xchè è come mi sento
Ho letto di te per caso e oggi per caso ho trovato questa.
La condivido con te…non so perchè! (?!)
VORREI SEDERMI VICINO A TE
Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,
ma non ne ho il coraggio:
temo che il mio cuore mi salga alle labbra.
Ecco perché’ parlo stupidamente e nascondo
il mio cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso.
Il mio cuscino mi guarda di notte
con durezza come una pietra tombale;
non avevo mai immaginato
che tanto amaro fosse essere solo
e non essere adagiato nei tuoi capelli.
Garcia Lorca
Mille sveglie ticchettanti
questa è una cosa molto difficile, non importa in che forma la debbo articolare, devo prima estrarla da me
the sea of the simulation
e se un segnale molto forte non servisse a raggiungere molte unità ma un unica unità molto, molto lontana?
Nel raggiungere quella controparte estrema, l’emittente sarebbe costretta a fare molto rumore, lasciando tracce incomprensibili di una comunicazione mirata a una moltitudine inconsapevole che recependo brandelli del messaggio si muoverà di conseguenza (causa effetto) creando di fatto, il destino di colui al quale il messaggio era diretto
No Time
No Space
another Race
of vibrations
the Sea
of the Simulation
http://www.youtube.com/watch?v=wJs1XJL-6S4
http://www.youtube.com/watch?v=HKSpX21AsSA
Natale senza Maya
un buco nel bozzolo
Brucia
Povera Italia, come direbbe Battiato, tra avviliti e corrotti non si salva nessuno e nessuno vuole prendersi a responsabilità di ciò che accade. Gli accusatori invece riempiono i giornali e le strade
Scheherazade
Tell me about the dream where we pull the bodies out of the lake
and dress them in warm clothes again.
How it was late, and no one could sleep, the horses running
until they forget that they are horses.
It’s not like a tree where the roots have to end somewhere,
it’s more like a song on a policeman’s radio,
how we rolled up the carpet so we could dance, and the days
were bright red, and every time we kissed there was another apple
to slice into pieces.
Look at the light through the windowpane. That means it’s noon, that means
we’re inconsolable.
Tell me how all this, and love too, will ruin us.
These, our bodies, possessed by light.
Tell me we’ll never get used to it.
Ascolto e taccio
Ascolto e taccio, ma l’ascolto non passa solo per le orecchie non transita solo per il cervello direi che l’organo più ricettivo è la pancia, ansia?
Più leggo e meno capisco, non ho veramente voglia di scrivere, lo faccio solo per cercare di ascoltarmi, non ho più nessuno con cui parlare, la trincea che ho scavato tutto intorno a me comincia a produrre I suoi effetti ed io galleggio pesante come una piattaforma petrolifera, produco una sostanza densa che mi sembra ingombrante vischiosa ed inutile come il petrolio.
Ho detto che mi sento inadeguata, ma non sempre, ci sono momenti in cui me ne dimentico? O sono momenti in cui faccio ciò che mi è connaturato?
Ho riposato sono molto meno stanca, ma a cosa mi serve? Mentre scrivo noto che il malessere di fa più evanescente, Cerco anche io un punto di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente?
No oggi Battiato non scriverebbe più così se mai cerco un punto di gravità dinamico che mi faccia vedere ogni cosa per quello che è invece di quello che è per me.
O forse quello che cerco è un punto al di fuori di me da cui contemplare me stessa mentre mi agito tra causa ed effetto all’unisuono cosciente del tempo e dell’eterno senza contrasti, in armonia che diviene armonia, dove gli attriti sono combustibile per il mio percorso e non sgradevoli fumarole che puzzano di incombusta inadeguatezza.
Dopo una giornata perfetta ci si sente angosciati e soli, l’angoscia di non poter replicare all’infinito ciò che sicuramente non potrà essere due volte uguale e che dalla perfezione potrà solo divenire via-via più imperfetto. Ma allora dove cercare quell’armonia in divenire?
Contrazione ed espansione, queste le regole dell’universo, perché mai dovrebbe essere diverso nel piccolo mondo a me sensibile?
“Mi sento banale” non direi, direi piuttosto scollata, come uno specchio tagliato in tanti pezzi perché ne servivano tanti per riflettere tutto quello che serve, ma lo specchio sempre quello è. I tanti pezzi fanno allo scopo, catturano le azioni che sono li in attesa di essere giustificate dall’ immagine che proiettano. E’ lo specchio a non avere più una superficie abbastanza estesa che lo manifesti come tale. Si trova pressoché disperso, ma non ancora, nutre la speranza di farcela a rimanere se stesso, uno specchio grande e luminoso, e ad accogliere il mondo che in lui si riflette per il quale si è tagliato in tanti piccoli pezzettini che presi singolarmente sono solo banali utili pezzettini.
Non so se si tratta di coraggio o piuttosto di destino, io sono orrificata da questa dispersione, la temo
Il principe felice di Oscar Wilde, una bella storia, ma è una storia triste, triste xché anche se dai tutto non è mai abbastanza. La privazione ci insegna che ciò che manca serve, ma ci insegna anche che molto di ciò che vogliamo e pretendiamo e superfluo. Questa forse è la proprietà del vuoto, rivelare la vera entità dell’assenza e quindi della presenza.
sopravvive il 15%
Thelistserve è un progetto universitario al quale tutti possono iscriversi
Una specie di lotteria dove chi partecipa potrebbe essee estratto per mandare una mail a tutti gli altri iscritti (io tra questi)
Il progetto è carino e spesso la gente è presa alla sprovvista, ho ricevuto ricette, consigli incitamenti, alcune mail erano interessanti altre …
Se mai vi venisse in mente di iscrivervi ne pubblico una qui di seguito
Potrebbe venire il vostro turno per comunicare una cosa importante ad un numero importante di persone che non avreste mai modo di incontrare
Dear Listserve,
I am not asking my question rhetorically. I am a doctor, and I need to know.
A “code” is an emergency that sends a large team of doctors, nurses, technicians and others to a patient who is unresponsive, not breathing, or pulseless. It is a frenzy of activity. Unless a designated representative of the patient says otherwise, the team springs into action and determines whether to begin CPR. The process involves much more than pounding on a chest for a minute, and that by itself can be violent. Ribs are broken, and the patient rocks from side to side from the force required. Orders are yelled across the room. And if the patient does not begin breathing spontaneously soon, they may put a tube down his trachea and connect him to a machine that will breathe for him.
On television, the survival rate when something like this happens is close to 50%. In reality, a patient whose heart stops has about a 15% chance of surviving to leave the hospital. Survival does not guarantee quality of life. There may be brain damage or other problems. This being said, an attempt at resuscitation is appropriate for many people–and for many others, it is not.
Your current state of health, age, and other factors affect your chances for a good recovery. Depending on how things go, breathing machines, surgeries, loss of functional capacity, or rehabilitation may follow. Think about this decision and discuss it with your family before you are hospitalized. Ask your doctor if you need help. “Five Wishes” is a good place to start.
T.
Denver, Colorado
lunarblue23@gmail.com
—
Unsubscribe priscilla@lulop.com from this list:
http://thelistserve.us4.list-manage2.com/unsubscribe?u=04ff6ad5f890a74d856b58123&id=14e28a9b65&e=c1e7f91486&c=bd53f5eb2b
Follow us on Twitter @thelistserve
thelistserve.com
facebook.com/thelistserve
centimetri di catena, un paio d’ali
the answer my friend is blowing in the wind
blu
é solo una bici- mi sono detta mentre la vedevo sporgere dal camion, poi ho allungato la mano e ho tolto il coprisellino. Una bici su cui ho appggiato il mio deretano x anni, a cui ho tenuto come se fosse l’unico oggetto posseduto. Una bici a cui ho delegato la rappresentanza di un’amicizia
Quando mia madre si è trasferita da trezzano a milano, a casa mia sono finite tutte le cose che non poteva dare a nessuno ma che le dispiaceva di buttare. Tutte le cose di qualche valore sono andate a casa di mio fratello. Il motivo è che mia mamma ama gli oggetti + di quanto ami le persone, quindi li da a mio fratello x assicurarsi che vengano ben custoditi, non xchè ami + lui. Lei non se ne rende conto ovviamente e qundi non la giudico, ma questo non vuol dire che le sue azioni non mi facciano soffrire
Di recente le ho regalato una caffettiera d’argento, che le piaceva molto e che a parer suo stava inutilmente mal esposta a casa mia
Questo l’ha resa molto felice. In questo dono c’è un contenuto, io ho fatto quello che la rende + felice, non quello che rende + felice me, xchè x me quella caffettiera d’argento vale molto meno della mia vecchia moca da due.
La bici e il fatto che l’ho cavalcata per tutti questi anni spero che sia per chi la porta via un modo per ricordarsi di me, si è certamente così
Nel mio corpo astrale scoperò con chi mi pare( storie di sesso e molto altro)
C’era un casino bestiale in questo sogno, giuro che non ricordo veramente i fatti ne le persone, ma tutto era così familiare, un dettaglio lo rendeva speciale
Il dettaglio aveva un colore, blu e una forma, un insetto. Ma non un instto qualunque, di quelli che ti puoi immaginare simile a uno scarafaggio, un acaro o una cavalletta
era la rappresentazione grafica animata di uno pseudo virus in dimensioni giganti.
Scivolava su sfere gelatinose che rilasciavano piccole bolle solide e cercava un passaggio sul mio corpo. C’era quasi riuscito quando in un movimento parzialmente conscio, scivola ma rilascia delle bolle una delle quali mi risale per il naso. Poi mi sveglio.
Quella mattina, dopo aver prestato sevizio come conduttora di pedibus, decido di andare a ritirare il libretto scolastico di mio figlio maggiore, sono accompagnata dalle chiacchiere di altre mamme, i cui figli frequentano tutti lo stesso istituto elementare di mio figlio minore. Sono abbastanza concentrata su quello che dicono perchè il mio progetto ha come obbiettivo di regalare a mio figlio compagnia sulla strada verso la scuola, soprattutto in odore di prima media, dove dovrà comunque andare e tornare da solo.
