, forse per questo motivo, preferisco ciò che è male, ma che conosco, rispetto a ciò che non conosco

Perchè i giappomesi vivono all’inferno?

desidero e sono posseduto

A volte fa paura pensare di avere desideri. Il desiderio è la negazione dell’avere e il possesso, si sa, è per ogni uomo la più grande forma di schiavitù. Soprattutto il possesso di ciò che ci sfugge, di ciò che non è nostro, di ciò che rischiamo di perdere.

Io desidero nella mia vita due sole cose: moltissimo amore e abbastanza soldi da poter essere generosa.
Sapersi accontentare, e con questo non voglio dire rinunciare, ma veramente essere capaci di essere contenenti, questo è il banale segreto.
Quando mi alzo alla mattina sono stranamente capace di accontentarmi, ma spesso, con il passare delle ore, perdo questa magnifica sensazione di accoglienza e di benevolenza nei confronti del mondo e ho la sensazione di cedere alla sconfitta e alla sopraffazione del mondo che è contro.
Meno male che tutte le giornate finiscono e si ricomincia da capo, meno male che abbiamo bisogno di dormire e che la stanchezza ci vince assai prima della disfatta.
Questa sera ho pensato che da ragazza, anzi, fin da bambina, così piena di forza e di salute, spesso la disfatta mi arrivava addosso molto prima della stanchezza. Allora mi sentivo veramente sola. Mentre ricordavo + con il corpo che con la mente, quella spaventosa, enorme, inoppugnabile solitudine, mi chiedevo se i miei figli magari proprio in quel momento, fossero in balia di un così terribile trasporto . Avrei voluto correre in camera del mio maggiore e abbracciarlo per gridargli con il cuore :non sei solo. Ma poi ho pensato che è grazie a tutte quelle volte, in cui mi sono sentita così incommensurabilmente sola, nel pieno della mia forza e della mia giovinezza, che oggi, molto meno giovane e inimmaginevolmente + debole, combatto con poco o nessuno sforzo, la sopraffazione delle  ore buie e vuote della solitudine.
Accontentarsi troppo presto sul cammino della nostra vita è assai pericoloso e così poco consigliabile, che auguro a tutti i giovani e forti, una sana, lunga e struggente solitudine
affinchè il tempo, che passa, ma sempre troppo velocemente o troppo lentamente, non debba + generaare sconforto, non debba + essere il valore preponderante che convoglia ogni desiderio al possesso.
Perchè ogni desiderio possa esser sognato in purezza,  libero di rimanere tale,e noi, liberi di desiderare,  anche quando e se il desiderio, dovesse prendere forma, qui e adesso.

Se non a San Valentino QUANDO?

Oggi, giorno di San Valentino, mi piacerebbe ricevere messagini anonimi, complimenti arditi, inviti a cena, mazzi di fiori e cioccolatini.

Si, piacerebbe, sono sicura, a un sacco di altra gente di mia conoscenza. Non solo a quelle femmine che hanno perso la speranza, ma anche a quelle che ancora ci credono

Se succedesse vorrebbe dire CHE ABBIAMO LE IDEE CHIARE.

Forse alla ricerca di qulache cartolina digitale, magari impiglita nelle maglie binarie del mio complicato sistema sociomediatico, ho spulciato tutti i blog, i social e gli account di posta di cui sono attrezzata.

Ad ogni clic mi è spuntato fuori un messaggio di solidarietà in keynote, pezzi del video relativi alla grande manifestazione di piazza di ieri e glaciali commenti a proposito di quanto commerciale, stupido e consumistico sia festeggiare il giorno degli innamorati. Sono a pezzi!

Io, non c’ero ieri in piazza, ero in Svizzera, stavo aiutando una amica che lavora per un emittente RAI a realizzare uno dei molti “tre minuti su” che affollano i palinsesti del nostro caminetto mediatico tricolore.

Com’è ovvio per una donna di mezza età, “…madre studentessa, precaria, giornalista, casalinga…” così ben evocato da Isabella Ragonese sul palco rosa della piazza romana, mi sono sentita immediatamente in colpa per non aver, nemmeno pensato, di “prendere tempo e poi prendere la borsa e uscire” x dimostrare anche io, essere solidale anche io, autorappresentarmi e promuovermi anche io…ma è stato un attimo, solo un attimo, perchè poi sono echeggiate le parole della sindacalista Susanna Camusso:

“…vorrei che quando si dice sesso  si parlasse di una relazione tra pari e non di un incarico politico…” che detto da lei deve aver evocato un bel po di sorrisi tra quelli che ebbe compagni del”età + bella.

Si, forse blasfema e volgare, ma ho riso e mi è passata, e ho riso ancor di + quando ho sentito Lunetta Savino recitare i monologhi della vagina “la vagina ha bisogno di confort” si perché è proprio vero che ne avrebbe bisogno (io per esempio inviterei tutti i maschietti a darsi da far con i SANVALENTINO di carta, digitali, profumati o cioccolatosi, festggiare fa bene, corteggiare meglio) ma mentre qui si evocano i dinosauri, da Anna Magnani a Eva Ensler, sempre nello stesso modo, con le stesse modalità della piazza , come giustamente o ingiustamente, scrive il nostro Beppe Severgnini dalle pagine del Corriere della Sera di oggi, insomma, mentre qui si discute di tutte le bambole del presidente, è possibile che salti il tappo in  tutta l’area mediorientale: a Teheran scendono in piazza incitando “death to dictators”.

Ho come la sensazione che siamo tutti nella stessa MARCIA ma sappiamo dove stiamo andando?

