la casa dell’arte

Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima –   Fernando Pessoa –

“Per fare qualcosa di diverso dalla televisione bisogna essrere televisione”. Questo uno degli enunciati proposti all’interno di una mostra dal titolo Are you Ready for TV?” Che si puo visitare in questi giorni al MACBA di Barcelona.

Per distinguersi da qualcosa, bisogna prima essere uguale a qualcosa. Così funziona la natura,il processo di evoluzione.
I motivi di ciò sono che l’imitazione è uno degli strumenti più efficaci di conoscenza, quindi attraverso il processo di mimesi si creano prima simili e poi dissimili .Inoltre sembra che il nostro modo di approcciare la vita sia prima di capire ciò che non vogliamo. Questo processo di esclusione è spesso empirico, ma non è inusuale che di associazione in associazione si possa riconoscere come proprio qualcosa di molto distante da se. La sofferenza, l’ inadeguatezza, che ne derivano potrebbero spingerci a cercarcare nel diverso ciò che ci appaga: l’urgenza dell’arte.
I filmati in mostra riproducono, campionano una realtà mediatica. Parlano di concetti, filosofia, politica,storia, arte… senza spendere parole, ma solo riproducendo immagini. Le sequenze, la collocazione temporale e geografica, compiono il miracolo.

Questo ovviamente è reso possibile dall ‘immenso autorevole potere dell’etichetta referenziante di uno spazio museale ospitante, uno spazio architettonico firmato da un brillante architetto, nel cuore pulsante di una città famosa per per la sua necessità di distinguersi dal resto della Spagna, utilizzando ogni strumento, compresa la lingua; Barcelona di Catalunya.

Come ci mostra uno dei video esposti , classificato sotto la sezione: l’ instancabile comico, l’arte,soprattutto quella concettuale, al di fuori di uno spazio museale dedicato, perde la sua oggettività.
Accade per delle linee tracciate sul muro di una sala espositiva che si portano senza soluzione di continita all esterno, diventando semplici linee, che forse sono decorative o utili ad informare riguardo all utilizzo di quello spazio sul muro di un cortile, un banale passaggio di cavi? un indicazione a non parcheggiare?

La Montagna di Sale, istallazione  di Domenico Pladino che a breve comparirà in piazza Duomo a Milano,  spostata all uscita di un casello autostradale perde la sua oggettivita artistica e diventa sale da spargere sull’ asfalto, quindi simbolo e avvertimento di immanenti nevicate.
Al di fuori dello spazio museale le immagini della mostra al MACBA tornano ad essere solo televisione, come Cenerentola, pur rimanendo fisicamente le stesse,perdono la regalità che la scarpetta di cristallo e cemento, ideata da Richard Maier, ha loro conferito.
C’e quindi da chiedersi: ma il museo fa l’ arte?
Apriamo qui un altro capitolo che potremmo chiamare la costruzione e affermazione di un simbolo.
L’ architettura costruisce simboli largamente condivisi, conferisce materialità e stabilità all’ effimero concetto di arte. Il binomio arte e casa dell arte ha forse punti di contatto con l’ arte primitiva?

La casa Degli uomini haus tambaran in nuova Guinea, un edificio imponente, costruito interamente di vegetali, contiene pezzi di arte primitiva, sono oggetti di uso privilegiato, ossia che vengono ideati e costruiti per essere dedicati a particolari occasioni di importanza assoluta, la vita la morte, l’ età adulta, il genere… Mi spingerei fino a dire che l’ arte concettuale chiude il cerchio, si ricongiunge con l’arte primitiva. Utilizza imitazioni di oggetti di uso comune, facendone simbolo concreto, ma allo stesso tempo astratto, del potere e della solenità, che l’uso di questi oggetti ha loro conferito. Per consentire la consevazione di questi oggetti, simboli, poteri, viene loro dedicato un posto architettonicamente imponente e autorvole, che duri vettorialmente nel tempo, che elevi a forma d’arte ciò che oggi è stato scelto dall’establishment per il popolo e preservi nel domani per la storia di chi verrà.

«Navigare è necessario, vivere non è necessario» Il libro dell’inquietudine

Infibulazione

L’infibulazione, subita da gran parte della popolazione femminile somala, è quella pratica pseudoreligiosa con la quale vengono amputati gli organi sessuali. È il più brutale tra i riti di iniziazione, destinato a segnare l’intera esistenza di chi lo subisce: le vittime sono bambine che non hanno ancora raggiunto l’età fertile.

La giovane donna di un villaggio agricolo sul fiume Shebeli, vicino a Mogadiscio, descrive così quel drammatico intervento:

“Mi fecero sedere su uno sgabello nuda e, dopo avermi legato le mani, una donna alle mie spalle mi bloccò abbracciandomi, altre due mi divaricarono le cosce perché la vulva restasse ben aperta. La gedda (ndr così viene chiamata l’anziana del villaggio che pratica l’infibulazione) nel nome di Allah, il Clemente e Misericordioso, impugnò il coltello e con un taglio rapido mi amputò la clitoride; io urlavo e tentavo di divincolarmi, mentre guardavo mia madre che stava in piedi davanti a me. Poi mi asportò le piccole labbra e scarnificò i contorni delle grandi labbra, li unì e li suturò con due, tre spine di acacia, per farli cicatrizzare l’uno con l’altro; lasciò solo una piccola apertura per permettere all’urina e al sangue mestruale di uscire; infine, aiutata dalle altre donne, mi legò le gambe con una fune di stoffa. Mi immobilizzarono per un mese. Il mio sesso era diventato impenetrabile e restò tale fino al giorno in cui fui data in moglie. Mio marito, usando solo le mani e il pene, partendo dal piccolo orifizio lasciato dalla vecchia il giorno dell’iniziazione riaprì di nuovo la vulva lacerandola. Avevo sedici anni.