Spesso le cose più innocenti, e fatte con le migliori delle intenzioni, degenerano in invidia e pettegolezzo, quindi ascolto con attenzione e doso le risposte, insomma sto lavorando e cerco di essere “professionale” .
– a me non è arrivata notizia di questa cosa, dice una di loro, e subito le fa seguito, nemmeno a me figurati a me l’ha detto..
– In tutta franchezza, esordisco con un sorriso sulla faccia e le piume abbassate, non si tratta di nessun progetto, io Carla e Cinzia abbiamo messo insieme i nostri 3 figli perchè possano rendersi autonomi nell’andare a scuola. Ovvamente li accompagnamo per qualche giorno, alcune mamme ci hanno seguito e ci hanno chiesto, così è nato un pedibus autogestito, senza la volontà di includere o escludere nessuno…
Si rilassano e cominciano a richiacchierare tutte insieme, non c’è più il pettegolezzo o pietra dello scanalo, non c’è + un capro espiatorio che potrà prendersi la colpa del fatto che tizia e caia non sono state coinvolte…
All’altezza del comune, saluto l’ultima delle mamme e raccolgo un complimento fatto con garbo: “facciamola davvero questa pizza, ho notato che da quando facciamo così le cose funzionano davvero meglio”
Code di pensieri fanno un po’ di fatica a trovare continuità. Mentre cammino, quella sfera blu sembra farsi spazio dentro di me; chi sa cosa rappresenta il colore blu, le sfere…l’insetto lo so da me cosa rappresenta!
Infilo la porta della guardiola- in che classe è suo figlio?
seconda liceo, rispondo come un automa,
La bidella sorride inarcando il sopracciglio e chiedendosi se sono dotata di un cervello – in che sezione?
Abbozzo un sorriso, scendo sulla terra e gurdandola implorante negli occhi in un inutile sforzo di memoria, riesco a partorire la frase -forse nella e o nella d
-Come si chiama di cognome suo figlio, aggiunge cercando di mettere l’accento sul COGNOME. ma io sono proprio presa dal blu di questo corpiciattolo che ha lasciato un suo uovo dentro di me e ripeto il nome e poi, solo poi, aggiungo il cognome.
Ci dev’essere gente che sogna marziani tutte le notti e che viene a ritirare il libretto scolastico dei propri figli come se niente fosse. Io non sono certo il peggiore dei casi, la bidella sembra saperlo, molto gentilmente mi porge un foglio di carta e mi fa apporre due firme.
Torno in strada e un piede dopo l’altro sto andando verso lo studio del mio amico/medico. Sono in buona e voglio condividere questo momento anche per mettere a pari certe schermaglie per e-mail, e poi chi sa se mi sentirò altrettanto bene un altra volta che passo di qui? Gli avrei mandato un sms o insomma l’avrei avvisato, ma sicuramente non oggi, quest’uovo blu mi dirige come una puntina simbiotica
L’aria che respiro è rarefatta e tutto mi sembra speciale come se accadesse per la prima volta. Le case hanno contorni definiti, vedo tutte le insegne e ognuna mi accende un ricordo . Con le mie gambe e i miei pensierini che seguono sferici e blu, suono al citofono, il portone si apre senza risposta, come al solito, non perché lui sappia chi è, solo perché non risponde e basta e forse crede di sapere sempre esattamente come andranno le cose, quindi anche chi suonerà al citofono nei prossimi cento anni.
Salgo le due rampe di scale ma non sono qui e soprattutto i miei pensieri, non sono qui. Apro la porta a vetri, è tutto come tre settimane fa; a lui non piacciono i cambiamenti, anche quando rinnova, rinnova sempre conservativo. In sette anni che frequento lo studio non ha mai cambiato la disposizione di un singolo oggetto. Sospetto che se una cosa diventa lisa o obsoleta, la sostituisca con l’oggetto + simile o se possibile, uguale.
La porta dello studio è quasi chiusa, tendo l’orecchio per capire se dentro c’è qualcuno. Non sento voci e nemmeno rumore di tasti digitati, evidentemente aspetta qualcuno e si aspetta che questo qualcuno varchi la soglia, ora sembro così precisa ma è solo un ex post. Non saranno passati 30 secondi dalla mia entrata che ho deciso di uscire senza lasciare traccia del mio passaggio. Mentre sto per schiacciare il pulsante che apre il portone da dentro, questo scatta da solo e sulla porta incontro una mia carssima amica
– accompagnami devo ritirare una ricetta
–no scusa ma non posso, sono salita e non sono entrata, se vuoi ti aspetto qui
torna con in mano un foglio e la vedo perplessa mi chiede
-ma su c’era qualcuno?
-no ma la porta era socchiusa, tipico di quando sta facendo qualcosa e non vuol essere disturbato ma attende qualcuno
Andiamo a prendere un caffè insieme e facciamo una strada che altrimenti , da sola, non avrei fatto. A metà strada, sulla piazza del duomo, la vedo; ha il capo basso i capelli raccolti in una coda rimedio dell’ultimo minuto. E’ vestita in qualche modo, con jeans e camicia troppo stretti, anche lei mi ha visto, le faccio un sorriso e la saluto con la mano e pronunciando un ciao grazioso.
Io sono contenta è una bella giornata di sole, lei è afflitta e compressa o così mi sembra mentre rimbalza sulla sfera azzurrata di un immaginario scudo che l’ovetto blu sta producendo tutto intorno a me.
Sta andando da lui e se mi avesse trovato anche solo sulla base del pianerottolo avrebbe pensato le cose peggiori e avrebbe avuto modo di scaricare su di me tutta la colpa della sua vita infelice.
Una sensazione di immediato appagamento, come il terzo pezzo gigante di toblerone che mi sto ficcando in bocca adesso.
Quando con la vespa ho scavallato l’argine quello stesso giorno, ho cominciato ad avere una sensazione di pesantezza, mi sono sentita debole e meschina, tronfia delle mie stupide false conquiste, di cui ho bisogno per sentirmi bene e meglio degli altri
“Spesso sappiamo quello che vogliamo, ma non possiamo volere quello che vogliamo”. Avevo archiviato questa frase da qualche parte, incerta del significato, della forza o della banalità.
Forse avrei dovuto fermarmi al primo pezzo di toblerone, affondo nell’eccesso, ho bisogno di sentire nausea per sentirmi paga e vorrei, vorrei tanto ma…
foto post “pakistan”
attraverso il Pakistan
http://www.lettera43.it/attualita/pakistan-armi-illegali-diplomatici-usa-fermati_4367553350.htm
Wild, Wild West. Compro la mia pistola
il mio ristorante
il ristorante di Tabata
Una capra felice
Wild west 2
Ancora dall Iran
produzione di armi
le tre volpi di Kalash
Se io fossi
se io fossi un animale sarei sicuramente una formica. Una formica classica come quella della fiaba, quella che lavora e si lagna degli altri che non fanno nulla e poi però d’inverno si fa carico della cicala. Non è la cicala ad aver bisogno della formica, ma il contrario.
“l’ultima volta che ho sbattuto la testa ho perso il 70%della mia coscienza”
Maratona popolare
La testa affondata nella mia spalla l’occhio un po cerchiato e quello sguardo così limpido, non ci sarebbe forse nemmeno bisogno delle parole per commuoversi e invece ci sono anche quelle e sono parole pulite, semplici e lineari,
ricorda che sei in piedi su un pianeta che si muove
entro dalla porta e subito so che lo troverò li esattamente come lo vedo spaparanzato in mezzo alla sua famiglia. anche lui sa ancor prima di vedermi e fa per alzarsi ma io non voglio attirare l’attenzione
“Honi soit qui mal y pense”
Subiendo al tren dos ojos te fijaron solo que sabès que para vos ya no es tiempo. El tren llega a la Nord, quizàs si està todavìa, Juan sos incorregible, no tenès salvaciòn, no aprenderàs nunca, olvidàs que la entrada en el embudo se debiò a una mirada que se encontrò con la tuya…
Non te l’immagini nemmeno. Ci vuole
fortuna, coraggio, volontà. Soprattutto
coraggio. Il coraggio di starsene soli come
se gli altri non ci fossero e pensare soltanto
alla cosa che fai. Non spaventarsi se la gente
se ne infischia. Bisogna aspettare degli anni,
bisogna morire. Poi dopo morto, se hai
fortuna, diventi qualcuno.”
(da La casa in collina, 1948)
Discendenze
E’ brutto sentire la distanza che si allarga in termini di comprensione e affinità con la propria madre negli anni, ho sempre pensato che crescendo e invecchiando succedesse il contrario, forse nella maggior parte dei casi è così. Mio padre è sempre lo stesso e quindi negli anni non mi sorprende ne mi delude più . Percepire invece mia madre più distante, sempre più diversa da me mi ferisce, non so bene perché . Forse perché è il modello cui mi sono sempre ispirata e vedere che non mi piace è doloroso. Eppure ha compiuto settanta anni per cui è il momento Dell accettazione, non delle critiche, forse da questo punto di vista sono io in ritardo, nonostante i miei 43 anni….
Spero che la tua clausura abbia momenti di gioia, un abbraccio.Ho dovuto accentare tutte le tue e. Sul telefonino “è” complicato rispettare gli accenti. Sarà per questo che mi sono resa conto di quante “è” ci sono in un messaggio così breve. Come se l’Essere fosse granitico e inamovibile, come se le cose non potessero mai + cambiare nella tua percezione. Forse x questo mi sono chiesta se “è” la morte a dare alla vita un valore assoluto. Quella morte che senti prossima perché l’età di tua madre ti fa pensare che è passato molto + tempo di quanto ne rimanga.Ho visto un film grottesco– the descendant – molto intrigante nella sua semplicità. Tra lacrime e risate mi sono chiesta cosa sia l’accettazione della morte. Non in teoria, non nei nostri momenti blu, ma nella realtà, quando devi pronunciare la parola che si riferisce ad una persona che è stata viva e il cambio di stato ci obbliga a vedere diversamente. Me lo sono chiesta nella posizione di chi quest’esperienza l’ha già fatta qualche volta senza accorgersi che l’altro rappresentasse l’ occasione di cambiare, di farcela, di salvarsi. L’altro che abbiamo cercato e nel quale abbiamo riposto chi bene chi male, la memoria e lo scopo della nostra vita. Perché senza l’altro nulla ha un senso, o così sembra pensarla la maggior parte di noi. E l’altro c’è fino a che il suo cuore batte, o fino a quando il suo cervello ragiona? o fino a quando ci può dire si o no? o fino a quando abitiamo entro lo stesso confine? fino a quando possiamo varcare il confine?