Condivido con Serena Dandini che “le manifestazioni di piazza non risolvono i problemi, a questo deve pensare la politica”. Credo anche che il grande coinvolgimento di piazza ci racconti che siamo tutti un po’ alla ricerca di qualcosa, qualcuno, che faccia la prima mossa verso un camabiamento, che non sappiamo esattamente come o dove, ma siamo pronti a spalleggiare chi si muove, ha idee, progetti, visioni.

Muovo una critica a queste donne, sorelle così piene di energia: Per fare qualcosa di diverso bisogna prima copiare e poi distaccarsi, copiare è un ottimo metodo x imparare a conoscere, però copiare se stesse mi sembra un po’ oltre. Non vedo provocazioni, non vedo sfide, non vedo quella potenza di rottura che può spiazzare e destrutturare lo stato attuale dei giochi.

Ma perché nessuna delle signore attrici, avvocati o socialmente impegnte hanno sfidato Silvio Berlusconi sul suo territorio?

Perchè non hanno proposto di essere invitate a cena, in prima serata, su una delle sue emittenti, avrebbero potuto fare domande e lui cercare di sedurle, sedarle e ricondurle alla femminilità…x innaugurare Un Reality, magari ” il + grande spettacolo dopo il big bang”…se non a San Valentimo QUANDO?

Il Non Edificio

La School of Art, Design and Media di Singapore è, probabilmente, l’università più avveniristica al mondo: costruita nel 2006, è stata definita un “nonbuilding”, un “non-edificio” di 18 mila metri quadri distribuiti su cinque piani. 

Immersa in un parco di 200 ettari, riesce a mimetizzarsi quasi fosse un capanno da caccia; tre palazzi a forma di anfiteatro, con un piccolo lago artificiale al centro, si sfiorano e si intersecano, con tetti erbosi che, a livello del terreno, salgono dolcemente per poi ridiscendere con uguale pendenza, diventando colline su cui passeggiare. Le pareti sono enormi cristalli: durante il giorno riflettono l’ambiente naturale circostante e la notte trasformano l’edificio in una grande e fiabesca lanterna, giocando con le armoniche asimmetrie del pensiero orientale.

Le trasparenze e le sinuosità danno la sensazione di un continuo tra gli spazi interni e il parco circostante, la cui vegetazione colonizza questa grande struttura.

Nato con l’idea di preservare un grande polmone verde per la città, il progetto della School of Art, Design and Media è un esempio riuscito di architettura ecosostenibile, con un impatto ambientale minimo rispetto alle grandi dimensioni e un ridotto consumo di energia, grazie agli isolamenti termici e al tetto di terra e erba.

Ape impegnata non ha tempo per dolersi

Il Quarto Stato
MAC MILANO

Un edificio di questo tipo da il meglio di se verso l’esterno, è pensato per comunicare come un speaker sul podio. Molti hanno avuto occasione di visitarlo in questi giorni, ad ultimato restauro, ora che ospita formalmente il Museo del Novecento

I commenti non sono stati molto incoraggianti, trà i pù positivi: “almeno adesso ce ne abbiamo uno” riferito al fatto di avere finalmente, anche noi cittadini milanesi, un museo di arte moderna. Altri lamentavano l’assenza di opere fondamentali ad esporre esaustivamente il novecento lombardo. Altri, l’assenza di spazi congrui e necessari ad apprezzare opere imponenti quali Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo e buona parte delle sculture.

Quello che è parso sfuggire ai + è proprio la struttura, l’arringatore ha riempito il suo ventre di arte!

Forse dalla terrazza si potrà ammirare l’arte contemporanea, creando un filo d’oro tra ieri, oggi, domani…

Forse da quella terrazza arringheranno i gestori di questa nostra città cercando di ottenere in cambio di questo tanto discusso spazio dedicato all’arte, un po di spazio nelle future campagne elettorali.

Forse la terrazza rimarrà chiusa e solitaria perché la comunicazione di massa oggi non è più fisica ma affidata al cablaggio e all’etere, spine dorsali dei nuovi e vecchi media.

Alla fine degli anni 70, su quella terrazza, gli adolescenti andavano a fumarsi una sigaretta e, al riparo degli occhi indiscreti, ne approfittavano per scambiarsi ardite effusioni. Dentro, polverose stanze, sede dell’ufficio del turismo.

Leggo e riporto testualmente lo scopo di questo spazio dedicato come nelle intenzioni degli organizzatori:

« Diffondere la conoscenza dell’arte del Novecento per generare pluralità di visioni e capacità critica  »

ma c’è dell’altro; prossimamente avremo un altro spazio dedicato all’arte, all’arte contemporanea , all’interno un complesso termale, sul tetto un giardino pensile.

“Il progetto – ha dichiarato, infatti, l’assessore Sgarbi intervenuto alla presentazione – è innovativo e si inserisce in un filone di musei che sono monumenti essi stessi prima che contenitori di opere, come il Guggenheim di New York, quello di Bilbao e il Beaubourg di Parigi: luoghi in cui l’architetto diventa garante per l’arte contemporanea essendo lui stesso un artista contemporaneo”.

Il costo dell’operazione è stimato intorno ai 40 milioni di euro.

Per qualche strano motivo mi coglie come come un grano di sale in una bibita dolce la parola “garante” e scivolandomi sulla lingua ci gioco e mi chiedo quali debbano essere le credenziali e le qualità di un garante, ma è solo un attimo, poi torno a fare l’ape impegnata e immagino con piacere un momento di relax termale tra un opera garantita e una passeggiata su un tetto verde.


la casa dell’arte

Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima –   Fernando Pessoa –

“Per fare qualcosa di diverso dalla televisione bisogna essrere televisione”. Questo uno degli enunciati proposti all’interno di una mostra dal titolo Are you Ready for TV?” Che si puo visitare in questi giorni al MACBA di Barcelona.