Horror of female circumcision – AlJazeera

Mutiliazione genitale femminile – Amnesty International

L’Isola della Reunion

La Terra della Distruzione

Quando nell’autunno del 1153 il geografo arabo Al Sharif el-Edrissi, vide davanti alla prua del suo dhow quello scoglio che imprigionava le nuvole in viaggio dall’India verso l’Africa meridionale, pensò che aveva un aspetto poco rassicurante e si avvicinò con grande prudenza.
Consultò una rozza carta nautica che risaliva a più di un secolo prima, tracciata dall’ammiraglio della flotta del re tamil Rajaraja Chola, e guardò con diffidenza ancora maggiore le onde che si frangevano contro la barriera corallina, le rocce, i picchi coperti da nuvole plumbee, il fumo denso che saliva fino a nascondere il sole.
Ci sarà pur stata una buona ragione se i tamil a quello scoglio avevano dato il nome di Theemai Theevu, Terra della Distruzione.
Al Sharif el-Edrissi non ci perse molto tempo, gli bastarono quattro giorni per circumnavigarlo e, tornato al punto di partenza, disegnò un cerchietto nero sulla sua mappa a 21 gradi a Sud dalle equatore e a 700 chilometri a Est del Madagascar, lungo la rotta tra l’India e il Capo di Buona Speranza, al centro della fascia su cui corrono i terribili cicloni tropicali, e lo chiamò Dina Morgabin, Isola dell’Occidente, a occidente di non si sa cosa.
Una settimana dopo, sbarcato al porto di Zafiraminia, considerò quel piccolo cerchio quasi fosse una macchia d’inchiostro, del kohl caduto mentre si truccava gli occhi, e venne dimenticato per un lungo, lungo periodo.
L’isola della Reunion si difende anche in questo modo, mostrandosi impervia e inospitale; se la si incrocia arrivando dal meridione non offre certo buoni approdi: imponenti pareti di roccia vulcanica inquietantemente scure, trasformate dalla violenza del mare in falesie
verticali, ne fanno una fortezza naturale inavvicinabile.
Passati tre secoli, quello scoglio che affiora nel mezzo dell’oceano divenne un punto di transito dei navigli portoghesi in viaggio verso l’India, ma appariva talmente insignificante che le loro carte nautiche lo ignoravano.
Nel 1504, sulla caravella comandata da Diego Fernandez Peteira, un giovane ufficiale di rotta, dovendo prender dimestichezza con l’uso dell’astrolabio , ne rilevò le coordinate e le segnò sul giornale di bordo. Era il 9 febbraio; dovendo dargli un nome ed essendo venerdì, pensò di chiamarlo Sextafeira, ma alla fine scelse Santa Apollonia, la santa del giorno, patrona dei dentisti.
Il nuovo nome non servì a renderla più attraente; l’isola rimase ancora disabitata per più di un secolo, fino al 2 ottobre 1654, giorno in cui il francese Antoine Couillard sbarcò in una baia del nord ovest con due suoi connazionali, cinque malgasci, cinque vacche, un toro,
due maiali, alcuni volatili e delle piante di tabacco.
Da quel momento divenne un pezzo di Francia, che cambiava nome ad ogni terremoto istituzionale: con Luigi XIV venne battezzata île Bourbon, île de la Reunion durante gli anni della Rivoluzione, île Bonaparte con Napoleone.
Gli abitanti si moltiplicarono e si adattarono al suo carattere un po’ scontroso: terra di cicloni, di maremoti improvvisi, con un vulcano che riesce a trasformare in rogo persino l’acqua dell’oceano e piogge tanto intense da non avere pari in nessun’altra parte del
mondo.
Quel “quasi niente” nell’oceano, non più grande di Parigi con la sua periferia, è un piccolissimo continente: lungo le coste del nord ci sono conche fertili e vallate rigogliose tra montagne che trasudano acqua, ma basta percorrere cinquanta chilometri e, arrivati al
confine Sud, si scopre la siccità, con le nuvole bloccate dai massicci dei Cirque de Mafate, Salazie e Cilaos.
E se a livello del mare la temperatura non scende mai a meno di 27 gradi, sui monti vulcanici si finisce sotto lo zero: alla Reunion, viaggiando in auto per tre ore, si può passare dal caldo oceano tropicale alla neve del Piton des Neiges, fino ai fiumi di lavanincandescente del Piton della Fournaise.
Un luogo anomalo con una storia anomala.
Il primo nucleo di residenti trovò solo qualche pacifico animale che per millenni aveva vissuto indisturbato, tanto da diventare geneticamente e morfologicamente incapace di difendersi.
Fu il caso del dodo, un grasso e pigro uccello che non sapeva più volare, con un’aria tutt’altro che intelligente, il cui destino divenne quello di facile preda per gli ospiti. Non che la sua carne fosse cibo prelibato, i marinai olandesi nel millecinquecento lo avevano
battezzato “Uccello Disgustoso”, ma era comodo da prendere, almeno quanto una mela dall’albero, e questo fu sufficiente per portarlo all’estinzione.
Oggi la Reunion è una meravigliosa isola, forse un po’ troppo abitata.
Grande quanto un terzo della Corsica, con poco meno di 800 mila abitanti, dal 1946 è una Regione d’oltremare della Francia, un frammento politico e amministrativo del Vecchio Continente tra Africa e India, con i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta: uguale trattamento economico dei lavoratori francesi, uguale costo della vita (forse addirittura più cara), identici diritti per servizi sociali e assistenza sanitaria.
L’Unione Europea la considera regione “ultraperiferica”, sia per ragioni di distanza sia per lo sviluppo del sistema produttivo, e per questo interviene con consistenti aiuti finanziari, tanto che, pur essendo lontana dall’autosufficienza, gode di un benessere piuttosto
diffuso.
Non c’è nessun altro luogo nel raggio di 5 mila chilometri in cui la qualità della vita sia così elevata, benché le uniche voci attive nella bilancia commerciale riguardino la produzione della canna da zucchero, con i suoi derivati, e della vaniglia. Il turismo, nonostante le straordinarie bellezze naturali, a causa dei prezzi piuttosto impegnativi e della grande concorrenza delle vicine isole Mauritius e delle Seychelles (sicuramente più economiche) stenta a decollare.