Come si parla a una pianta? come si comunica con un piccione?come ci si mette in relazione con un fantasma? Tutte situazioni grottesche perché in equilibrio tra “essere e non essere”E poi il gran finale: l’eternità, oppure Dio, La Creazione…ci sono molte definizioni per descrivere quel senso di smarrimento che proviamo se anche solo per un attimo ci rendiamo conto di chi siamo veramente: una caccola sull’orlo di essere starnutita …eppure un centro di energia , “di gravità permanente” oggi dentro un corpo di femmina in carne ed ossa, domani…il senso della vita mi sfugge
Mio suocero dice sempre che DOPO non c’è nulla e quando lo dice io lo guardo e penso ” eh come ti piacerebbe!”
il postino
Pavese
“Essere qualcuno è un’altra cosa, -dissi piano-
Non te l’immagini nemmeno. Ci vuole
fortuna, coraggio, volontà. Soprattutto
coraggio. Il coraggio di starsene soli come
se gli altri non ci fossero e pensare soltanto
Che lo abbia scritto proprio Cesare Pavese fa pensare ma è stata una scoperta casuale
Qualche giorno fa il mio parrucchiere mi ha riferito della conversazione avuta con un’altra cliente “mi diceva che aveva sentito un intervista ad un filosofo importante, il succo è che per come stanno andando le cose tra breve ci sarà una guerra, una guerra di quelle che ci farà retrocedere ad uno stadio inimmaginabile”
Un sogno da 50 euro
La mia gatta miagola incessantemente da qualche giorno, i gatti sono creature notturne. Due sere fa mentre uscivo sul terrazzo a prendere l’acqua minerale lei ne ha approfittato per uscire.
Dipende da tre cose
-Se una persona a cui hai già detto tante volte di non fare una cosa continua a farla- ho chiesto a mio figlio- tu cosa fai + spesso, le rispieghi o lasci correre?-
-dipende da tre cose- mi ha risposto-di che umore sono, se mi sta simpatica quella persone, quanto nei guai si può cacciare se non le spiego.-
-E allora quando io non capisco una cosa e tu e tuo fratello, a mie ripetute domand, rispondete “va beh”?-
-Ma quelle non sono cose importanti mamma-mi dice lui rendendomi evidente che mi sto soffermando pretestuosamente su un dettaglio irrilevante e poco filosofico.
Allora tra me penso che forse quando usiamo questi tre criteri in realtà stimo escludendo gli altri, ossia non solo quanto ci si possa mettere nei guai facendo una cosa che reputiamo sbagliata, e quanto si possano mettere nei guai gli altri, ma e anche se noi siamo l’altro con cui il soggetto testardo potrebbe mettersi nei guai
Un amica tempo fa mi raccontava di essere andata al bar e di aver chiesto un caffè, era il bar sotto casa, nel quale lei andava abitualmente, -Invece del solito caffè, + bicchierino d ‘acqua mi vedo arrivere solo il caffè. Lo sa che il caffè va sempre accompagnato da un goccio d’acqua?- fa lei. -Il barista precedente me lo serviva sempre così ed è una cosa che fa piacere. La gente va educate -disse a conclusione del racconto- altrimenti come fanno a sapere perché, se mai decidessi di farlo, ho cambiato bar.
Sorge un problema, l’estraneo , colui che ci conosce appena, notano ogni cosa che può mettere a rischio la propria posizione nei confronti dell’altro. Tal volte si arriva a fare pensieri assolutamente speculativi sul perché di un occhiata o di una risposta. Perché tutti vorremmo sempre essere nel giusto e siamo proni a scaricare sull’altro ogni cosa che non ci torna: -cosa gli avrò mai fatto per tirarmi una simile occhiatacci?! –
Che siamo egocentrici lo dimostra il pensiero condiviso che l intero universo sia stato creato perché noi si possa abitare la terra.
Dunque l’amico,il parente, lo stimato collega a furia di giustificare quello sguardo o quell’atteggiamento, (altrimenti dovrebbe mettersi così spesso in discussione da non arrivare mai a fare ciò che deve tutti i giorni) ha smesso di essere attento, ha creato un cortocircuito, tanto che spesso leggiamo o ascoltiamo commenti insensati relativamente ai più prevedibili e a volte anche tragici eventi. L’assassino stupratore era sempre stato una brava persona, il folle omicida un mite depresso, il suicida uno tranquillo che non si sarebbe mai potuto dire…
Insomma se vuoi sapere qualcosa non fare domande che ti confondi solo le idee, le risposte sono spesso la proiezione di noi stessi, lungi dall’essere la verità, bugie dette nell’assoluta buona fede di chi metterebbe la mano sul fuoco sulla propria oggettivitá
Ieri ascoltavo un programma radiofonico, si parlava della responsabilità e a chi attribuirla, riguardo al recente naufragio. -Vede- si accingeva l esperto interrogato dal giornalista, -in ufficio si fanno molte riunioni, a danno del rendimento produttivo di un azienda, solo per condividere una responsabilità, come a dire siamo tutti qui siamo tutti coscienti ed eventualmente colpevoli. Quindi non si decide mai niente, l unanimità o l’assenso sono mero quieto vivere, perché nessuno che sia sano di mente si espone per dire il suo reale pensiero /opinione. In mare le riunioni sono unicamente operative, per comunicare ad ognuno il suo compito, la gerarchia non concede nessuna condivisione. Il capitano decide e del capitano è la colpa se le cose si mettono male, così come la colpa e di tutti quelli che non hanno obbedito o non si sono attenuti al codice.
Quando mondi cosí diversi si trovano a operare insieme ogni giudizio è vago perché missione e paradigma di ognuno non potrebbero essere + diversi. La compagniaCosta, sono gente di terra e di ufficio. Il personale di bordo, gente di mare. Chi ci va di mezzo non avrà credo mai un unica versione dei fatti se non una versione arbitraria, mediata e mediatica che possa funzionare fino a che non verrá dimenticata. –
Quindi arivo al mio piccolo e penso che tutto sommato essendo che io e l altro apparteniamo ad universi paralleli ma diversi, a nulla serviranno le mie spiegazioni, soprattutto se come la luna e il sole siamo l una abituata a vedere l’altro ogni bardo che separi la luce dalle tenebre.
Solo qualora gli astri, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire, cambiassero bruscamente la loro traiettoria, solo allora forse e forse troppo tardi, la distrazione potrebbe diventare prima attenzione e poi attrazione; come il sogno per la realtà, come lo scoglio per il vascello, come la vita per la morte.
befane, draghi e altre meraviglie tra i globuli bianchi
Il mio frigo fà rumore perchè ha quasi 25 anni e la caldaia fa eco xchè ne ha dieci e i vecchi si sa, brontolano sempre ma di quello che vorremmo sapere ci raccontano molto poco
Anche in una casa di campagna come la mia ci sono rumori che ti accordano ad un tempo meccanico, all’operosa industria del consumo. Dalla finestra un aereo di linea interrompe il blu pristino del cielo già sporco di lunghi rami scuri rigidi e privi di ritmo vitale. In lontanaza campane che suonano senza muoversi.
Non riesco a separarmi da questi due elttrodomestici, e non è una questione economica è orrore di ciò che non conosco.
Fino a ieri la novità mi spingeva fuori dal letto, mi faceva fare le scale 4 a 4 e non c’erano porte o murate che potessero contenermi. Stavo imparando, mi sembrava che non ci fosse un grano di riso uguale all’altro, volevo che tutto fosse diverso e per me lo era.
Provo a chiedermi se ciò che mi fa paura non è ciò che non conosco, ma ciò che conosco gia e non mi piace. Come separare ciò che non conosco dal riconoscere l’affezionato ritornare di vecchi nemici ristrutturati dall’opera ingegnosa e creativa del design ?
Come difendersi da quello che sappiamo già non funzionerà senza chiudersi al nuovo, al diverso, al dopo e al prima?
Mi disturba l’idea che quando altro da ciò che è consolidato fa capolino, riceva sempre un freddo e tal volta ostile benvenuto. Sarà x questo che se ha la fortuna e la stamina di insediarsi, a sua vota elimina tutto ciò che lo ha preceduto e ostacola tutto quello che sta per arrivare.
Allora penso che potrei adottare un criterio elettivo che si basi sull’accoglienza e l’integrazione, per esempio riparare il mio frigo invece di sostituirlo. Il frigo è passivo, o sufficientemente passivo perché me ne possa occupare con tempo e voglia di avere a che fare con gli altri, i creativi del frigo!
Ma che dire di un amico, un collaboratore, un marito. Certo non sono soggetti passivi e in + si relazionano, con pessimi risultati, con la popolazione dei creativi la fuori. Spesso sono loro stessi dei creativi.
L’istinto è quello di un globulo bianco nei confronti di un agente patogeno. L’aggressività che conteniamo o alla quale diamo libero sfogo è genetica, fa parte dell’istinto di sopravvivenza, è connaturata all’essere vivente. Ci vuole grande ricchezza di ogni risorsa per dare il tempo al nuovo di rivelarsi e comunicare le sue intenzioni, ricchezza per non perire in caso di esito nefasto, ricchezza per non perdersi in caso di esito troppo zelante, ricchezza di non accomodarsi in caso di presa per il culo.
Mio figlio scende le scale si stiracchia e mi si siede sulle ginocchia.
Lo abbraccio e lo sbaciucchio, poi penso, se io fossi un globulo bianco e lui qualcosa di nuovo che arriva dall’esterno, quante possibilità avremmo di poterci godere un momento come questo?