Per distinguersi da qualcosa, bisogna prima essere uguale a qualcosa. Così funziona la natura,il processo di evoluzione.
I motivi di ciò sono che l’imitazione è uno degli strumenti più efficaci di conoscenza, quindi attraverso il processo di mimesi si creano prima simili e poi dissimili .Inoltre sembra che il nostro modo di approcciare la vita sia prima di capire ciò che non vogliamo. Questo processo di esclusione è spesso empirico, ma non è inusuale che di associazione in associazione si possa riconoscere come proprio qualcosa di molto distante da se. La sofferenza, l’ inadeguatezza, che ne derivano potrebbero spingerci a cercarcare nel diverso ciò che ci appaga: l’urgenza dell’arte.
I filmati in mostra riproducono, campionano una realtà mediatica. Parlano di concetti, filosofia, politica,storia, arte… senza spendere parole, ma solo riproducendo immagini. Le sequenze, la collocazione temporale e geografica, compiono il miracolo.

Questo ovviamente è reso possibile dall ‘immenso autorevole potere dell’etichetta referenziante di uno spazio museale ospitante, uno spazio architettonico firmato da un brillante architetto, nel cuore pulsante di una città famosa per per la sua necessità di distinguersi dal resto della Spagna, utilizzando ogni strumento, compresa la lingua; Barcelona di Catalunya.

Come ci mostra uno dei video esposti , classificato sotto la sezione: l’ instancabile comico, l’arte,soprattutto quella concettuale, al di fuori di uno spazio museale dedicato, perde la sua oggettività.
Accade per delle linee tracciate sul muro di una sala espositiva che si portano senza soluzione di continita all esterno, diventando semplici linee, che forse sono decorative o utili ad informare riguardo all utilizzo di quello spazio sul muro di un cortile, un banale passaggio di cavi? un indicazione a non parcheggiare?

La Montagna di Sale, istallazione  di Domenico Pladino che a breve comparirà in piazza Duomo a Milano,  spostata all uscita di un casello autostradale perde la sua oggettivita artistica e diventa sale da spargere sull’ asfalto, quindi simbolo e avvertimento di immanenti nevicate.
Al di fuori dello spazio museale le immagini della mostra al MACBA tornano ad essere solo televisione, come Cenerentola, pur rimanendo fisicamente le stesse,perdono la regalità che la scarpetta di cristallo e cemento, ideata da Richard Maier, ha loro conferito.
C’e quindi da chiedersi: ma il museo fa l’ arte?
Apriamo qui un altro capitolo che potremmo chiamare la costruzione e affermazione di un simbolo.
L’ architettura costruisce simboli largamente condivisi, conferisce materialità e stabilità all’ effimero concetto di arte. Il binomio arte e casa dell arte ha forse punti di contatto con l’ arte primitiva?

La casa Degli uomini haus tambaran in nuova Guinea, un edificio imponente, costruito interamente di vegetali, contiene pezzi di arte primitiva, sono oggetti di uso privilegiato, ossia che vengono ideati e costruiti per essere dedicati a particolari occasioni di importanza assoluta, la vita la morte, l’ età adulta, il genere… Mi spingerei fino a dire che l’ arte concettuale chiude il cerchio, si ricongiunge con l’arte primitiva. Utilizza imitazioni di oggetti di uso comune, facendone simbolo concreto, ma allo stesso tempo astratto, del potere e della solenità, che l’uso di questi oggetti ha loro conferito. Per consentire la consevazione di questi oggetti, simboli, poteri, viene loro dedicato un posto architettonicamente imponente e autorvole, che duri vettorialmente nel tempo, che elevi a forma d’arte ciò che oggi è stato scelto dall’establishment per il popolo e preservi nel domani per la storia di chi verrà.

«Navigare è necessario, vivere non è necessario» Il libro dell’inquietudine

Infibulazione

L’infibulazione, subita da gran parte della popolazione femminile somala, è quella pratica pseudoreligiosa con la quale vengono amputati gli organi sessuali. È il più brutale tra i riti di iniziazione, destinato a segnare l’intera esistenza di chi lo subisce: le vittime sono bambine che non hanno ancora raggiunto l’età fertile.

La giovane donna di un villaggio agricolo sul fiume Shebeli, vicino a Mogadiscio, descrive così quel drammatico intervento:

“Mi fecero sedere su uno sgabello nuda e, dopo avermi legato le mani, una donna alle mie spalle mi bloccò abbracciandomi, altre due mi divaricarono le cosce perché la vulva restasse ben aperta. La gedda (ndr così viene chiamata l’anziana del villaggio che pratica l’infibulazione) nel nome di Allah, il Clemente e Misericordioso, impugnò il coltello e con un taglio rapido mi amputò la clitoride; io urlavo e tentavo di divincolarmi, mentre guardavo mia madre che stava in piedi davanti a me. Poi mi asportò le piccole labbra e scarnificò i contorni delle grandi labbra, li unì e li suturò con due, tre spine di acacia, per farli cicatrizzare l’uno con l’altro; lasciò solo una piccola apertura per permettere all’urina e al sangue mestruale di uscire; infine, aiutata dalle altre donne, mi legò le gambe con una fune di stoffa. Mi immobilizzarono per un mese. Il mio sesso era diventato impenetrabile e restò tale fino al giorno in cui fui data in moglie. Mio marito, usando solo le mani e il pene, partendo dal piccolo orifizio lasciato dalla vecchia il giorno dell’iniziazione riaprì di nuovo la vulva lacerandola. Avevo sedici anni.