Melange alla Reunionese

Bisnonna nera e bisnonno bianco, nonno meticcio e nonna bianca, genitori entrambi bianchi; lui, il primo figlio, con una moglie cinese incinta, suo fratello tiene sottobraccio la fidanzata, una ragazza di cui è impossibile immaginare la provenienza, sembrerebbe orientale se non fosse per gli occhi azzurri.
Non è raro incontrare famiglie così variegate passeggiando in una delle città di questa isola, perché alla Reunion non esiste una razza autoctona ed è assai problematico seguire i dettami del “Moglie e buoi dei paesi tuoi”. Fino alla metà del ‘600 era completamente disabitata, poi sono arrivati i francesi, i malgasci, i neri dall’Africa continentale, i gujarat e i tamil dall’India, i cantonesi dalla Cina, gli arabi dallo Yemen e da Zanzibar, e il risultato non è quello di una popolazione multietnica: gran parte dei reunionesi sono, individualmente, multietnici, con un albero genealogico che abbraccia tre continenti e gran parte delle culture esistenti.
Questo è uno dei rari posti al mondo, forse l’unico, in cui non ha senso parlare di integrazione razziale perché, anche nella piramide sociale, si passa senza soluzione di continuità dal bianco al nero, dai capelli chiari a quelli scuri, dagli occhi a mandorla agli occhi azzurri. Difficile essere razzisti quando in famiglia si hanno antenati di provenienze diverse, impossibile essere xenofobi se tutti, ma proprio tutti, ricordano ancora il proprio avo “straniero”.

Il tesoro della Poiana

Alle 5 del pomeriggio di venerdì 7 luglio 1730 il boia infilò il cappio al collo del pirata Olivier Levasseur, soprannominato La Buse, la Poiana; tutti gli abitanti di Saint-Denis, poche centinaia di persone, furono invitati ad assistere a quella esecuzione. Mentre saliva sul patibolo, La Buse si strappò la collana e la lanciò a quella piccola folla urlando: “Mon trésor à qui saura comprendre !” (Il mio tesoro è di chi saprà capire! ).
Appeso alla collana, in un contenitore di cuoio, vi era un foglietto su cui aveva scritto un crittogramma di 17 righe: era la mappa cifrata del luogo dove aveva nascosto le sue ricchezze.
Poco prima aveva detto alle guardie che lo scortavano: “Con quel che ho qui potrei comprare l’intera isola”.
Il pirata non mentiva: in 14 anni di folgorante carriera era riuscito ad accumulare un’enorme fortuna, pari a quella di un re.
Il grande colpo della sua vita lo mise a segno quando aveva 30 anni, il 17 aprile del 1720.
Navigando non distante dalle coste dell’isola della Reunion, si trovò nel mezzo di una tempesta e decise di far rotta verso il porto di Saint-Denis. Arrivò che era ancora notte, la luna quasi piena illuminava una caracca portoghese a quattro alberi che aveva trovato rifugio nella baia: era la Nossa Senhora Do Cabo.
All’alba la attaccò.
La Buse, la Poiana, si lancia in picchiata sulla preda lasciandola senza scampo; i suoi uomini vanno all’arrembaggio e con un’azione fulminea si impadroniscono di una nave da 800 tonnellate, armata con 72 cannoni, che ospita Luís Carlos Inácio Xavier de Meneses, conte di Ericeirae, marchese di Louriçal, vice-governatore delle Indie Orientali, e l’arcivescovo di Goa, Sebastian de Andrado, ma, soprattutto, trasporta un tesoro dal valore incommensurabile in pietre preziose, oro e argento, che oggi viene valutato in più di due miliardi di euro.
Olivier Lavasseur fa sbarcare gli ospiti e l’equipaggio, per salpare con la Nossa Senhora Do Cabo e il suo carico prezioso, di cui si perde ogni traccia.
Per i successivi 200 anni scompare anche il crittogramma lanciato da Lavasseur alla folla il giorno della sua impiccagione, fino a quando, il 15 luglio del 1934, nell’edizione domenicale del Milwaukee Journal, quotidiano del Wisconsin, viene pubblicata un’intervista a Charles de la Roncière, funzionario della Biblioteca Nazionale di Francia, che afferma di possedere il crittogramma e lo rende pubblico.
Da quel momento inizia una caccia al tesoro che ancora oggi continua in un’area piuttosto vasta dell’oceano Indiano: Isola della Reunion, Seychelles, Rodrigues, Madagascar, Mayotte, Isola di Sainte-Marie.
Ecco il crittogramma.