Dal fagotto arancione che la befana ha lsciato nel nostro camino escono due automobiline di plastica moto attese, finalmente si potrà usare la pista ricevuta per natale
Gli involucri sgargianti sono un insulto a qualsiasi tipo di politica per il contenimento dei rifiuti e la possibilità di smaltirli per vie differenziate, ma questo non sembra attirare l’attenzione dei miei figli in alcun modo, la confezione non li eccita ne li disincentiva. L’interesse è tutto sulla morfologia vicarita dai due simulacri. Di uno è in discussione l’appartenenza al regno dei pesci o dei mammiferi, 15 minuti di discussione sull’osservazione della pinna riprodotta nell’immagine della carta digitale che servirà ad aumentarne la potenza. Dell’altro, subito viene colta la differenza tra viverna e drago. Cerchiamo sul web informazioni aggiuntive, sporattutto perchè Geo, il + piccolo, sembra deluso di sapere che la sua automobilina non sia un vero drago. Quando apprendiamo che la viverna non sputa fuoco e ha due arti in meno del drago, ma possiede un pungiglione sulla coda e doti magiche, tanto da essere dei due il + temuto, subito riguadagna terreno. Questo rettangolo di plastica colorato del tutto simile a molte altre automobiline già viste, acquisice il fascino delle cose magiche non meno del al gatto di casa, la bacchetta magica di sanbuco e i soldatini di Warhammer.
Mio figlio lupo. quindicenne è felice di sfoggiare le sue conoscenze mitologiche e dedica un ora del suo tempo alla costruzione e prova della Pista insieme al fratellino di 9.
Forse siamo vittime del consumismo e perdutamente sordi alle + basiche regole di questo vivere nella coscienza dei nostri tempi, ma crediamo nella befana come nel potere della cioccolata calda. Speriamo che i draghi esistano da qualche parte e che gli squali uccidano perché non possono fare altrimenti.
Forse cambierò il frigo e posso presagire che quando Il drago salirà in cielo nell’equinozio di primavera, la stessa sorte toccherà probabilmente anche alla caldaia.
Ti auguro e mi auguro…
“…e vorrei tanto che imparasse che le azioni che gli esseri umani perpetrano gli uni contro gli altri non sono solo aberrazioni, ma una parte essenziale di quello che noi siamo. In questo modo soffrirebbe meno. Il mondo non le crollerebbe addosso ogni volta che le succede qualcosa di negativo”.
Muto Natale
Questo natale è per me un natale “Libero”. libero dall’esigenza di fare, libero di ricevere, sereno nel non ricevere.
Una natale in equilibrio sommo sul puntale , precario, ma catartico, perchè a guardarlo dalla base dell’albero sembra magico che tutto quel peso scintillante abbia resistito al vento e ai gatti e noi, e abbia oscillato in qua e in la e ancora lo faccia senza cadere.
E’ bello guardare alle cose mute. Quante parole, molte e troppe non nostre.
Oggi il sole bagna il cortile e l’umidità imprigionata dalle tenebre sembra la neve del mio presepe.
Il “Grazie”nasce spontaneo e non è a chi e non è perché, ma solo “è”
Condivido con chiunque la mia gioia e auguro a tutti questo Natale
Il mercato degli asini
Sabato 15 ottobre 2011 (Giornata internazionale degli indignati) …
Un uomo in giacca e cravatta è apparso un giorno in un villaggio.
In piedi su una cassetta della frutta, gridò a chi passava che avrebbe comprato a € 100 in contanti ogni asino che gli sarebbe stato offerto.
I contadini erano effettivamente un po’ sorpresi, ma il prezzo era alto e quelli che accettarono tornarono a casa con il portafoglio gonfio, felici come una pasqua.
L’uomo venne anche il giorno dopo e questa volta offrì 150 € per asino, e di nuovo tante persone gli vendettero i propri animali.
Il giorno seguente, offrì 300 € a quelli che non avevano ancora venduto gli ultimi asini del villaggio.
Vedendo che non ne rimaneva nessuno, annunciò che avrebbe comprato asini a 500 € la settimana successiva e se ne andò dal villaggio.
Il giorno dopo, affidò al suo socio il gregge che aveva appena acquistato e lo inviò nello stesso villaggio con l’ordine di vendere le bestie 400 € l’una.
Vedendo la possibilità di realizzare un utile di 100 €, la settimana successiva tutti gli abitanti del villaggio acquistarono asini a quattro volte il prezzo al quale li avevano venduti e, per far ciò, si indebitarono con la banca.
Come era prevedibile, i due uomini d’affari andarono in vacanza in un paradiso fiscale con i soldi guadagnati e tutti gli abitanti del villaggio rimasero con asini senza valore e debiti fino a sopra i capelli.
Gli sfortunati provarono invano a vendere gli asini per rimborsare i prestiti. Il corso dell’asino era crollato. Gli animali furono sequestrati ed affittati ai loro precedenti proprietari dal banchiere.
Nonostante ciò il banchiere andò a piangere dal sindaco, spiegando che se non recuperava i propri fondi, sarebbe stato rovinato e avrebbe dovuto esigere il rimborso immediato di tutti i prestiti fatti al Comune.
Per evitare questo disastro, il sindaco, invece di dare i soldi agli abitanti del villaggio perché pagassero i propri debiti, diede i soldi al banchiere (che era, guarda caso, suo caro amico e primo assessore).
Eppure quest’ultimo, dopo aver rimpinguato la tesoreria, non cancellò i debiti degli abitanti del villaggio ne quelli del Comune e così tutti continuarono a rimanere immersi nei debiti.
Vedendo il proprio disavanzo sul punto di essere declassato e preso alla gola dai tassi di interesse, il Comune chiese l’aiuto dei villaggi vicini, ma questi risposero che non avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo poiché avevano vissuto la medesima disgrazia.
Su consiglio disinteressato del banchiere, tutti decisero di tagliare le spese: meno soldi per le scuole, per i servizi sociali, per le strade, per la sanità … Venne innalzata l’età di pensionamento e licenziati tanti dipendenti pubblici, abbassarono i salari e al contempo le tasse furono aumentate.
Dicevano che era inevitabile e promisero di moralizzare questo scandaloso commercio di asini.
Questa triste storia diventa più gustosa quando si scopre che il banchiere e i due truffatori sono fratelli e vivono insieme su un isola delle Bermuda, acquistata con il sudore della fronte. Noi li chiamiamo fratelli Mercato.
Molto generosamente, hanno promesso di finanziare la campagna elettorale del sindaco uscente.
Questa storia non è finita perché non sappiamo cosa fecero gli abitanti del villaggio…
video
Marabotto: i maeriali e le onde radiofoniche
la pillola della felicità
свети атанасhttp://www.lapillolamagica.com/
indonesia appunti
linz
Di recente, in un libro, leggo un passaggio che allude ad una pratica esoterica esercitata al forno:” Uccidi il vivo per resuscitare il morto”. Pratica che io esercito nella vita di tutti i giorni quando faccio domande, sarà per questo che (come mi hanno detto di recente a Linz) le mie domande sono così scomode?
Godetevi le foto:
gialal ad-din rumi nacque in persia nel 1207 e morì in turchia nel 1273, maggiore poeta mistico della letteratura mondiale
qui una poesia che mi è piaciuta fra le tante per voi del gruppo di linz (Simona)
EVOLUZIONE
ogni forma che che vedi ha il suo tipo supremo nell’oltrespazio:
se la forma scompare, non temere: la sua radice è eterna.
Ogni immagine che vedi, ogni discorso che ascolti
non penarti quando scompare, che’ questo non è vero.
Poiché eterna è la fonte, i suoi rami scorrono sempre,
e poi che ambedue mai cessano, inutile è il lamento.
Considera l’anima come fontana e le opere come rivoli:
finché la fonte dura ne scorrono freschi i ruscelli.
Via dal cervello il dolore, e di quest’acqua pur bevi;
non temere che si secchi, è acqua senza sponde!
Da quando tu venisti in questo mondo d’esseri
davanti ti fu messa, per salvarti una scala.
Fosti dapprima sasso, poi divenisti pianta
e ancora poi animale: come ciò t’è nascosto?
Poi divenisti uomo con scienza, mente e fede:
guarda come ora è un Tutto quel corpo, già parte di terra!
E, trascorso, oltre l’uomo, diverrai angelo certo
oltre questa terra, dopo: il tuo luogo è nei cieli.
E passa ancora oltre l’Angelo e in quel Mare ti immergi:
così tu goccia, sarai mare immenso e oceano.
Smetti di parlare di Figlio, di’ col cuore uno.
Se il tuo corpo è vecchio, a che temere, se l’anima è giovane?
sono andata in un blog e ho trovato commenti di sicialiani sui sufi, imperdibile questo:
A mia fragamende lo desviscio ma pare popprie nu frocio turgo colla gonna rotelante como lallama rodande de mezzinga, lu cattone nimato ciapanese. ma nu sa zarvecognine sti dervisciati da anna ngiro colla gonna comme a froci?
Postato lunedì, 30 aprile 2007 alle 6:59 pm da ORONZO LAMERDUTA
Il divenire non ha presente ma speranza
Il tempo è un illusione, molti di noi vivono affacciati sul futuro dimentichi del presente sul quale appoggia la finestra,ma cosa sarebbe il presente se non guardassimo continuamente oltre? Cosa sarebbe la realtà dell’ora e adesso se non fossimo continuamente in attesa di ciò che ancora non è?
Questo pensiero mi frulla in testa, mentre visualizzo un enorme mostro nero e felino nello specchietto retrovisore della mia auto e il cuore, la pancia e il cervello fanno un enorme balzo avanti nel tentativo di sfuggire alle sue fauci.
c’è in quella corsa un possibilità per l’uno o l’altro di noi due, di perseguire e giungere a concretizzare la nostra speranza.