Horror of female circumcision – AlJazeera

Mutiliazione genitale femminile – Amnesty International

L’Isola della Reunion

La Terra della Distruzione

Quando nell’autunno del 1153 il geografo arabo Al Sharif el-Edrissi, vide davanti alla prua del suo dhow quello scoglio che imprigionava le nuvole in viaggio dall’India verso l’Africa meridionale, pensò che aveva un aspetto poco rassicurante e si avvicinò con grande prudenza.
Consultò una rozza carta nautica che risaliva a più di un secolo prima, tracciata dall’ammiraglio della flotta del re tamil Rajaraja Chola, e guardò con diffidenza ancora maggiore le onde che si frangevano contro la barriera corallina, le rocce, i picchi coperti da nuvole plumbee, il fumo denso che saliva fino a nascondere il sole.
Ci sarà pur stata una buona ragione se i tamil a quello scoglio avevano dato il nome di Theemai Theevu, Terra della Distruzione.
Al Sharif el-Edrissi non ci perse molto tempo, gli bastarono quattro giorni per circumnavigarlo e, tornato al punto di partenza, disegnò un cerchietto nero sulla sua mappa a 21 gradi a Sud dalle equatore e a 700 chilometri a Est del Madagascar, lungo la rotta tra l’India e il Capo di Buona Speranza, al centro della fascia su cui corrono i terribili cicloni tropicali, e lo chiamò Dina Morgabin, Isola dell’Occidente, a occidente di non si sa cosa.
Una settimana dopo, sbarcato al porto di Zafiraminia, considerò quel piccolo cerchio quasi fosse una macchia d’inchiostro, del kohl caduto mentre si truccava gli occhi, e venne dimenticato per un lungo, lungo periodo.
L’isola della Reunion si difende anche in questo modo, mostrandosi impervia e inospitale; se la si incrocia arrivando dal meridione non offre certo buoni approdi: imponenti pareti di roccia vulcanica inquietantemente scure, trasformate dalla violenza del mare in falesie
verticali, ne fanno una fortezza naturale inavvicinabile.
Passati tre secoli, quello scoglio che affiora nel mezzo dell’oceano divenne un punto di transito dei navigli portoghesi in viaggio verso l’India, ma appariva talmente insignificante che le loro carte nautiche lo ignoravano.
Nel 1504, sulla caravella comandata da Diego Fernandez Peteira, un giovane ufficiale di rotta, dovendo prender dimestichezza con l’uso dell’astrolabio , ne rilevò le coordinate e le segnò sul giornale di bordo. Era il 9 febbraio; dovendo dargli un nome ed essendo venerdì, pensò di chiamarlo Sextafeira, ma alla fine scelse Santa Apollonia, la santa del giorno, patrona dei dentisti.
Il nuovo nome non servì a renderla più attraente; l’isola rimase ancora disabitata per più di un secolo, fino al 2 ottobre 1654, giorno in cui il francese Antoine Couillard sbarcò in una baia del nord ovest con due suoi connazionali, cinque malgasci, cinque vacche, un toro,
due maiali, alcuni volatili e delle piante di tabacco.
Da quel momento divenne un pezzo di Francia, che cambiava nome ad ogni terremoto istituzionale: con Luigi XIV venne battezzata île Bourbon, île de la Reunion durante gli anni della Rivoluzione, île Bonaparte con Napoleone.
Gli abitanti si moltiplicarono e si adattarono al suo carattere un po’ scontroso: terra di cicloni, di maremoti improvvisi, con un vulcano che riesce a trasformare in rogo persino l’acqua dell’oceano e piogge tanto intense da non avere pari in nessun’altra parte del
mondo.
Quel “quasi niente” nell’oceano, non più grande di Parigi con la sua periferia, è un piccolissimo continente: lungo le coste del nord ci sono conche fertili e vallate rigogliose tra montagne che trasudano acqua, ma basta percorrere cinquanta chilometri e, arrivati al
confine Sud, si scopre la siccità, con le nuvole bloccate dai massicci dei Cirque de Mafate, Salazie e Cilaos.
E se a livello del mare la temperatura non scende mai a meno di 27 gradi, sui monti vulcanici si finisce sotto lo zero: alla Reunion, viaggiando in auto per tre ore, si può passare dal caldo oceano tropicale alla neve del Piton des Neiges, fino ai fiumi di lavanincandescente del Piton della Fournaise.
Un luogo anomalo con una storia anomala.
Il primo nucleo di residenti trovò solo qualche pacifico animale che per millenni aveva vissuto indisturbato, tanto da diventare geneticamente e morfologicamente incapace di difendersi.
Fu il caso del dodo, un grasso e pigro uccello che non sapeva più volare, con un’aria tutt’altro che intelligente, il cui destino divenne quello di facile preda per gli ospiti. Non che la sua carne fosse cibo prelibato, i marinai olandesi nel millecinquecento lo avevano
battezzato “Uccello Disgustoso”, ma era comodo da prendere, almeno quanto una mela dall’albero, e questo fu sufficiente per portarlo all’estinzione.
Oggi la Reunion è una meravigliosa isola, forse un po’ troppo abitata.
Grande quanto un terzo della Corsica, con poco meno di 800 mila abitanti, dal 1946 è una Regione d’oltremare della Francia, un frammento politico e amministrativo del Vecchio Continente tra Africa e India, con i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta: uguale trattamento economico dei lavoratori francesi, uguale costo della vita (forse addirittura più cara), identici diritti per servizi sociali e assistenza sanitaria.
L’Unione Europea la considera regione “ultraperiferica”, sia per ragioni di distanza sia per lo sviluppo del sistema produttivo, e per questo interviene con consistenti aiuti finanziari, tanto che, pur essendo lontana dall’autosufficienza, gode di un benessere piuttosto
diffuso.
Non c’è nessun altro luogo nel raggio di 5 mila chilometri in cui la qualità della vita sia così elevata, benché le uniche voci attive nella bilancia commerciale riguardino la produzione della canna da zucchero, con i suoi derivati, e della vaniglia. Il turismo, nonostante le straordinarie bellezze naturali, a causa dei prezzi piuttosto impegnativi e della grande concorrenza delle vicine isole Mauritius e delle Seychelles (sicuramente più economiche) stenta a decollare.