La Diagonale dei Folli

Centocinquanta chilometri di saliscendi tra foreste tropicali, pietraie e crateri vulcanici: il Grand raid de la Reunion è una delle più dure e delle più lunghe maratone al mondo.
Ogni autunno, da 17 anni, duemilacinquecento persone provenienti dai cinque continenti si ritrovano a Cap Mechant, nell’estremo Sud dell’isola, per percorrere quella che viene chiamata “La diagonale dei folli”; i migliori chiudono la gara in poco più di 22 ore, a una media di 7 chilometri l’ora, con poche soste e neppure un minuto di sonno, gli ultimi ci mettono 2 giorni e mezzo; il 40% dei partecipante non riesce a tagliare il traguardo, perchè
vinto dalla stanchezza o vittima di una caduta.
Il via viene dato alle due del mattino nello stadio di Cap Mechant, all’estremo sud dell’isola, sulle rive dell’oceano.
Dopo un breve tratto di pianura inizia il susseguirsi di salite e discese: a 30 chilometri dalla partenza si è a 2350 metri di altitudine, sulla cresta del Piton de le Fornaise, il vulcano attivo della Reunion, poi si passa a 900 metri per risalire oltre i 2000 e ridiscendere fino al mare.
La gara si conclude a Saint-Denis, capoluogo dell’isola, nell’estremo Nord.

L’edizione del 2011 si terrà dal 13 al 16 ottobre.

Singapore

La scultura di Botero sul Singapore River è una rappresentazione efficace di questa città: un uccello grasso e ben piantato sulle zampe, che sicuramente non riesce a prendere il volo ma non sembra disposto a diventare preda di qualcuno.

Singapore è il paese degli eccessi, perfetta per Botero, talmente dilatata da occupare tutto lo spazio vitale di cui dispone.

La sovrabbondanza

Questo minuscolo arcipelago, incastrato tra Malesia e Indonesia, a un solo grado a Nord dalle equatore, in meno di 600 chilometri quadrati ospita cinque milioni di persone; piove sempre, in qualunque giorno di qualunque mese dell’anno il cielo si copre improvvisamente e scendono cascate d’acqua; i suoi grattacieli sono tra i più alti del mondo; 4 le lingue ufficiali, 13 quelle più parlate; 7 sono le religioni principali, con cattedrali in stile gotico, pagode, moschee, templi induisti e buddhisti.

Passeggiando per le strade del centro non si riesce a capire dove finisce l’apparenza e dove inizia la realtà; ci si guarda attorno e regna un ordine inusuale: tutto è perfetto, lindo quanto la Piazza Rossa a Mosca nei giorni del comunismo, non c’è nessun ingorgo, nessuna coda, neppure un colpo di clakson.

La criminalità si avvicina allo zero, forse perchè le punizioni sono tutte tragicamente esemplari; questa è la nazione che, in rapporto al numero di abitanti, applica con maggior frequenza la pena di morte.

Singapore è il Paese dei divieti: vietata la pornografia, vietato avere una parabola satellitare, vietato acquistare e masticare chewingum senza ricetta medica; fino a qualche decennio fa ai maschi era vietato portare i capelli lunghi.

La pari dignità tra etnie e culti diverse è legge dello Stato e rispettata con rigore assoluto: cinesi, malesi, indiani europei, buddhisti, islamici, cristiani, induisti, sikh, ebrei e zoroastriani convivono senza alcuna tensione.

Modestamente ricchi

Singapore è ricca, molto ricca, il reddito procapite supera i 23 mila dollari l’anno, con un patrimonio accumulato producendo quasi nulla di materiale: grandi investimenti nella tecnologia informatica e, soprattutto, scambio di merci provenienti da altri luoghi, passaggi di mano per lo più virtuali, transazioni di borsa fatte al computer da migliaia di colletti bianchi, immigrati da ogni parte del mondo, che all’ora di pranzo hanno giusto il tempo di lasciare l’ufficio per scendere in un food court a mangiare un panino; gente che all’alba inizia a speculare sulla borsa di Tokyo e poi, in sovrapposizione, su quella locale, su Mosca, sui mercati europei e su New York che chiude quando sono le 5 del mattino, due ore di sonno e si ricomincia.

Singapore è il trionfo del libero scambio, l’impeccabile esempio miniaturizzato della società globale, dell’economia virtuale che domina l’economia reale; sembrerebbe la perfetta rappresentazione pratica della teoria liberista Occidentale, se non fosse per il fatto che Singapore è anche la modestia del Tao, che invita a non aver pretese se si compiono imprese difficili, perchè il destino di ciò che sale è quello di scendere, nella vita come in borsa, e la ricchezza ostentata e raccontata si esaurisce in fretta.

