“Honi soit qui mal y pense”

Subiendo al tren dos ojos te fijaron solo que sabès que para vos ya no es tiempo. El tren llega a la Nord, quizàs si està todavìa, Juan sos incorregible, no tenès salvaciòn, no aprenderàs nunca, olvidàs que la entrada en el embudo se debiò a una mirada que se encontrò con la tuya…

è sempre troppo tardi per quel che non è accaduto, “non c’è scommessa + persa di quella che non giocherò” questo senso di perdita che non ci abbandona mai- c’è chi ne utilizza l’energia propulsiva per lanciarsi in sempre nuove avventure, c’è chi ne subisce il monito e ne approfitta per non muoversi mai. Ovviamente tra gli estremi tutte le sfumature per accogliere o meno la sfida, per credere in un domani che cambia o soccombere all’ineluttabilità delle cose.
I francesi dicono che con i ma e i se si potrebbe mettere la Eiffel in bottiglia. Gli Italiani + modestamente parlano di un senno di poi di cui son pieni i fossi, ma tutto questo è quel fare/disfare di cui ho già detto e che se fossi un compositore metterei in musica.
Se però voglio indagare la ragione, diciamo  meccanica, di una pulsione in particolare, cioè quella di aspirare all’elezione di un compagno, compagna, pulsione che compatibilmente con il mio essere attento al mondo che mi gira intorno, mi fa gioire e soffrire di piccoli e grandi gesti, direi che siamo fatti e studiati per essere ricettori superficiali. Lo dice il nostro intero corpo, che ha mille funzioni ma nessuna eccezionale. Come tutti gli strumenti multifunzionali, il nostro corpo sa fare un po’ di tutto ma nessuna delle sue funzioni è meravigliosa. I cinque sensi, la motricità, la capacità di rigenerazione, la percezione, la comprensione…
E anche tutte le nostre azioni sono di conseguenza mirate ad ottenere un risultato superficiale. La qualità delle nostre azione produce un minimo scarto sull’ esito finale, è piuttosto la quantità delle nostre azioni di una certa qualità, che produce un effetto apprezzabile.
“Essere qualcuno è un’altra cosa, -dissi piano-
Non te l’immagini nemmeno. Ci vuole
fortuna, coraggio, volontà. Soprattutto
coraggio. Il coraggio di starsene soli come
se gli altri non ci fossero e pensare soltanto
alla cosa che fai. Non spaventarsi se la gente
se ne infischia. Bisogna aspettare degli anni,
bisogna morire. Poi dopo morto, se hai
fortuna, diventi qualcuno.”
(da La casa in collina, 1948)
Noi non desideriamo essere ricchi, potenti, amati o belli perché apprezziamo queste qualità, piuttosto apprezziamo ciò che queste qualità fanno per noi; gratificano il nostro ego.
Per giustificare la necessità che abbiamo di essere Io ,io, io… ci inventiamo canoni, regole, paradigmi. Incredibilmente questo IO, IO, IO funziona anche in negativo, possiamo bearci della nostra sorte avversa e compiangerci a lungo.

La coppia è una cosa utile, serve a proteggere la costruzione della famiglia e assicura la cura della progenie. Fuori contesto è come usare un cacciavite per mangiare gli spaghetti, doloroso e frustrante.

L’amore è un energia che quando passa accende e brucia, spesso non è sincrono ne corrisposto, non costruisce cose, non tranquillizza spiriti, non mette pace anzi. A cosa serva non lo so, forse come tutti i prodigi non ha uso. Non siamo noi ad usare lui ma lui ad usare noi.

Come donna non ho mai avuto tregua; da bambina soffrivo il tramonto e il natale, i ragazzini spesso mi confidavano le loro pene d’amore e mi trattavano come un maschio mentre a casa mia madre mi avrebbe voluta vestita di fiocchi. da ragazza le donne non mi sono piaciute ne io a loro. da donna ne ho abbastanza degli uomini e i pochi che mi interessano se ne approfittano sempre.