Come sempre nella vita, non si tratta di un enorme differenza, basta quel piccolo insignificante incremento nelle diverse accelerazioni, per portare me o la bestia ad incontrare un favorevole o sfavorevole destino. Ma dopo? Voglio dire, qualsiasi sia lo scenario che si concretizzerà nell’immediato futuro, come prevedere ciò che seguirà? Se dovessi sfuggire a questo mostro potrei magari compiere atroci delitti, anche involontariamente e così la bestia, terminando la mia corsa verso il futuro, risparmierebbe agli altri un infausto finale. Si tratta solo di un iperbole, per altro difensiva, che mi mette al riparo dal rimanerci troppo male quando sentirò il mio omero destro scricchiolare e cedere, sotto i denti giallastri e acuminati dell’animale salivato che mi insegue senza apparente stanchezza.
La mia mente annaspa alla ricerca di un’idea, si affaccia e si sporge dalla finestra, cerca di toccare il futuro senza togliere piede dal davanzale, ma la presa è incerta e l’equilibrio vacilla.
la strada e dritta, larga e senza incroci o svolte che possano invitarmi ad una navigazione creativa, il mio piede sfonda la tavoletta dell’acceleratore e non c’è modo di mettere un razzo nel culo a questo cavallo di metallo, che non si scompone ne si strugge, semplicemente corre. Ed ecco che la mia mente calcola le differenti accelerazioni, le differenti dinamiche di impatto, la probabile diversa prestazione dei due corpi, uno metallico e l’altro organico e dalla mente l’azione passa all’arto e nell’impossibilità di fuga il piede si alza dall’acceleratore. La bestia guadagna terreno senza risparmiare la falcata, tutta proiettata verso il futuro oramai quasi presente di un nemico annientato, di una preda raggiunta. In quel momento mi stupisce che nello specchietto retrovisore tutto sembri + lontano e remoto, ma non lo è, perché dal finestrino abbassato posso ormai sentire distintamente il rumore prodotto dal suo corpo in corsa e dalla sua bocca in acclamazione di vittoria. Schiaccio il pulsante, il vetro sale e poi penso: ” il futuro è adesso” e mentre la mia mano impugna la leva del freno il piede affonda sul pedale.
I pneumatici stridono, la carrozzeri sbanda e poi l’impatto è intenso e prolungato ma elastico, non so quali leggi dinamiche fanno si che la bestia, oltre ad accasciarsi completamente annichilita, mi dia come un rinculo in avanti; pronta, come solo l’istinto di sopravvivenza può farmi essere pronta, schiaccio dinuovo il pedale dell’acceleratore e finalmente la bestia diventa sempre + piccola nello specchietto retrovisore. Non sento nulla, rumore, dolore, paura, solo la condizione precaria di un oggetto che ha perso le sue doti naturali di equilibrio, forma e movimento, trema e sobbalza e io con lui. Sono nuovamente e interamnete sul davanzale, e tutto trema e vacilla ma non oso sporgermi, non voglio vedere, per il momento spero che questa finestra resista alla scossa di terremoto, che l’archetto non ceda, che il davanzale non si incrini. Ho gli occhi spalancati ma cechi e vivo, vivo si, per ora.
privata o pubblica l’acqua un bene prezioso
In prossimità del referendum forse è bene ascoltare esperienze di prima mano
un amica mi scrive:
“allora ho chiamato sergio, il papà di giada che lavora all’acqua potabile da trent’anni
lui dice che non capisce perché un milanese dovrebbe votare no, nel senso che il servizio dell’acqua a milano è sempre stato efficientissimo anche da quando è in mano in parte alla metropolitana milanese.
1. il paese è altamente corrotto e abbiamo oramai infiltrazioni camorristiche anche al nord. La privatizzazione essendo che noi NON siamo un paese virtuoso consentirebbe a merde umane (vedi giro di affari intorno al pattume) di mettere le mani su un bene collettivo.
anche una gestione con controllo del pubblico non ci garantisce perché elenco di amministratori collusi ne abbiamo a raffica (vedi scotti che ha appena corrotto funzionari pubblici per intascarsi u7 MILIONI DI EURO della comunità europea e riempire il cielo di pavia di tossine bruciando sostanze pesanti). Se il pubblico agisce male abbiamo sempre lo strumento di mandarli via con il voto, se hai un’amministratore delegato di un’azienda privata che gestisce l’acqua te lo tieni almeno per 25 anni (i contratti hanno queste durate) NESSUNO LO MANDA VIA.
In sostanza se il pubblico controllasse veramente perché no, il fatto è che il privato frega e il pubblico non controlla.
2. ci sono tre casi italiani di gestione privata di cui uno in Lazio. L’acqua non è migliorata, la bolletta è aumentata e la differenza se la mettono in tasca i privati e sicuramente non spendono soldi per mettere in ordine il sistema idrico che in Italia pare sia veramente obsoleto (come tutto oramai). Inoltre in Italia vedi tv si passa sempre non a vera libera concorrenza ma al massimo a duopoli (rai/mediaset) anche perché le multimazionali interessate al business dell’acqua pare siano 2/3 al massimo. Una francese la suez, per tutte. Quindi dopo il settore alimentare i francesi si prenderebbero pure l’acqua italiana. Peraltro è decenni che le multinazionali cercano di appropriarsi dei bacini idrici boliviani, non credo per il bene dell’umanità.
3. Parigi, Valencia dopo 25 anni di privati nell’acqua stanno tornando al pubblico perché non funzionava la gestione privata, quindi forse bisognerebbe vedere cosa succede nella vicina europa. questa legge intende appaltare il 40 per cento delle risorse idriche italiane. Il paese è troppo corrotto per permettersi una cosa del genere e non curare un bene della collettività, così prezioso, dato che è previsto che le guerre del prossimo secolo saranno per l’approvvigionamento idrico.
questo quanto”
oggi non compro
Appoggio, prete,padre
guardi nello specchietto retrovisore, quella macchina è troppo vicina, vorresti essere mezzo km indietro, ma capisci che sarebbe inutile, non ti rimane che guardare e raccontarti che ne sa abbastanza per cavarsela. E’ li che ti sorprendi a sperare di avergli detto e mostrato tutto quello che deve sapere, basta poco per far vacillare certezze, costruire angosce.
” Non importa quante volte è andata bene, basta una, una volta soltanto e sei incollato a terra come un tappeto di linoleum, piatto inerte, possibilità di farcela ZERO”.
Cominci a dubitare della scelta, forse un po’ estrema “perché un enduro? alto, pesante, difficile da manovrare nel traffico, perché diavolo non uno scooter. Ma certo io mi barrico dietro certezze infondate , un enduro è più sicuro, deve imparare a guidare una moto con le marce, è un uomo… ma chi me lo ha detto che è +sicuro?”
Adesso cominci a pensare che forse non ne sai abbastanza, che avresti dovuto documentarti meglio.
Sono episodi come questo che ti fanno pensare che siamo sempre alla ricerca di un appoggio, un prete, un padre, un capoufficio, un animatore…Uno…uno che ci dica se facciamo bene o male, che stia dalla nostra parte, che ci metta una buona parola, che ci rassicuri con una pacca sulla spalla, ma anche che ci tiri un bel calcio nel culo quando troviamo mille scuse.
E’ x questo che quando vedi il messaggio sulla posta “posso giocare con curiosità e discrezione” ci caschi x l’ennesima volta e rispondi esattamente come ti senti di rispondere “si, se 6 originale”
Ti torna in mente quel passaggio del libro che stai leggendo ” il vuoto, quello vero, fa paura a tutti, perché è troppo poco, allo stesso momento immenso per essere riempito; un cassetto vuoto di un albergo lo riempi di calze e di mutande ma se apri il cassetto in cui tenevi una scatola con i risparmi di una vita e la trovi vuota, quel vuoto è troppo poco ma è anche immenso, per essere riempito”.
Quel vuoto assurdamente vuoto che mostrano le tue risposte, I tuoi atteggiamenti così sprezzanti, certo tu pensavi di dire la cosa giusta, non ti sarebbe venuto in mente altro perché speri sempre in chi ha voglia di scoprirti e di scoprirsi, che sappia usare le parole, che abbia voglia di giocare. Invece le domande che oggi vanno sul mercato dei social sono piene di doppi sensi, cariche di mielosi dinieghi, giardini dell’inutile, sterile formazione di pagliericcio pre accoppiamento…e infatti “allora lasciamo stare” è stata la risposta.
“Il pacchetto in offerta ha delle cose interessanti e altre…”altre che non ti interessano, se quelle che non ti interessano sono superiori di numero e quelle che ti interessano sono di qualità appena sufficiente, allora non ti interessa di riempire quel cassetto d’albergo, tu cerchi quella scatola vuota che profuma ancora di meraviglia e di desiderio, di sogni e di avventura.
Tu vuoi il vuoto, quello vero, quello che è troppo.
E magari separare gli oggetti e le azioni che ti hanno portato a scoprire quel vuoto, ricordarti con precisione ogni dettaglio che ti ha portato li come se la vita fosse un mazzo di carte da gioco nuovo ancora da mischiare, che potesse in qualsiasi momento esser ricomposto in quell’ordine prestabilito che sono le scale e i colori.
E ti tornano in mente parole di uno che non hai conosciuto, ma di cui ti hanno parlato molto, quasi senti nostalgia, nostalgia di non aver mai potuto incontrarlo:“Descrizione da un dialogo con Paolo Lucarelli:Noi (alchimisti) abbiamo, prescindendo da tutte le regole e regolette, che cambiano da cultura a cultura, un sistema specifico molto preciso ed è la quiete interna. Puoi ingannare gli altri ma non te stesso, perché lo sai. La quiete dipende da una infinità di cose, dalla tua cultura, dalla religione, dagli insegnamenti. Se tu sei in quiete tutto va bene, anche tu stai bene. Questo è un insegnamento che trovi dappertutto, è molto vecchio. Però la cosa fondamentale è un’altra, cioè non è che puoi decidere tu le cose che disturbano la tua quiete, perché ormai, alla tua età, hai una serie di vincoli che dipendono dalla tua educazione, e dalla vita che hai fatto. Senza rendertene conto ci sono cose in cui credi, e cose che reputi sbagliate, che fanno parte della tua intima essenza. Allora cercare di arrivare a liberarsi completamente dai propri pregiudizi è più faticoso e lungo che non accettarli serenamente e gestirseli, tanto poi se ne vanno da soli. È quello che spiego in termini operativi. Cercare di purificare al massimo i materiali all’inizio, come fanno alcuni, non serve a niente, perché durante l’opera la materia si libera da sola delle sue impurezze. Mettili dentro (al forno) come viene, certo decentemente puri… poi ci pensa lei (la natura) a eliminare le impurità. Questo vale per l’operatore, per l’artista. La natura fa lei le cose! Non le devi fare tu. Non puoi, non devi sostituirti alla natura”.