Il bazar delle culture

Qui non c’è nulla di autoctono ma si incrociano e si intersecano culture che provengono da altri luoghi. Tutto questo a un occidentale appare inquietante quanto l’uccello obeso del Singapore River, quanto l’arte di Botero, con i suoi personaggi strabici che non si sa da dove arrivino e dove stianno rivolgendo lo sguardo, perchè le diversità si incrociano ad ogni angolo di strada e non esiste più alcun rigore imposto dalla propria cultura, dalla fede, dalle tradizioni. Sri Mariamman, il tempio induista più grande e più sfarzoso, sorge nel bel mezzo di China Town, e se si prova a chiedere ai monaci che lo animano perchè non è stato fatto nel quartiere indiano, la loro risposta è laconica e non lascia spazio a repliche “Perchè, come vede, è stato costruito qui.”

Il treno del progresso

Se camminando tra i palazzi del centro si tiene lo sguardo ad altezza d’uomo ciò che appare è un ordine quasi amorevole, che sa di favola per bambini, di solida tradizione, ma alzando gli occhi al cielo la realtà cambia improvvisamente: l’ordine diventa geometrico, lineare e scientifico, l’architettura proietta la città verso l’alto, verso il domani, e le nostre metropoli diventano cosa vecchia, un po’ decadente. Quelle costruzioni non sono semplicemente delle torri che sfidano la forza di gravità per riuscire ad ammassare tra quattro mura migliaia di esseri umani, sono piuttosto opere dal disign sofisticato, enormi vasi da cui sbucano piccoli boschi e cascate di fiori, macchine metaboliche che funzionano prendendo energia dal sole. La chiamano “architettura ecosostenibile” e ci si ferma a gardarla un po’ imbarazzati: “Ecco qui il futuro, ecco il treno del progresso che ci supera e sfreccia davanti a noi”.

Affari di famiglia

Forma e contenuto sono difficili da distinguere. Il Paese si dichiara da più di quarant’anni una repubblica parlamentare e così sembra: solidamente democratico e liberista per vocazione; una democrazia guidata con mano ferma da un primo ministro che si chiama Lee Hsien Loong, figlio di Lee Kuan Yew, padre della patria, che ha governato ininterrottamente per 31 anni. Insomma, è una repubblica assai simile a una monarchia, con un parlamento espresso dal popolo ma che non ha una grande libertà di espressione, e una democrazia non tanto democratica ai nostri occhi.

Lee padre e Lee figlio continuano a essere i leader indiscussi, e persino amati, di una nazione che può vantare un livello di corruzione pari a zero, una crescita economica senza soluzione di continuità e una visione progressista del mondo. Si sono entrambi laureati a Cambridge, il primo in legge e il secondo in matematica, uomini colti e soprattutto pragmatici, a tal punto da decidere che era il caso di cancellare la legge che dichiarava l’omosessualità un crimine solo quando un gruppo di ricercatori scoprì che, in giro per il mondo, le aree produttive più dinamiche e innovative erano quelle in cui vi era la più alta concentrazione di gay.

Per conservarsi sani e obesi

Ecco il senso dell’arte di Botero, che toglie la dimensione morale senza creare immoralità; così Singapore, con le sue leggi repressive e il suo governo autoritario, mostra delle aperture inaspettate: il diavolo e l’acqua santa, il lupo e l’agnello, possono tranquillamente stare l’uno accanto all’altro, purchè trovino un punto d’accordo, una buona ragione per cui valga la pena convivere. E la buona ragione è quella di poter rimanere obesi e ben piantati sulle zampe, senza mai perdere il contatto con la terra ma con un paio d’ali che, per quanto inadeguate, lasciano immaginare la potenzialità del volo, come la scultura sulla passeggiata del Singapore River.

La Città Globale

Le chiamano Global City, World City, Alpha City, e sono considerate le capitali della globalizzazione. Singapore è la quinta per importanza, dopo New York, Londra, Hong Kong e Parigi.

La classifica viene stilata sulla base di parametri come la ricchiezza, la qualità dei servizi, le iniziative culturali, la presenza di strutture avanzate nelle telecomunicazioni.

In quanto a ricchezza Singapore è tra i primi otto paesi al mondo (in rapporto alle dimensioni, naturalmente), con un prodotto interno lordo pro-capite che supera i 37 mila euro (in Italia non si arriva a 23 mila), un tasso di disoccupazione al 3% (7,5 in Italia) e un’inflazione che si avvicina allo zero. Per le telecomunicazioni il governo scommette sul fatto che tra cinque anni sarà la prima al mondo, e per arrivare a questo obbiettivo nel 2005 ha varato un masterplan decennale battezzato Intelligent Nation, la Nazione Intelligente. Gli obiettivi, che già oggi non sembrano affatto lontani, sono quelli di far crescere il fatturato delle industrie di telecomunicazione fino a 26 miliardi di dollari, spingere l’esportazione di prodotti tecnologici a 60 miliardi di dollari, creare 80 mila nuovi posti di lavoro, portare la banda larga al 90% degli abitanti, assicurare a ogni studente un computer connesso alla rete.