Melange alla Reunionese

Bisnonna nera e bisnonno bianco, nonno meticcio e nonna bianca, genitori entrambi bianchi; lui, il primo figlio, con una moglie cinese incinta, suo fratello tiene sottobraccio la fidanzata, una ragazza di cui è impossibile immaginare la provenienza, sembrerebbe orientale se non fosse per gli occhi azzurri.
Non è raro incontrare famiglie così variegate passeggiando in una delle città di questa isola, perché alla Reunion non esiste una razza autoctona ed è assai problematico seguire i dettami del “Moglie e buoi dei paesi tuoi”. Fino alla metà del ‘600 era completamente disabitata, poi sono arrivati i francesi, i malgasci, i neri dall’Africa continentale, i gujarat e i tamil dall’India, i cantonesi dalla Cina, gli arabi dallo Yemen e da Zanzibar, e il risultato non è quello di una popolazione multietnica: gran parte dei reunionesi sono, individualmente, multietnici, con un albero genealogico che abbraccia tre continenti e gran parte delle culture esistenti.
Questo è uno dei rari posti al mondo, forse l’unico, in cui non ha senso parlare di integrazione razziale perché, anche nella piramide sociale, si passa senza soluzione di continuità dal bianco al nero, dai capelli chiari a quelli scuri, dagli occhi a mandorla agli occhi azzurri. Difficile essere razzisti quando in famiglia si hanno antenati di provenienze diverse, impossibile essere xenofobi se tutti, ma proprio tutti, ricordano ancora il proprio avo “straniero”.

Il tesoro della Poiana

Alle 5 del pomeriggio di venerdì 7 luglio 1730 il boia infilò il cappio al collo del pirata Olivier Levasseur, soprannominato La Buse, la Poiana; tutti gli abitanti di Saint-Denis, poche centinaia di persone, furono invitati ad assistere a quella esecuzione. Mentre saliva sul patibolo, La Buse si strappò la collana e la lanciò a quella piccola folla urlando: “Mon trésor à qui saura comprendre !” (Il mio tesoro è di chi saprà capire! ).
Appeso alla collana, in un contenitore di cuoio, vi era un foglietto su cui aveva scritto un crittogramma di 17 righe: era la mappa cifrata del luogo dove aveva nascosto le sue ricchezze.
Poco prima aveva detto alle guardie che lo scortavano: “Con quel che ho qui potrei comprare l’intera isola”.
Il pirata non mentiva: in 14 anni di folgorante carriera era riuscito ad accumulare un’enorme fortuna, pari a quella di un re.
Il grande colpo della sua vita lo mise a segno quando aveva 30 anni, il 17 aprile del 1720.
Navigando non distante dalle coste dell’isola della Reunion, si trovò nel mezzo di una tempesta e decise di far rotta verso il porto di Saint-Denis. Arrivò che era ancora notte, la luna quasi piena illuminava una caracca portoghese a quattro alberi che aveva trovato rifugio nella baia: era la Nossa Senhora Do Cabo.
All’alba la attaccò.
La Buse, la Poiana, si lancia in picchiata sulla preda lasciandola senza scampo; i suoi uomini vanno all’arrembaggio e con un’azione fulminea si impadroniscono di una nave da 800 tonnellate, armata con 72 cannoni, che ospita Luís Carlos Inácio Xavier de Meneses, conte di Ericeirae, marchese di Louriçal, vice-governatore delle Indie Orientali, e l’arcivescovo di Goa, Sebastian de Andrado, ma, soprattutto, trasporta un tesoro dal valore incommensurabile in pietre preziose, oro e argento, che oggi viene valutato in più di due miliardi di euro.
Olivier Lavasseur fa sbarcare gli ospiti e l’equipaggio, per salpare con la Nossa Senhora Do Cabo e il suo carico prezioso, di cui si perde ogni traccia.
Per i successivi 200 anni scompare anche il crittogramma lanciato da Lavasseur alla folla il giorno della sua impiccagione, fino a quando, il 15 luglio del 1934, nell’edizione domenicale del Milwaukee Journal, quotidiano del Wisconsin, viene pubblicata un’intervista a Charles de la Roncière, funzionario della Biblioteca Nazionale di Francia, che afferma di possedere il crittogramma e lo rende pubblico.
Da quel momento inizia una caccia al tesoro che ancora oggi continua in un’area piuttosto vasta dell’oceano Indiano: Isola della Reunion, Seychelles, Rodrigues, Madagascar, Mayotte, Isola di Sainte-Marie.
Ecco il crittogramma.

La Diagonale dei Folli

Centocinquanta chilometri di saliscendi tra foreste tropicali, pietraie e crateri vulcanici: il Grand raid de la Reunion è una delle più dure e delle più lunghe maratone al mondo.
Ogni autunno, da 17 anni, duemilacinquecento persone provenienti dai cinque continenti si ritrovano a Cap Mechant, nell’estremo Sud dell’isola, per percorrere quella che viene chiamata “La diagonale dei folli”; i migliori chiudono la gara in poco più di 22 ore, a una media di 7 chilometri l’ora, con poche soste e neppure un minuto di sonno, gli ultimi ci mettono 2 giorni e mezzo; il 40% dei partecipante non riesce a tagliare il traguardo, perchè
vinto dalla stanchezza o vittima di una caduta.
Il via viene dato alle due del mattino nello stadio di Cap Mechant, all’estremo sud dell’isola, sulle rive dell’oceano.
Dopo un breve tratto di pianura inizia il susseguirsi di salite e discese: a 30 chilometri dalla partenza si è a 2350 metri di altitudine, sulla cresta del Piton de le Fornaise, il vulcano attivo della Reunion, poi si passa a 900 metri per risalire oltre i 2000 e ridiscendere fino al mare.
La gara si conclude a Saint-Denis, capoluogo dell’isola, nell’estremo Nord.