Un rumore di gomma sull’asfalto ti riporta in un istante al presente, il pensiero si blocca.
Guardi dallo specchietto retrovisore della vespa e ti costringi a tenere gli occhi aperti anche quando il furgoncino lo stringe e la macchina davanti frena.
Non puoi essere ovunque, a proteggere o proporre, per dargli una pacca sulla spalla o un calcio nel culo. Devi farti da parte, aspettare che la natura racconti con la sua casuale precisione, ciò che è pronto o quanto è acerbo.
Le proporzioni, il dosaggio, sono veramente il tutto di una ricetta di cui non basta conoscere gli ingredienti, ci vuole la giusta posologia: diluizioni, tempi e modi di somministrazione
Questa, lo sai , è la differenza tra il lettore e l’operatore, colui che facendo ha acquisito la manualità, la conoscenza, insomma l’esperienza diretta del forno o della natura, che forse simbolicamente o di fatto sono un unica cosa..
“Ci sta mettendo troppo”, senti, o ti sembra di sentire, il rumore del pneumatico anteriore che si punta, quante volte gli hai detto che al massimo si può frenare con entrambi ma da solo va usato il posteriore di freno?
Mette una gamba a terra gira la testa per vedere se ha ancora spazio di manovra “ecco” pensi “adesso non accelera abbastanza e che diavolo fa la bionda sul suv, dove diavolo guarda, ma lo sa a cosa serve il retrovisore?” qualche quintale di metallo ha impallato la tua visuale, e forse è proprio quello che vuoi -non vedere ciò che accade- Guardi il semaforo, è rosso, sono tutti in fila aspettando di girare a sinistra, ma il semaforo è sempre rosso, forse il tempo si è fermato, come in un incantesimo, un dio buono ha sospeso il tempo perché tu non debba sapere ciò che accadrà dopo.
Il semaforo è verde, la coda si muove, il tuo cuore batte veloce e all’improvviso lui è al tuo fianco, molto + alto di te, molto più forte e molto + maturo di quel che pensavi: “mamma ti aspetto dal benzinaio” dice passandoti di fianco. Alzi lo sguardo dallo specchietto e vedi la strada e i suoi abitanti, tutto a posto, nessuno si è fatto male il tempo, almeno questa volta, non si è fermato.
Acqua, referendum&bufale
Data: 11 maggio 2011 18.04.33 GMT+02.00
sei libero?
ciao priscilla
un’amica a roma si sta laurendo in sociologia con una tesi sulla libertà, cosa è oggi libertà come persona e poi come donna… domanda di una certa profondità e vastità.
Per me libertà è data da dentro, mai da fuori.
Se la libertà viene da fuori questa per statuto non c’è, si nasce e la prima mossa è la registrazione del codice fiscale da lì in poi è tutta misurazione, calco prestabilito fatto di censo, razza, geografia, aspettative patriarcali e matriarcali.
Quindi in sostanza non ne vedo da fuori.
O meglio la libertà individuale si intreccia visceralmente con quella sociale. Forse libertà è per forza di cose nella relazione con il mondo.
Parte dunque da un’esperienza interna che paradossalmente coincide con la liberazione da se stessi per partecipare nel mondo. Quindi non viene da fuori ma ti porta fuori da te. Sono libera quando mi dimentico di me, della mia testa nell’accezione di testa vincolante, di testa padrona di tutto. Sono libera quando dimentico le mie idee, i miei pregiudizi e accolgo.
Quando ho sincera intimità con le persone, quando faccio l’amore, quando corro in un prato e sento il vento e la terra. Quando mi sento unita al tutto. Liberata dall’ego.
E’ quando coincido con quello che sono, quando incontro il mio daimon lo riconosco e lo incarno senza falsità. Come direbbero testi sacri indiani TU SEI QUELLO, come direbbe la grecità CONOSCI TE STESSO. Quando c’è coincidenza fra il fatto e quello che sono.
E’ quando non ho paura (ancora la paura appartiene alla testa e si trasmette al corpo). Dire quello che penso al momento giusto, dire un sentimento, dire un desiderio, come donna mi sono sentita liberata quando ho detto ad un uomo che lo desideravo oppure che potevo fare a meno di lui perché i percorsi non coincidevano.
E’ l’indipendenza economica che permette il movimento fisico di conoscenza, viaggiare per esempio. E’ quando ho tempo. Soprattutto come donna libera professionista con un figlio. Quando dilato ed estendo come un elastico tempo e spazio. Quando creo nuovi mondi e nuove assonanze per lavoro. Nella creatività mi sento libera.
Quando nessuno sa dove sono, quando rispetto la relazione che ho davanti e la faccio fluire libera per quello che è togliendomi da quello che vorrei o che dovrebbe essere. Mi sento libera quelle rare volte che c’è armonia fra corpo e mente.
Mi sono sentita liberata quando ho partorito, viaggiato da sola, smesso di fumare, quando non ho detto a tutti quello che facevo. Quando ho tenuto il segreto. Quando ho chiesto a mia madre di stringermi forte.
Se penso ad un’immagine che mi porta alla libertà penso ad un funambolo, a un soffitto che diventa un pavimento, ad un respiro, al vento che colpisce le foglie dell’albero, allo schiamazzo in cortile dei bambini, la trasparenza, il vuoto, l’acqua.
Lo scritto è sensibilmente legato al tempo presente, la riflessione cresce con me.
aspetto tue e di altri, simona
Un tetto per l’arte
Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima – Fernando Pessoa –
http://www.artnews.rai.it/dettaglio_puntata.aspx?IDPuntata=1024
“Per fare qualcosa di diverso dalla televisione bisogna essrere televisione”. Questo uno degli enunciati proposti all’interno di una mostra dal titolo “Are you Ready for TV?” Che si puo visitare in questi giorni al MACBA di Barcelona.
Per distinguersi da qualcosa, bisogna prima essere uguale a qualcosa. Così funziona la natura,il processo di evoluzione.
I motivi di ciò sono che l’imitazione è uno degli strumenti più efficaci di conoscenza, quindi attraverso il processo di mimesi si creano prima simili e poi dissimili .Inoltre sembra che il nostro modo di approcciare la vita sia prima di capire ciò che non vogliamo. Questo processo di esclusione è spesso empirico, ma non è inusuale che di associazione in associazione si possa riconoscere come proprio qualcosa di molto distante da se. La sofferenza, l’ inadeguatezza, che ne derivano potrebbero spingerci a cercarcare nel diverso ciò che ci appaga: l’urgenza dell’arte.
I filmati in mostra riproducono, campionano una realtà mediatica. Parlano di concetti, filosofia, politica,storia, arte… senza spendere parole, ma solo riproducendo immagini. Le sequenze, la collocazione temporale e geografica, compiono il miracolo.
Questo ovviamente è reso possibile dall ‘immenso autorevole potere dell’etichetta referenziante dello spazio museale che le ospita, uno spazio architettonico firmato da un brillante architetto, nel cuore pulsante di una città famosa per per la sua necessità di distinguersi dal resto della Spagna, utilizzando ogni strumento, compresa la lingua; Barcelona di Catalunya.
Come ci mostra uno dei video esposti , classificato sotto la sezione: l’ instancabile comico, l’arte, soprattutto quella concettuale, al di fuori di uno spazio museale dedicato, perde la sua oggettività.
Accade per delle linee tracciate sul muro di una sala espositiva che si portano senza soluzione di continità all esterno, diventando semplici linee, che forse sono decorative, o utili ad informare riguardo all utilizzo di quello spazio sul muro di un cortile? Un banale passaggio di cavi? un indicazione a non parcheggiare?
La Montagna di Sale, istallazione di Domenico Pladino che a breve comparirà in piazza Duomo a Milano, spostata all uscita di un casello autostradale perde la sua oggettività artistica e diventa sale da spargere sull’ asfalto, quindi simbolo e avvertimento di imminenti nevicate.
Al di fuori dello spazio museale, le immagini della mostra al MACBA tornano ad essere solo televisione, come Cenerentola, pur rimanendo fisicamente le stesse, perdono la regalità che la scarpetta di cristallo e cemento, ideata da Richard Maier, ha loro conferito.
C’e quindi da chiedersi: ma il museo fa l’ arte?
Apriamo qui un altro capitolo che potremmo chiamare la costruzione e affermazione di un simbolo.
L’ architettura costruisce simboli largamente condivisi, conferisce materialità e stabilità all’ effimero concetto di arte. Il binomio arte e casa dell arte ha forse punti di contatto con l’ arte primitiva?
La casa Degli uomini haus tambaran in nuova Guinea, un edificio imponente, costruito interamente di vegetali, contiene pezzi di arte primitiva, sono oggetti di uso privilegiato, ossia che vengono ideati e costruiti per essere dedicati a particolari occasioni di importanza assoluta, la vita, la morte, l’ età adulta, il genere… Mi spingerei fino a dire che l’ arte concettuale chiude il cerchio, si ricongiunge con l’arte primitiva. Utilizza imitazioni di oggetti di uso comune, facendone simbolo concreto, ma allo stesso tempo astratto, del potere e della solenità, che l’uso di questi oggetti, ha loro conferito. Per consentire la consevazione di questi oggetti, simboli, poteri, viene loro dedicato un posto architettonicamente imponente e autorvole, che duri vettorialmente nel tempo, che elevi a forma d’arte ciò che oggi è stato scelto dall’establishment per il popolo e preservi nel domani, per la storia di chi verrà.