l’odore del cuore

Con l’orecchio appoggiato sul petto sentiva questa musica ritmata, piena e sensuale, avrebbe voluto racchiudere quella emozione tattile e sonora in una bolla di vetro per romperla come un guscio d’uovo e versarla all’occerrenza in una delle tante giornate vuote e senza senso. Non era un semplice battito era un orchestra racchiusa nella sua cassa armonica naturale. Lui le accarezzava I capelli scostandoli con piccoli gesti dalle guance, perso nelle sue privatissime emozioni. Le emozioni che facevano trionfare il cuore nel suo grandioso pulsare.
Forse quando uno non sa se sta bene o male, se è d’accordo oppure no, se gli piace sentire la mancanza oppure farebbe volentieri a meno, forse quando non si riesce a trovare un giudizio estetico, caratteriale o generale, forse , ma forse no, “ti stai innamorando?”. Mentre si faceva queste domande preparava la colazione ed era perfettamente felice, nemmeno una cosa avrebbe cambiato di quel momento, anche se felicità non esprime esattamente ciò che provava, forse la parola esatta era in equilibrio.
L’equilibrio è un punto dinamico tra il cadere e il cadere, aveva detto una volta un giocoliere in cima ad una grande palla in bilico su di una passerella in discesa. Quel particolare momento era un punto preciso , prima e dopo quel punto c’e’ tutto quello che non desideriamo, e il punto stesso godeva della massima visibilità sulla perfezione del momento, proprio per questa sua peculiarità di giacere precariamente tra un dirupo e un dirupo. Qualche attimo dopo lui aveva detto tra un po’ mi metto in marcia. Parole perfette, tempismo acuto.
Si erano incontrati per caso, una amico di un amica. Lui l’aveva notata per primo, lei + giovane di 10 anni, una bella donna o meglio una bella femmina, come lui stesso l’aveva definita. Lei lo aveva notato quella sera a cena, proprio alla fine, mentre stava per andarsene. Le aveva dato da accendere e si erano scambiati una battuta. Poi era capitato che si incontrassero per un lavoro, lui era disponibile e accogliente e lei gli aveva chiesto di uscire a bere una cosa e li avevano parlato fitto fitto e avevano riso.
Il giorno dopo erano andati insieme ad una mostra fotografica e di nuovo era stato incredibile. Il lavoro li aveva portati insieme qualche volta ancora ed era stato proprio dopo cena, finito di lavorare che lui l’aveva baciata sul cofano della macchina.
Poi si erano visti per andare al cinema ed erano finiti a letto, senza grandi preamboli, come se si conoscessero da tempo e fosse una cosa naturale, lo era, o almeno lo era stato per lei.
Al secondo incontro il padre di lui era stato ricoverato,
Gli incontri si erano diradati per forza maggiore e la prima volta che si erano rivisti dopo il funerale lei aveva notato questo brusco cambiamento della loro chimica.
“Meglio stare un po’ indietro con I condimenti” diceva sempre sua madre, “si può sempre aggiungere, ma togliere è diffcile”
Bhe la palla si è mossa e velocemente è rotolata, quando si cade è difficile tenere un atteggiamento composto, però si può scegliere una direzione e quella direzione, anche se difficile da accettare è l’unico senso che rimane, rimanere se stessi, acettare l’ineluttabile dinamica del prprio destino, cadere.
Forse solo una coincidenza temporale, ma dalla morte del padre la loro relazione aveva preso una strana svolta.Si poteva chiamarla così? sembravano troppe lettere e troppo significato. Era cominciato con l’odore, quell’odore che a lei era sembrato così speciale, era diventato aggressivo.
Anche lui era diventato aggresessivo, in senso passivo,per nulla disponibile, men che meno acogliente. Anche in una semplice chiacchera a proposito di fotografia esibiva un tono sprezzante, e si finiva per essere zittiti.
Poi quella sera, dopo cena lui le aveva chiesto se sarebbe rimasta, ma non come se fosse interessato a un si, piuttosto come se stesse cercando di capire a che tipo di seccatura si dovesse preparare.
Lei lo aveva guardato, e gli aveva chiesto di chiarire “vuoi che rimanga o vada?”
Lui le aveva risposto che il fatto che lei lo chiedesse gli faceva passare la voglia di manifestare il suo interesse e poi aveva aggiunto che comunque, il tutto era reso ancora + difficile dal fatto che non ci fosse tensione sessuale e che immaginava la cosa fosse reciproca.
In quel momento le si era rotto qualcosa dentro, ma se avevano passato la maggior parte del tempo in un letto, ma se era stato tutto un sospiro e parole che certamente non lasciavano intendere diversamente.
Ma peché l’aveva invitata a cena per poi dirle quello che le stava dicendo?
Forse avrebbe dovuto tirarsi indietro quando aveva sentito l’odore cambiare fino a diventare così ossessivo.
Invece quella sera era rimasta, aveva cercato di essere scherzosa, ma quando lui si era rifiutato di confrontarsi persino su stupidi temi di gioco, aveva mosso le gambe a compasso e mentre si alzava dal letto aveva detto “vorrei che sospendessimo le nostre visite”

Poi si era vestita, si era fatta fare un caffè. Lui si era appellato al progetto di lavoro che era stato l’occasione di incontro della sera precedente.
lei non era riuscita ad accettare il compromesso, o il pretesto, aveva invece tentato di spiegare che per lei c’era stato l’incontro, l’essere insieme e che l’energia era superiore al corpo e a quello che si poteva fare con I corpi.
Poi gli aveva detto “dammi speranza” e con quello intendeva solo dire “fammi capire che il messaggio è arrivato che non ti fermi all’apparenza” Lui aveva risposto “in teoria capisco e sono d’accordo, ma mettere in pratica…” Poi le aveva porto il cappotto e lei si era infilata nella porta, percorso il corridoio, preso l’ascensore come in caduta libera e per motivi che non le erano chiar,i aveva sentito che un pezzo dentro si era staccato, l’impatto della caduta, un buco, nel buco il vuoto “nel vuoto il suo uso”.