L’edizione del 2011 si terrà dal 13 al 16 ottobre.

Singapore

La scultura di Botero sul Singapore River è una rappresentazione efficace di questa città: un uccello grasso e ben piantato sulle zampe, che sicuramente non riesce a prendere il volo ma non sembra disposto a diventare preda di qualcuno.

Singapore è il paese degli eccessi, perfetta per Botero, talmente dilatata da occupare tutto lo spazio vitale di cui dispone.

La sovrabbondanza

Questo minuscolo arcipelago, incastrato tra Malesia e Indonesia, a un solo grado a Nord dalle equatore, in meno di 600 chilometri quadrati ospita cinque milioni di persone; piove sempre, in qualunque giorno di qualunque mese dell’anno il cielo si copre improvvisamente e scendono cascate d’acqua; i suoi grattacieli sono tra i più alti del mondo; 4 le lingue ufficiali, 13 quelle più parlate; 7 sono le religioni principali, con cattedrali in stile gotico, pagode, moschee, templi induisti e buddhisti.

Passeggiando per le strade del centro non si riesce a capire dove finisce l’apparenza e dove inizia la realtà; ci si guarda attorno e regna un ordine inusuale: tutto è perfetto, lindo quanto la Piazza Rossa a Mosca nei giorni del comunismo, non c’è nessun ingorgo, nessuna coda, neppure un colpo di clakson.

La criminalità si avvicina allo zero, forse perchè le punizioni sono tutte tragicamente esemplari; questa è la nazione che, in rapporto al numero di abitanti, applica con maggior frequenza la pena di morte.

Singapore è il Paese dei divieti: vietata la pornografia, vietato avere una parabola satellitare, vietato acquistare e masticare chewingum senza ricetta medica; fino a qualche decennio fa ai maschi era vietato portare i capelli lunghi.

La pari dignità tra etnie e culti diverse è legge dello Stato e rispettata con rigore assoluto: cinesi, malesi, indiani europei, buddhisti, islamici, cristiani, induisti, sikh, ebrei e zoroastriani convivono senza alcuna tensione.

Modestamente ricchi

Singapore è ricca, molto ricca, il reddito procapite supera i 23 mila dollari l’anno, con un patrimonio accumulato producendo quasi nulla di materiale: grandi investimenti nella tecnologia informatica e, soprattutto, scambio di merci provenienti da altri luoghi, passaggi di mano per lo più virtuali, transazioni di borsa fatte al computer da migliaia di colletti bianchi, immigrati da ogni parte del mondo, che all’ora di pranzo hanno giusto il tempo di lasciare l’ufficio per scendere in un food court a mangiare un panino; gente che all’alba inizia a speculare sulla borsa di Tokyo e poi, in sovrapposizione, su quella locale, su Mosca, sui mercati europei e su New York che chiude quando sono le 5 del mattino, due ore di sonno e si ricomincia.

Singapore è il trionfo del libero scambio, l’impeccabile esempio miniaturizzato della società globale, dell’economia virtuale che domina l’economia reale; sembrerebbe la perfetta rappresentazione pratica della teoria liberista Occidentale, se non fosse per il fatto che Singapore è anche la modestia del Tao, che invita a non aver pretese se si compiono imprese difficili, perchè il destino di ciò che sale è quello di scendere, nella vita come in borsa, e la ricchezza ostentata e raccontata si esaurisce in fretta.

Il bazar delle culture

Qui non c’è nulla di autoctono ma si incrociano e si intersecano culture che provengono da altri luoghi. Tutto questo a un occidentale appare inquietante quanto l’uccello obeso del Singapore River, quanto l’arte di Botero, con i suoi personaggi strabici che non si sa da dove arrivino e dove stianno rivolgendo lo sguardo, perchè le diversità si incrociano ad ogni angolo di strada e non esiste più alcun rigore imposto dalla propria cultura, dalla fede, dalle tradizioni. Sri Mariamman, il tempio induista più grande e più sfarzoso, sorge nel bel mezzo di China Town, e se si prova a chiedere ai monaci che lo animano perchè non è stato fatto nel quartiere indiano, la loro risposta è laconica e non lascia spazio a repliche “Perchè, come vede, è stato costruito qui.”

Il treno del progresso

Se camminando tra i palazzi del centro si tiene lo sguardo ad altezza d’uomo ciò che appare è un ordine quasi amorevole, che sa di favola per bambini, di solida tradizione, ma alzando gli occhi al cielo la realtà cambia improvvisamente: l’ordine diventa geometrico, lineare e scientifico, l’architettura proietta la città verso l’alto, verso il domani, e le nostre metropoli diventano cosa vecchia, un po’ decadente. Quelle costruzioni non sono semplicemente delle torri che sfidano la forza di gravità per riuscire ad ammassare tra quattro mura migliaia di esseri umani, sono piuttosto opere dal disign sofisticato, enormi vasi da cui sbucano piccoli boschi e cascate di fiori, macchine metaboliche che funzionano prendendo energia dal sole. La chiamano “architettura ecosostenibile” e ci si ferma a gardarla un po’ imbarazzati: “Ecco qui il futuro, ecco il treno del progresso che ci supera e sfreccia davanti a noi”.

Affari di famiglia

Forma e contenuto sono difficili da distinguere. Il Paese si dichiara da più di quarant’anni una repubblica parlamentare e così sembra: solidamente democratico e liberista per vocazione; una democrazia guidata con mano ferma da un primo ministro che si chiama Lee Hsien Loong, figlio di Lee Kuan Yew, padre della patria, che ha governato ininterrottamente per 31 anni. Insomma, è una repubblica assai simile a una monarchia, con un parlamento espresso dal popolo ma che non ha una grande libertà di espressione, e una democrazia non tanto democratica ai nostri occhi.