BIPARTISAN O BIPOLARI?
Questa lettera di protesta in cerca di condivisione, mi arriva in fw via mail da un’amica.
Decido, ad insaputa dell’autore , di pubblicarla e di rispondere
E’ significativo e appropriato che, nel momento delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, gli italiani, o almeno i rappresentanti istituzionali da loro liberamente eletti, soffino sulle candeline della torta confermando una delle nostre doti più caratteristiche: la capacità di fare i peggiori voltafaccia a cuor sereno, adducendo le motivazioni più false.
Il più vergognoso di questi voltafaccia è forse quello nei confronti di Gheddafi e della Libia. Un anno fa abbiamo dovuto assistere all’accoglienza da terzo mondo riservata al colonnello, col quale Berlusconi aveva addirittura firmato un trattato d’amicizia fra i popoli libico e italico. Durante lo scoppio della crisi, silenzio. E ora siamo pronti non solo ad assistere silenti all’invasione del paese, ma a parteciparvi attivamente, fornendo basi e truppe.
Forse che Gheddafi è diverso oggi, da com’era un anno fa? Ovviamente no. Il voltafaccia ha motivazioni molto terra terra, benchè il ministro della Difesa abbia coraggiosamente assicurato che nelle operazioni i nostri non metteranno piede sull’ex paese amico. Queste motivazioni sono che gli Stati Uniti e la Francia hanno deciso di intervenire, e c’è il rischio che ci sostituiscano nello sfruttamento commerciale del paese.
Naturalmente, le motivazioni di Obama e Sarkozy non sono molto più elevate. In fondo, presiedono entrambi paesi che sono ancora letteralmente coloniali: nel senso di possedere letterali colonie, che vanno da Puerto Rico alla Nuova Caledonia. E si tratta di paesi che hanno sempre avuto interessi in generale nel Nord Africa, e in particolare in Libia: ad esempio, il primo intervento armato che gli Stati Uniti effettuarono al di fuori del continente americano fu appunto un bombardamento su Tripoli, nel … 1804!
Ma restiamo ai nostri voltafaccia. Un altro è seguìto agli incidenti nucleari causati dal terremoto del Giappone. Mentre tutto il mondo faceva un esame di coscienza e meditava sull’energia atomica, il governo italiano continuava a dichiarare imperterrito che avrebbe mantenuto in vita il programma di costruzione delle centrali nucleari. Salvo accorgersi che la cosa poteva danneggiarlo dal punto di vista elettorale, come si è lasciata scappare “fuori onda” l’ineffabile ministro per l’Ambiente. E allora, marcia indietro, senza nessun problema.
Naturalmente, non possiamo dimenticare che è proprio grazie a questa nostra dote naturale che siamo risultati i veri vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Gli unici, cioè, che sono sempre stati dalla parte dei vincitori, per tutto il conflitto: prima con l’asse, e poi con gli alleati. All’epoca si diceva che eravamo il doppio di quanti sembravamo, cioè 90 milioni: 45 milioni di fascisti prima della guerra, e 45 milioni di antifascisti dopo.
D’altronde, a proposito di fascisti, cos’altro era il Concordato del 1929, se non un altro storico voltafaccia? Personale, dell’ateo Mussolini. E nazionale, dell’Italia risorgimentale che aveva sconfitto lo Stato Pontificio ed era sorta sulle sue ceneri. Per 68 anni, dal 1861 al 1929, appunto, quell’Italia era rimasta laica e libera, e da un giorno all’altro si era ritrovata clericale e coatta.
Eppure, nelle celebrazioni di questi giorni quell’Italia è assente. Perchè dovunque, in prima fila tra le autorità alle cerimonie, si vedono vescovi e cardinali. Quando non avviene il contrario, e ad essere in prima fila sono invece le autorità alle celebrazioni religiose. Addirittura, il 17 marzo, alla solenne messa celebrata dal Segretario di Stato e conclusa con il canto del Te Deum: che i preti, naturalmente, hanno ragione a cantare, per ringraziare Dio di aver reso così malleabili e generosi i governanti italiani.
Naturalmente, tra i cantanti del coro ce n’erano molti che stavano facendo anch’essi il loro bel voltafaccia. A partire dal presidente della Repubblica, (ex) comunista e ateo come il miglior Togliatti: responsabile, quest’ultimo, dello storico voltafaccia alla Costituente che causò il recepimento del Concordato clerico-fascista nell’articolo 7 della Costituzione laico-repubblicana.
Noi italiani siamo fatti così. E questo ci infonde speranza, perchè presto o tardi faremo un nuovo voltafaccia, e gireremo le spalle anche a Berlusconi. Non si troverà più uno che ammetterà che l’aveva votato, così come una volta non si trovava uno che ammettesse di aver votato la Democrazia Cristiana, che pure era il partito di maggioranza relativa. A festeggiare l’Italia dei voltafaccia, io aspetterò quel momento, anche se sarà ormai troppo tardi per gioire.
George Orwell
http://www.accademiadellacrusca.it/parole/parola_singola.php?id=2561&ctg_id=58
Serendipity
Ogni giorno apro la mail, guardo le news, faccio un giro sulle bacheche dei social, ma quanti messaggi di aiuto? Quante proposte x cambiare strada, corpo, cibo, vita, mondo!
Sono confusa, credo di non essere sola, o meglio di non essere la sola ad essere confusa.
Qualche giorno fa in una piazza di NY un ragazzo aveva un cartello al collo con su scritto hugs for free(regalo abbracci). Mi ha fatto sentire molto sola.
Ieri il mio trainer in palestra mi ha massaggiato con un cilindro di plastica la colonna vertebrale e non la smetteva + di dire quanto bisogno abbiamo di toccarci, di essere toccati.
Ho sentito un servizio su radio dj parlava di germi e di quanto questi fossero ovunque, anche sul carrello della spesa, di come fare a proteggersi.
Ieri mi arrivano mail di gente che non conosco ma che si trova in Giappone e mi racconta di come sta vivendo la paura e il dolore.In fondo commenti di amici indignati per l’indifferenza e l’assenza.
Oggi ricevo una catena travestita da idea sociale x abbassare il costo della benzina e me la manda una persona che quando la incontro a stento mi saluta, in effetti, sono stata l’amante di suo marito.
Poi , quando e dove meno me lo aspetto, su fb, una persona che sta facendo PR mi dice una cosa che sembra vera, sobbalzo, sbigottisco, sono incredula… In mezzo alle frasi fatte, alle citazioni, alle petizioni agli slogan e ai gingle, qualcuno ancora è capace di usare parole sue, pensieri suoi!
Ma allora c’è speranza, ancora il verbo è vita!
conosci, conoscimi, conosciti
Quando sono nata devo aver provato una grande solitudine, niente di ciò che conoscevo, si presentava davanti ai miei nuovi occhi, polmoni, derma. Un mondo alieno, ostile e doloroso. Poi ho cominciato a collezionare esperienza e nella ripetitività ho trovato il primo piacere. Piacere di riconoscere ciò che conoscevo. Credo che questo abbia caratterizzato tutta la mia vita, il piacere è associato a ciò che riconosco.
In questo mondo scarseggiano le cose belle, l’amore, l’incanto, il bene, la gioia…esiste la possibilità che scartando ciò che è nuovo xchè ostile e preferendo ciò che conosco xchè lo conosco, essendo il male meglio rappresentato del bene, in tenera età mi sia sottoposta + frequentemente a esperienze negative che positive
E’ solo una supposizione , ma può essere che all’inizio abbia provato piacere per ogni cosa che riconoscevo, trascurando il piacere di per se stesso, la novità non veniva annoverata tra i piaceri. Piuttosto associata al mondo ostile e alieno. E’ quindi possibile che nella mia scala delle priorità abbia accettato di buon grado e prima, ciò che nella mia vita è accaduto +spesso. Solo dopo, molto dopo, tra le cose che accadevano spesso ho individuato ciò che riconoscevo ed era piacevole e ciò che riconoscevo ed era spiacevole. . L’ostilità e la novità, unite in un binomio primogenio, esperienza matrice, la nascita, hanno possibilmente frenato in maniera importante il mio processo di conoscenza. In altre parole il processo cognitivo ha priorizzato in percentuale drammatica il mio gradimento delle cose conosciute, limitando le possibilità di eleggere la novità inquanto positiva e di conseguenza restrigendo gli input ascrivibili al sistema di valutazione .
Prematuramente impregnata dalla sofferenza + che dalla gioia, forse per questo motivo, preferisco ciò che è male, ma che conosco, rispetto a ciò che non conosco
8 marzo
Oggi a Kabul era gran festa.
Cortei di donne che fermavano le macchine con gioiosi slogan femministi.
Concerti e manifestazioni non si contavano.
In allegato una foto di uno dei tanti spettacoli per questa bellissima festa della donna.
Per distinguermi dai marpioni occasionali e spiegare perchè alla fine da sta parte di mondo mi trovo bene vi mando anche un paio di altre foto.
E gia che ci sono auguri a tutte quante
Martin
desidero e sono posseduto
A volte fa paura pensare di avere desideri. Il desiderio è la negazione dell’avere e il possesso, si sa, è per ogni uomo la più grande forma di schiavitù. Soprattutto il possesso di ciò che ci sfugge, di ciò che non è nostro, di ciò che rischiamo di perdere.
Se non a San Valentino QUANDO?
Oggi, giorno di San Valentino, mi piacerebbe ricevere messagini anonimi, complimenti arditi, inviti a cena, mazzi di fiori e cioccolatini.
Si, piacerebbe, sono sicura, a un sacco di altra gente di mia conoscenza. Non solo a quelle femmine che hanno perso la speranza, ma anche a quelle che ancora ci credono
Se succedesse vorrebbe dire CHE ABBIAMO LE IDEE CHIARE.
Forse alla ricerca di qulache cartolina digitale, magari impiglita nelle maglie binarie del mio complicato sistema sociomediatico, ho spulciato tutti i blog, i social e gli account di posta di cui sono attrezzata.