Augusto Franzoj aveva un sogno

Augusto Franzoj salì faticosamente il sentiero sulla collina stringendo tra le mani deformate dall’artrite il calcio di due pistole acquistate 11 anni prima a New York.

Raggiunta la cima si sedette sotto un albero e osservò Torino illuminata dal sole primaverile.

Fermò lo sguardo sul falso minareto appena costruito nel quartiere dell’Esposizione Internazionale e pensò a quanti ne aveva già incontrati, minareti veri con i muezzin che chiamavano i fedeli alla preghiera.

Da tempo sapeva che non sarebbe più andato in nessun luogo, perché a 63 anni aveva esaurito le forze e le risorse.

Pochi giorni prima “un povero travet ferroviario, che aveva avuto un tozzo di pane per merito suo e che egli amò come un figlio, dovette correre per tutta Torino alla ricerca di 100 lire per pagargli l’affitto e si sentì rifiutare l’obolo di Belisario da tante personalità insigni o pseudo insigni”.

Franzoj capì che era arrivato il momento di farla finita.

Si disse che lasciava assai poco in sospeso, forse solo un sogno, un ultimo sogno che lo aveva accompagnato negli anni del decadimento: tornare nel Corno d’Africa per trovare un tesoro di carta, rinchiuso in una cassa di legno con incise due lettere: AR.

Quel tesoro lo aveva visto, erano decine di taccuini e centinaia di fotografie.

Era la cassa di Arthur Rimbaud, che incontrò per caso a Tadjura, “un piccolo villaggio dancalo con qualche palmizio e qualche moschea, un forte con 6 soldati francesi e un sergente”.

Franzoj era alla ricerca dei laghi equatoriali e Rimbaud aspettava notizie per concludere un affare che, era certo, lo avrebbe fatto diventare finalmente ricco.

“Mi trovo qui per formare una carovana per lo Scioa – diceva – Ho un carico di vecchi fucili a stantuffo in disuso da quarant’anni che dai venditori di armi usate, a Liegi o in Francia, valgono 7, al massimo 8 franchi, al pezzo. Al re dello Scioa, Menelik II, li venderò a una quarantina di franchi.”

Franzoj conosceva i versi di Rimbaud, ma gli ci volle un po’ per realizzare che quel trafficante d’armi, neppure troppo onesto, era la stessa persona che Paul Verlain definiva un genio; non sapeva che aveva abbandonato Parigi otto anni prima, dopo aver fatto a pezzi tutti i canoni della poesia e averli rimontati in qualcosa di diverso, di rivoluzionario.

Da allora di lui non se ne seppe più nulla, ma furono in pochi a lamentarne l’assenza.

I suoi maestri parnassiani, che avendolo tra i piedi rischiavano di trovarsi trasformati, dall’oggi all’indomani, in vecchi arnesi della retorica rimata, tirarono un sospiro di sollievo quando sparì.

“Scolpisci, lima, cesella; che il tuo sogno fluttuante si sigilli nel sasso resistente!” Diceva Théophile Gautier, il Gran Maestro che teorizzava l’arte per l’arte, fine a sé stessa, pura sagra della bellezza.

Altro che scolpire lavorando di cesello e di lima, rispondeva Rimbaud, altro che sagra della bellezza: “Si tratta di fare l’anima mostruosa, come un uomo che si pianti verruche sul viso e le coltivi; bisogna farsi veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi.”

Persino sua madre si dovette sentire in qualche modo sollevata dall’uscita di scena di un figlio così pubblicamente scandaloso, che andava finalmente a insabbiarsi tra le lande desolate della Somalia e l’altopiano fratturato dell’Etiopia, lontano dall’amabile, rozzo e incolto perbenismo della sua cittadina delle Ardenne.

Nei giorni di Tadjoura tra Rimbaud e Franzoj nacque una vera amicizia.

Ugo Ferrandi, compagno di viaggio di Franzoj, racconterà che li vedeva spesso “impegnati in lunghe discussioni letterarie, dai romantici ai decadenti.”

Per quel che si sa, questa fu l’unica volta, nella breve vita africana, in cui Rimbaud tornò a parlare di qualcosa che apparteneva al passato.

Dalla cassa su cui erano incise le sue iniziali prendeva mazzi di fotografie e taccuini dai quali leggeva poesie che raccontavano la sua Africa, le donne etiopi, la luna di Harar.

Solo dopo il rientro in Italia Franzoj scoprì che Rimbaud non aveva pubblicato nessuno di quei versi e si rese conto dell’unicità dell’incontro, del privilegio che gli era stato concesso.