La cosa peggiore è che pur avendoci provato molto non mi sento uguale a nessuno, non riesco a identificarmi a lungo in nessun ideale, non provo reale trasporto per nessuna cosa in particolare, non c’è ricchezza o dono x cui mi batterei.

Però ho grandi momenti di energia in cui riesco a concentrare le mie forze, quando però si esauriscono lo fanno di botto, senza preavviso lasciandomi completamente incapace

Non ho rimpianti perchè non penso mai che le mie azioni facciano realmente la differenza, forse perché come ho già detto credo nella quantità e io non faccio mai troppo a lungo la stessa cosa.

Però uno spiraglio c’è, questo spiraglio è rappresentato dal rendersi indipendenti, voglio dire non giocare + alla causa effetto. Tirarsi fuori dal gioco, sospendere i giudizi, soffrire senza accusare, arrabbiarsi senza sfogarsi, amare senza essere amati. Insomma non rinunciare solo perchè l’altro, o quell’evento, o quel gesto…rinunciare solo se priva di forza e provarci fino alla morte


Discendenze

E’ brutto sentire la distanza che si allarga in termini di comprensione e affinità con la propria madre negli anni, ho sempre pensato che crescendo e invecchiando succedesse il contrario, forse nella maggior parte dei casi è così. Mio padre è sempre lo stesso e quindi negli anni non mi sorprende ne mi delude più . Percepire invece mia madre più distante, sempre più diversa da me mi ferisce, non so bene perché . Forse perché è il modello cui mi sono sempre ispirata e vedere che non mi piace è doloroso. Eppure ha compiuto settanta anni per cui è il momento Dell accettazione, non delle critiche, forse da questo punto di vista sono io in ritardo, nonostante i miei 43 anni….
Spero che la tua clausura abbia momenti di gioia, un abbraccio.
Ho dovuto accentare tutte le tue e.  Sul telefonino “è” complicato rispettare gli accenti. Sarà per questo che mi sono resa conto di quante “è” ci sono in un messaggio così breve. Come se l’Essere fosse granitico e inamovibile, come se le cose non potessero mai + cambiare nella tua percezione. Forse x questo mi sono chiesta se “è” la morte a dare alla vita un valore assoluto. Quella morte che senti prossima perché l’età di tua madre ti fa pensare che è passato molto + tempo di quanto ne rimanga.
Ho visto un film grottesco
– the descendant – molto intrigante nella sua semplicità. Tra lacrime e risate mi sono chiesta cosa sia l’accettazione della morte. Non in teoria, non nei nostri momenti blu, ma nella realtà, quando devi pronunciare la parola che si riferisce ad una persona che è stata viva e il cambio di stato ci obbliga a vedere diversamente. Me lo sono chiesta nella posizione di chi quest’esperienza l’ha già fatta qualche volta senza accorgersi che l’altro rappresentasse l’ occasione di cambiare, di farcela, di salvarsi. L’altro che abbiamo cercato e nel quale abbiamo riposto chi bene chi male, la memoria e lo scopo della nostra vita. Perché senza l’altro nulla ha un senso, o così sembra pensarla la maggior parte di noi. E l’altro c’è fino a che il suo cuore batte, o fino a quando il suo cervello ragiona? o fino a quando ci può dire si o no? o fino a quando abitiamo entro lo stesso confine? fino a quando possiamo varcare il confine?

Come si parla a una pianta? come si comunica con un piccione?come ci si mette in relazione con un fantasma? Tutte situazioni grottesche perché in equilibrio tra “essere e non essere”
E poi il gran finale: l’eternità, oppure Dio, La Creazione…ci sono molte definizioni per descrivere quel senso di smarrimento che proviamo se anche solo per un attimo ci rendiamo conto di chi siamo veramente:  una caccola sull’orlo di essere starnutita …
eppure un centro di energia , “di gravità permanente” oggi dentro un corpo di femmina in carne ed ossa, domani…il senso della vita mi sfugge

Mio suocero dice sempre che DOPO non c’è nulla e quando lo dice io lo guardo e penso ” eh come ti piacerebbe!”