Eccoci qua, finalmente “a casa”, a Nairobi in Kenya.
Scappati dall’India oramai saturi abbiamo finalmente riscoperto l’uso dei materassi, delle docce calde, delle posate, e del benessere generale che costituisce le nostre solite vite.
Siamo felici di aver finalmente posato lo zaino e di ritrovarci in quello che per noi va considerato un paradiso di ordine e pulizia, di silenzio e pace.
Strano ma vero, una capitale africane puo’ essere vista cosi quando si arriva dall’India.
Il mio ultimo post trattava Auroville, a circa 3 settimane dal termine del nostro tour indiano. Da li siamo passati per Gokarna, una tappa fissa dei miei soggiorni asiatici. Un posto tranquillo e bello dove la gente non applica ancora la filosofia del “spulcia il turista fino all’osso, succhiagli le energie e prendilo per sfinimento che qualche rupia la guadagni”. Quest’ ultimo e’ stato il live motive del tragitto che ci separava da Delhi.
Arrivati in Rajasthan siamo dovuti scappare dalla calca dei commercianti e cagacazzi per rintanarci nel fondo del deserto dei tartari dove abbiamo passato due giorni a non fare nulla, passeggiando per le dune. Lo scenario, fino all’orario del tramonto, era idilliaco. Dopo, dalla vicina Jaisalmer, arrivavano le orde di turisti per ammirare il tramonto.
La dinamica di questa “meravigliosa esperienza”era per noi contemporaneamente comica e patetica:
Nascosti dietro ad una lontana duna solitaria ammiravamo lo spettacolo dei pullmann turistici che arivavano strombazzando nella polvere del deserto. Questi si fermavano a poche centinaia di metri dalla duna prefissata affinche’ i suoi passeggeri potessero godere della indimenticabile e romantica esperienza del tramonto col cammello.
Gruppi di decine di trasparenti turisti occidentali scendevano dal bus con le loro belle tenute safari nuove per percorrere i 100 metri che li separavano dalla meta a dorso di cammello. Dopo una strenuante contrattazione la carovana partiva per il suo viaggio. Per ogni cammello un turista, per ogni turista un uomo che tira e uno spinge, un bambino che vende patatine ed un secondo bibite. I meno intrepidi hanno potuto optare per un carrello (tirato dal cammello frustrato da 3 indiani).
Dopo 5 minuti si raggiungono le dune, il tempo di scendere dal cammello e voltarsi verso il sole calante che la calca di bambini con collane, musicisti che impongono le loro performance e rompiballe assortiti, gli ostruiscono completamente la vista. Vengono pagati affinche’ se ne vadano.
Nel mentre i pullmann hanno raggiunto le pendici della duna e, con un concerto di clacson che si sente fino a Delhi, richiamano i loro portafogli ambulanti nel ventre della cassaforte. Il polverono riporta l’animalus turisticus nella vicina Jaisalmer lasciando a noi, che timidamente emergiamo dal nostro nascondiglio, tante meravigliose aiuole di coloratissima plastica.
Divertiti ed afflitti ci incamminiamo verso la nostra capanna, dove accendiamo il fuoco e ammiriamo un celo ancora molto bello.
Pensiamo: per foruna che ne i turisti ne gli indiani hanno ancora imparato a volare.
Raggiunta Delhi abbiamo tentato di ottenere un visto kenyano. Il nostro biglietto di sola andata, a detta dei funzionari kenyoti, non ci avrebbe portati da nessuna parte. – Il governo del kenya esige un biglietto di ritorno, in assenza di questo non viene concesso il visto e la compagnia aerea non ti fa salire sul volo per Nairobi-.
Queste le parole del funzionario agli addetti visti. Una ragazza kenyana della mia eta’, piu’ tirata di Naomi Campell e assente dal suo ufficio per l’ultimo mese. (piu volte avevo provato a contattarla via telefono). La sua Lexus 4×4 posteggiata sul marciapiede lascia intendere la sua “nobile provenienza”. Certamente la figlia di uno stimatissimo corrotto Kenyano.
Noi invece siamo andati in aereoporto, senza visto e col nostro biglietto, siamo saliti sul volo e ora siamo qui.
Dall’Italia al kenya, via India:
4 mesi e ½ in cui abbiamo speso 1000 euro incluso visti, regali di natale e un biglietto per il Kenya.
Mesi intensi e formativi ricchi di sorprese, divertimento e avventura, che ci hanno portati in posti dei quali in pochi possono parlare.
Il tutto al costo di due settimane di vacanza a 100 km dalla casa dei piu’.
Se qualcuno, oltre che dirlo, ha veramente pensato che viaggiare sia la cosa per lui, non ha scuse. Il viaggio e’ semplice, e’ alla portata economica di chiunque ed e’ la cosa che piu’ insegna nella vita. Ho la presunzione di dire questa cosa.
Scegliete il vostro mondo, inforcate la vostra bici, caricate il vostro zaino oppure girate la vostra chiave. Il resto andra’ da se’.
Ora restiamo qui un po’ di tempo:
Tabata deve farsi passare il mal di schiena mentre io devo curare sia una infiammazione al petto che la Giardia.
Devo recuperare 7 kg e trovarmi un lavoro.
Alla prossima.