Ascolto e taccio, ma l’ascolto non passa solo per le orecchie non transita solo per il cervello direi che l’organo più ricettivo è la pancia, ansia?
Più leggo e meno capisco, non ho veramente voglia di scrivere, lo faccio solo per cercare di ascoltarmi, non ho più nessuno con cui parlare, la trincea che ho scavato tutto intorno a me comincia a produrre I suoi effetti ed io galleggio pesante come una piattaforma petrolifera, produco una sostanza densa che mi sembra ingombrante vischiosa ed inutile come il petrolio.
Ho detto che mi sento inadeguata, ma non sempre, ci sono momenti in cui me ne dimentico? O sono momenti in cui faccio ciò che mi è connaturato?
Ho riposato sono molto meno stanca, ma a cosa mi serve? Mentre scrivo noto che il malessere di fa più evanescente, Cerco anche io un punto di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente?
No oggi Battiato non scriverebbe più così se mai cerco un punto di gravità dinamico che mi faccia vedere ogni cosa per quello che è invece di quello che è per me.
O forse quello che cerco è un punto al di fuori di me da cui contemplare me stessa mentre mi agito tra causa ed effetto all’unisuono cosciente del tempo e dell’eterno senza contrasti, in armonia che diviene armonia, dove gli attriti sono combustibile per il mio percorso e non sgradevoli fumarole che puzzano di incombusta inadeguatezza.
Dopo una giornata perfetta ci si sente angosciati e soli, l’angoscia di non poter replicare all’infinito ciò che sicuramente non potrà essere due volte uguale e che dalla perfezione potrà solo divenire via-via più imperfetto. Ma allora dove cercare quell’armonia in divenire?
Contrazione ed espansione, queste le regole dell’universo, perché mai dovrebbe essere diverso nel piccolo mondo a me sensibile?
“Mi sento banale” non direi, direi piuttosto scollata, come uno specchio tagliato in tanti pezzi perché ne servivano tanti per riflettere tutto quello che serve, ma lo specchio sempre quello è. I tanti pezzi fanno allo scopo, catturano le azioni che sono li in attesa di essere giustificate dall’ immagine che proiettano. E’ lo specchio a non avere più una superficie abbastanza estesa che lo manifesti come tale. Si trova pressoché disperso, ma non ancora, nutre la speranza di farcela a rimanere se stesso, uno specchio grande e luminoso, e ad accogliere il mondo che in lui si riflette per il quale si è tagliato in tanti piccoli pezzettini che presi singolarmente sono solo banali utili pezzettini.
Non so se si tratta di coraggio o piuttosto di destino, io sono orrificata da questa dispersione, la temo
Il principe felice di Oscar Wilde, una bella storia, ma è una storia triste, triste xché anche se dai tutto non è mai abbastanza. La privazione ci insegna che ciò che manca serve, ma ci insegna anche che molto di ciò che vogliamo e pretendiamo e superfluo. Questa forse è la proprietà del vuoto, rivelare la vera entità dell’assenza e quindi della presenza.