Ad ogni clic mi è spuntato fuori un messaggio di solidarietà in keynote, pezzi del video relativi alla grande manifestazione di piazza di ieri e glaciali commenti a proposito di quanto commerciale, stupido e consumistico sia festeggiare il giorno degli innamorati. Sono a pezzi!
Io, non c’ero ieri in piazza, ero in Svizzera, stavo aiutando una amica che lavora per un emittente RAI a realizzare uno dei molti “tre minuti su” che affollano i palinsesti del nostro caminetto mediatico tricolore.
Com’è ovvio per una donna di mezza età, “…madre studentessa, precaria, giornalista, casalinga…” così ben evocato da Isabella Ragonese sul palco rosa della piazza romana, mi sono sentita immediatamente in colpa per non aver, nemmeno pensato, di “prendere tempo e poi prendere la borsa e uscire” x dimostrare anche io, essere solidale anche io, autorappresentarmi e promuovermi anche io…ma è stato un attimo, solo un attimo, perchè poi sono echeggiate le parole della sindacalista Susanna Camusso:
“…vorrei che quando si dice sesso si parlasse di una relazione tra pari e non di un incarico politico…” che detto da lei deve aver evocato un bel po di sorrisi tra quelli che ebbe compagni del”età + bella.
Si, forse blasfema e volgare, ma ho riso e mi è passata, e ho riso ancor di + quando ho sentito Lunetta Savino recitare i monologhi della vagina “la vagina ha bisogno di confort” si perché è proprio vero che ne avrebbe bisogno (io per esempio inviterei tutti i maschietti a darsi da far con i SANVALENTINO di carta, digitali, profumati o cioccolatosi, festggiare fa bene, corteggiare meglio) ma mentre qui si evocano i dinosauri, da Anna Magnani a Eva Ensler, sempre nello stesso modo, con le stesse modalità della piazza , come giustamente o ingiustamente, scrive il nostro Beppe Severgnini dalle pagine del Corriere della Sera di oggi, insomma, mentre qui si discute di tutte le bambole del presidente, è possibile che salti il tappo in tutta l’area mediorientale: a Teheran scendono in piazza incitando “death to dictators”.
Ho come la sensazione che siamo tutti nella stessa MARCIA ma sappiamo dove stiamo andando?
Condivido con Serena Dandini che “le manifestazioni di piazza non risolvono i problemi, a questo deve pensare la politica”. Credo anche che il grande coinvolgimento di piazza ci racconti che siamo tutti un po’ alla ricerca di qualcosa, qualcuno, che faccia la prima mossa verso un camabiamento, che non sappiamo esattamente come o dove, ma siamo pronti a spalleggiare chi si muove, ha idee, progetti, visioni.
Muovo una critica a queste donne, sorelle così piene di energia: Per fare qualcosa di diverso bisogna prima copiare e poi distaccarsi, copiare è un ottimo metodo x imparare a conoscere, però copiare se stesse mi sembra un po’ oltre. Non vedo provocazioni, non vedo sfide, non vedo quella potenza di rottura che può spiazzare e destrutturare lo stato attuale dei giochi.
Ma perché nessuna delle signore attrici, avvocati o socialmente impegnte hanno sfidato Silvio Berlusconi sul suo territorio?
Perchè non hanno proposto di essere invitate a cena, in prima serata, su una delle sue emittenti, avrebbero potuto fare domande e lui cercare di sedurle, sedarle e ricondurle alla femminilità…x innaugurare Un Reality, magari ” il + grande spettacolo dopo il big bang”…se non a San Valentimo QUANDO?
Il corpo e l abito
Era sera e nel buio del mio salotto guardavo quasi distratta un film di Totò .
Nel ruolo dello scrivano ambulante, si lamentava del fatto che la gente avesse imparato a scrivere.
Con il telecomando in mano mi colpisce che non molto tempo fa la gente facesse zapping, sottolineando con questo vocabolo creativo l uso meno volgare e passivo del elettrodomestico. All’epoca nel web che era Internet , si surfava, ed era in auge tra gli ” intellettuali” , un contenitore televisivo molto psichedelico di nome Blob.
Quella mattina ero andata in cartoleria per comprare alcuni testi scolastici x il mio secondogenito ed ero rimasta sorpresa dal continuo tramestio di extracomunitari, una volta si chiamavano così ora forse sarebbe + corretto chiamarli diversamente comunitari, che entravano a chiedere quanto costasse redigere un cv europeo.
“che cos’è ” mi aveva chiesto mio figlio, indicando la copertina di un libro sul bancone
“geroglifici” ho risposto quasi in automatico
“si ma come si leggono le lettere?”
Non sono lettere, sono icone
Mi guarda senza chiedere
Sai se tu vedi un teschio su di una porta di ferro è come se leggessi pericolo di morte, gli egizi usavano icone invece di lettere.
Riflettendoci siamo tornati al geroglifico, guarda quanto hanno fatto presa gli smile, che dire dei menù di strumenti come l Iphone.
La digitalizzazione, quasi viene da riflettere sul fatto che quella scrittura fosse quanto rimaneva su pietra di sistemi assai più evoluti, magari console di comando di navi stellari.
Forse non abbiamo mai viaggiato fisicamente, siamo sempre rimasti qui con il corpo, perché il corpo non é adatto a viaggiare distanze incomprensibili.
Forse il corpo é solo un abito, la morte ci spoglia dell’abito, e se siamo capaci di rimanere con il nostro spirito cominciamo davvero a viaggiare. Forse gli egiziani conservavano il corpo convinti che prima o poi tornasse utile, avevano riposto la fede nel vaso errato.
Questo pensiero mi fa capire quanto uno possa essere seduto sul secchio d’oro all’inizio dell’arcobaleno e non rendersi conto di esserci.
Oggi ho imparato che per proseguire verso, occorre una certa capacità di scegliere pur nel inconsapevolezza e la scelta riguarda tanto il cammino quanto il maestro.
Il Non Edificio
La School of Art, Design and Media di Singapore è, probabilmente, l’università più avveniristica al mondo: costruita nel 2006, è stata definita un “nonbuilding”, un “non-edificio” di 18 mila metri quadri distribuiti su cinque piani.
Immersa in un parco di 200 ettari, riesce a mimetizzarsi quasi fosse un capanno da caccia; tre palazzi a forma di anfiteatro, con un piccolo lago artificiale al centro, si sfiorano e si intersecano, con tetti erbosi che, a livello del terreno, salgono dolcemente per poi ridiscendere con uguale pendenza, diventando colline su cui passeggiare. Le pareti sono enormi cristalli: durante il giorno riflettono l’ambiente naturale circostante e la notte trasformano l’edificio in una grande e fiabesca lanterna, giocando con le armoniche asimmetrie del pensiero orientale.
Le trasparenze e le sinuosità danno la sensazione di un continuo tra gli spazi interni e il parco circostante, la cui vegetazione colonizza questa grande struttura.
Nato con l’idea di preservare un grande polmone verde per la città, il progetto della School of Art, Design and Media è un esempio riuscito di architettura ecosostenibile, con un impatto ambientale minimo rispetto alle grandi dimensioni e un ridotto consumo di energia, grazie agli isolamenti termici e al tetto di terra e erba.
Ape impegnata non ha tempo per dolersi
Un edificio di questo tipo da il meglio di se verso l’esterno, è pensato per comunicare come un speaker sul podio. Molti hanno avuto occasione di visitarlo in questi giorni, ad ultimato restauro, ora che ospita formalmente il Museo del Novecento
I commenti non sono stati molto incoraggianti, trà i pù positivi: “almeno adesso ce ne abbiamo uno” riferito al fatto di avere finalmente, anche noi cittadini milanesi, un museo di arte moderna. Altri lamentavano l’assenza di opere fondamentali ad esporre esaustivamente il novecento lombardo. Altri, l’assenza di spazi congrui e necessari ad apprezzare opere imponenti quali Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo e buona parte delle sculture.
Quello che è parso sfuggire ai + è proprio la struttura, l’arringatore ha riempito il suo ventre di arte!
Forse dalla terrazza si potrà ammirare l’arte contemporanea, creando un filo d’oro tra ieri, oggi, domani…
Forse da quella terrazza arringheranno i gestori di questa nostra città cercando di ottenere in cambio di questo tanto discusso spazio dedicato all’arte, un po di spazio nelle future campagne elettorali.
Forse la terrazza rimarrà chiusa e solitaria perché la comunicazione di massa oggi non è più fisica ma affidata al cablaggio e all’etere, spine dorsali dei nuovi e vecchi media.
Alla fine degli anni 70, su quella terrazza, gli adolescenti andavano a fumarsi una sigaretta e, al riparo degli occhi indiscreti, ne approfittavano per scambiarsi ardite effusioni. Dentro, polverose stanze, sede dell’ufficio del turismo.
Leggo e riporto testualmente lo scopo di questo spazio dedicato come nelle intenzioni degli organizzatori:
« Diffondere la conoscenza dell’arte del Novecento per generare pluralità di visioni e capacità critica »
ma c’è dell’altro; prossimamente avremo un altro spazio dedicato all’arte, all’arte contemporanea , all’interno un complesso termale, sul tetto un giardino pensile.
“Il progetto – ha dichiarato, infatti, l’assessore Sgarbi intervenuto alla presentazione – è innovativo e si inserisce in un filone di musei che sono monumenti essi stessi prima che contenitori di opere, come il Guggenheim di New York, quello di Bilbao e il Beaubourg di Parigi: luoghi in cui l’architetto diventa garante per l’arte contemporanea essendo lui stesso un artista contemporaneo”.
Il costo dell’operazione è stimato intorno ai 40 milioni di euro.
Per qualche strano motivo mi coglie come come un grano di sale in una bibita dolce la parola “garante” e scivolandomi sulla lingua ci gioco e mi chiedo quali debbano essere le credenziali e le qualità di un garante, ma è solo un attimo, poi torno a fare l’ape impegnata e immagino con piacere un momento di relax termale tra un opera garantita e una passeggiata su un tetto verde.