Lee padre e Lee figlio continuano a essere i leader indiscussi, e persino amati, di una nazione che può vantare un livello di corruzione pari a zero, una crescita economica senza soluzione di continuità e una visione progressista del mondo. Si sono entrambi laureati a Cambridge, il primo in legge e il secondo in matematica, uomini colti e soprattutto pragmatici, a tal punto da decidere che era il caso di cancellare la legge che dichiarava l’omosessualità un crimine solo quando un gruppo di ricercatori scoprì che, in giro per il mondo, le aree produttive più dinamiche e innovative erano quelle in cui vi era la più alta concentrazione di gay.

Per conservarsi sani e obesi

Ecco il senso dell’arte di Botero, che toglie la dimensione morale senza creare immoralità; così Singapore, con le sue leggi repressive e il suo governo autoritario, mostra delle aperture inaspettate: il diavolo e l’acqua santa, il lupo e l’agnello, possono tranquillamente stare l’uno accanto all’altro, purchè trovino un punto d’accordo, una buona ragione per cui valga la pena convivere. E la buona ragione è quella di poter rimanere obesi e ben piantati sulle zampe, senza mai perdere il contatto con la terra ma con un paio d’ali che, per quanto inadeguate, lasciano immaginare la potenzialità del volo, come la scultura sulla passeggiata del Singapore River.

La Città Globale

Le chiamano Global City, World City, Alpha City, e sono considerate le capitali della globalizzazione. Singapore è la quinta per importanza, dopo New York, Londra, Hong Kong e Parigi.

La classifica viene stilata sulla base di parametri come la ricchiezza, la qualità dei servizi, le iniziative culturali, la presenza di strutture avanzate nelle telecomunicazioni.

In quanto a ricchezza Singapore è tra i primi otto paesi al mondo (in rapporto alle dimensioni, naturalmente), con un prodotto interno lordo pro-capite che supera i 37 mila euro (in Italia non si arriva a 23 mila), un tasso di disoccupazione al 3% (7,5 in Italia) e un’inflazione che si avvicina allo zero. Per le telecomunicazioni il governo scommette sul fatto che tra cinque anni sarà la prima al mondo, e per arrivare a questo obbiettivo nel 2005 ha varato un masterplan decennale battezzato Intelligent Nation, la Nazione Intelligente. Gli obiettivi, che già oggi non sembrano affatto lontani, sono quelli di far crescere il fatturato delle industrie di telecomunicazione fino a 26 miliardi di dollari, spingere l’esportazione di prodotti tecnologici a 60 miliardi di dollari, creare 80 mila nuovi posti di lavoro, portare la banda larga al 90% degli abitanti, assicurare a ogni studente un computer connesso alla rete.

Augusto Franzoj aveva un sogno

Augusto Franzoj salì faticosamente il sentiero sulla collina stringendo tra le mani deformate dall’artrite il calcio di due pistole acquistate 11 anni prima a New York.

Raggiunta la cima si sedette sotto un albero e osservò Torino illuminata dal sole primaverile.

Fermò lo sguardo sul falso minareto appena costruito nel quartiere dell’Esposizione Internazionale e pensò a quanti ne aveva già incontrati, minareti veri con i muezzin che chiamavano i fedeli alla preghiera.

Da tempo sapeva che non sarebbe più andato in nessun luogo, perché a 63 anni aveva esaurito le forze e le risorse.

Pochi giorni prima “un povero travet ferroviario, che aveva avuto un tozzo di pane per merito suo e che egli amò come un figlio, dovette correre per tutta Torino alla ricerca di 100 lire per pagargli l’affitto e si sentì rifiutare l’obolo di Belisario da tante personalità insigni o pseudo insigni”.

Franzoj capì che era arrivato il momento di farla finita.

Si disse che lasciava assai poco in sospeso, forse solo un sogno, un ultimo sogno che lo aveva accompagnato negli anni del decadimento: tornare nel Corno d’Africa per trovare un tesoro di carta, rinchiuso in una cassa di legno con incise due lettere: AR.

Quel tesoro lo aveva visto, erano decine di taccuini e centinaia di fotografie.

Era la cassa di Arthur Rimbaud, che incontrò per caso a Tadjura, “un piccolo villaggio dancalo con qualche palmizio e qualche moschea, un forte con 6 soldati francesi e un sergente”.

Franzoj era alla ricerca dei laghi equatoriali e Rimbaud aspettava notizie per concludere un affare che, era certo, lo avrebbe fatto diventare finalmente ricco.

“Mi trovo qui per formare una carovana per lo Scioa – diceva – Ho un carico di vecchi fucili a stantuffo in disuso da quarant’anni che dai venditori di armi usate, a Liegi o in Francia, valgono 7, al massimo 8 franchi, al pezzo. Al re dello Scioa, Menelik II, li venderò a una quarantina di franchi.”

Franzoj conosceva i versi di Rimbaud, ma gli ci volle un po’ per realizzare che quel trafficante d’armi, neppure troppo onesto, era la stessa persona che Paul Verlain definiva un genio; non sapeva che aveva abbandonato Parigi otto anni prima, dopo aver fatto a pezzi tutti i canoni della poesia e averli rimontati in qualcosa di diverso, di rivoluzionario.

Da allora di lui non se ne seppe più nulla, ma furono in pochi a lamentarne l’assenza.

I suoi maestri parnassiani, che avendolo tra i piedi rischiavano di trovarsi trasformati, dall’oggi all’indomani, in vecchi arnesi della retorica rimata, tirarono un sospiro di sollievo quando sparì.

“Scolpisci, lima, cesella; che il tuo sogno fluttuante si sigilli nel sasso resistente!” Diceva Théophile Gautier, il Gran Maestro che teorizzava l’arte per l’arte, fine a sé stessa, pura sagra della bellezza.

Altro che scolpire lavorando di cesello e di lima, rispondeva Rimbaud, altro che sagra della bellezza: “Si tratta di fare l’anima mostruosa, come un uomo che si pianti verruche sul viso e le coltivi; bisogna farsi veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi.”

Persino sua madre si dovette sentire in qualche modo sollevata dall’uscita di scena di un figlio così pubblicamente scandaloso, che andava finalmente a insabbiarsi tra le lande desolate della Somalia e l’altopiano fratturato dell’Etiopia, lontano dall’amabile, rozzo e incolto perbenismo della sua cittadina delle Ardenne.

Nei giorni di Tadjoura tra Rimbaud e Franzoj nacque una vera amicizia.

Ugo Ferrandi, compagno di viaggio di Franzoj, racconterà che li vedeva spesso “impegnati in lunghe discussioni letterarie, dai romantici ai decadenti.”

Per quel che si sa, questa fu l’unica volta, nella breve vita africana, in cui Rimbaud tornò a parlare di qualcosa che apparteneva al passato.

Dalla cassa su cui erano incise le sue iniziali prendeva mazzi di fotografie e taccuini dai quali leggeva poesie che raccontavano la sua Africa, le donne etiopi, la luna di Harar.

Solo dopo il rientro in Italia Franzoj scoprì che Rimbaud non aveva pubblicato nessuno di quei versi e si rese conto dell’unicità dell’incontro, del privilegio che gli era stato concesso.

Nel 1891 il poeta morì per un tumore al ginocchio: aveva 37 anni e la sua fama si dilatò fino a farlo diventare uno dei più grandi dell’800.

Franzoj attese inutilmente l’uscita degli scritti africani.

La cassa era scomparsa, persa lungo il tragitto che avrebbe dovuto portarla in Francia, dimenticata in qualche magazzino tra Harar e Aden.

Passò anni cercando di organizzare una spedizione per ritrovarla, ma le autorità italiane gli impedirono di tornare in Etiopia.

A un uomo dal carattere spigoloso, capace di reagire d’istinto a ogni ingiustizia, che non sopportava i malonesti e i lacchè, non si poteva consentire di andare in luoghi nei quali il governo vagheggiava ambizioni coloniali.

Non ci si poteva fidare di un cane sciolto, di un amante degli eccessi, di un rivoluzionario scapigliato finito spavaldamente in carcere per i suoi ideali; di uno che era stato capace di sfidare con un unico gesto cinque ufficiali dell’esercito regio e di batterli tutti in una sola mattinata; non era pensabile dar credito a chi aveva spinto all’infedeltà stuoli di donne ben maritate.

Venne messo in un angolo, dimenticato, anche se Giosuè Carducci e Cesare Correnti erano suoi estimatori, anche se era stato il primo e il più brillante tra gli inviati speciali della Stampa.

Negli anni in cui il giornalismo era prosa leziosa, lui scriveva per sintesi e per immagini:

“Massaua è il più sgradito porto del Mar Rosso. Ai tempi di Mosè questo era il mare prediletto da Dio. Ora Dio l’ha dimenticato. Tutte le 10 piaghe d’Egitto sono venute qui a lasciare parte delle loro miserie. Caldo acrobatico, 40 gradi all’ombra, afa, zanzare, vento e noia, e l’amministrazione egiziana più fastidiosa del vento Kamassin! Strade difficili, torrenti impetuosi, vegetazione superba, fauna svariatissima, storie sventurate, soli splendidi e miti, notti andalusiane, acqua fredda come il ghiaccio, fame inesauribile come la bontà di Dio, profumi inebrianti, bazi-buzuck manigoldi idem, idem come da Kalameda. Se si vuole aggiungere ad ogni costo qualche cosa si dice che gli abiti degli indigeni andavano, mentre mi inoltravo, semplificandosi a vista d’occhio, tanto che uomini e donne finivano a mostrare ciò che il buon Dio nostro, ma soprattutto le nostre questure, vogliono assolutamente si tenga celato.”

Era un grande Franzoj!

Fu l’ispiratore di Emilio Salgàri che, poveraccio, schiavizzato per poche lire dal suo editore, in sedici anni diede alle stampe 84 libri e bevve 5.844 bottiglie di Marsala senza muoversi da Torino, rispettando con masochistico rigore l’impegno contrattuale di consegnare ogni ventiquattro ore tre pagine pronte per la stampa: 17.532 pagine in sedici anni.

Erano le 10 e mezza del 13 aprile 1911, giovedì di Pasqua, e Augusto Franzoj, seduto sotto l’albero in cima alla collina, non ripercorse affatto il cammino nostalgico del suo passato: guardò Torino per l’ultima volta senza provare alcuna emozione, salutò con un infantile rimpianto il suo ultimo sogno, la cassa di Rimbaud, poi, sospirando, puntò le due pistole alle tempie, tirò simultaneamente i grilletti e i revolver americani eseguirono impeccabilmente il compito per cui erano stati creati.

Le pallottole incrociarono le loro traiettorie al centro del cervello poco prima di fargli esplodere la scatola cranica.

Salgàri si ispirò a lui anche quando, finalmente, decise di sciogliere il contratto con il suo editore: 12 giorni dopo andò armato di rasoio nel boschetto della Madonna del Pilone, a 4 chilometri dalla collina scelta dall’amico, e fece seppuku come un samurai per poi squarciarsi la gola. Nulla a che vedere con il gesto estremo d’avanguardia, senza fronzoli, senza rituali, di una testa che esplode in direzioni opposte con moto uniforme per creare il massimo della scapigliatura.