Nel 1891 il poeta morì per un tumore al ginocchio: aveva 37 anni e la sua fama si dilatò fino a farlo diventare uno dei più grandi dell’800.

Franzoj attese inutilmente l’uscita degli scritti africani.

La cassa era scomparsa, persa lungo il tragitto che avrebbe dovuto portarla in Francia, dimenticata in qualche magazzino tra Harar e Aden.

Passò anni cercando di organizzare una spedizione per ritrovarla, ma le autorità italiane gli impedirono di tornare in Etiopia.

A un uomo dal carattere spigoloso, capace di reagire d’istinto a ogni ingiustizia, che non sopportava i malonesti e i lacchè, non si poteva consentire di andare in luoghi nei quali il governo vagheggiava ambizioni coloniali.

Non ci si poteva fidare di un cane sciolto, di un amante degli eccessi, di un rivoluzionario scapigliato finito spavaldamente in carcere per i suoi ideali; di uno che era stato capace di sfidare con un unico gesto cinque ufficiali dell’esercito regio e di batterli tutti in una sola mattinata; non era pensabile dar credito a chi aveva spinto all’infedeltà stuoli di donne ben maritate.

Venne messo in un angolo, dimenticato, anche se Giosuè Carducci e Cesare Correnti erano suoi estimatori, anche se era stato il primo e il più brillante tra gli inviati speciali della Stampa.

Negli anni in cui il giornalismo era prosa leziosa, lui scriveva per sintesi e per immagini:

“Massaua è il più sgradito porto del Mar Rosso. Ai tempi di Mosè questo era il mare prediletto da Dio. Ora Dio l’ha dimenticato. Tutte le 10 piaghe d’Egitto sono venute qui a lasciare parte delle loro miserie. Caldo acrobatico, 40 gradi all’ombra, afa, zanzare, vento e noia, e l’amministrazione egiziana più fastidiosa del vento Kamassin! Strade difficili, torrenti impetuosi, vegetazione superba, fauna svariatissima, storie sventurate, soli splendidi e miti, notti andalusiane, acqua fredda come il ghiaccio, fame inesauribile come la bontà di Dio, profumi inebrianti, bazi-buzuck manigoldi idem, idem come da Kalameda. Se si vuole aggiungere ad ogni costo qualche cosa si dice che gli abiti degli indigeni andavano, mentre mi inoltravo, semplificandosi a vista d’occhio, tanto che uomini e donne finivano a mostrare ciò che il buon Dio nostro, ma soprattutto le nostre questure, vogliono assolutamente si tenga celato.”

Era un grande Franzoj!

Fu l’ispiratore di Emilio Salgàri che, poveraccio, schiavizzato per poche lire dal suo editore, in sedici anni diede alle stampe 84 libri e bevve 5.844 bottiglie di Marsala senza muoversi da Torino, rispettando con masochistico rigore l’impegno contrattuale di consegnare ogni ventiquattro ore tre pagine pronte per la stampa: 17.532 pagine in sedici anni.

Erano le 10 e mezza del 13 aprile 1911, giovedì di Pasqua, e Augusto Franzoj, seduto sotto l’albero in cima alla collina, non ripercorse affatto il cammino nostalgico del suo passato: guardò Torino per l’ultima volta senza provare alcuna emozione, salutò con un infantile rimpianto il suo ultimo sogno, la cassa di Rimbaud, poi, sospirando, puntò le due pistole alle tempie, tirò simultaneamente i grilletti e i revolver americani eseguirono impeccabilmente il compito per cui erano stati creati.

Le pallottole incrociarono le loro traiettorie al centro del cervello poco prima di fargli esplodere la scatola cranica.

Salgàri si ispirò a lui anche quando, finalmente, decise di sciogliere il contratto con il suo editore: 12 giorni dopo andò armato di rasoio nel boschetto della Madonna del Pilone, a 4 chilometri dalla collina scelta dall’amico, e fece seppuku come un samurai per poi squarciarsi la gola. Nulla a che vedere con il gesto estremo d’avanguardia, senza fronzoli, senza rituali, di una testa che esplode in direzioni opposte con moto uniforme per creare il massimo della scapigliatura.

Maipagura

E’ un esortazione a farsi coraggio, detto in modalità pavese. Oggi ne avevo proprio bisogno, e si, ce ne vorrebbero di+ di posti così, dove passa la paura di quello che si è fatto, detto, lasciato, cominciato.

Mi sono seduta e subito è arrivato Luca, “vuoi mangiare, sei sola?”

fa piacere essere accolti con un sorriso “no siamo in due e si vogliamo mangiare” Oggi, lo faccio raramente, ho scelto il tavolino da tre. Di solito mi siedo nell’angolo a destra del grande tavolo condiviso davanti al bancone, ma oggi, il posto era occupato e forse, anche io avevo bisogno un po’ di stare x i fatti miei (io sono nata il 30 di aprile e questo fa di me un toro. )

In un  bar uno va per consumare, ma anche per incontrare, per non sentirsi solo, per condividere. Sarebbe lo stesso a casa di un amico? Teoricamente sarebbe meglio, ma l’amico non sempre è pronto ad accoglierti, se poi è qualcosa + di un amico le cose si complicano un tantillo.

Allora meglio un bar, dove la condivisione, anche grazie ai grandi sorrisi di Luca e Giovanni fa parte dell’offerta, in qualche modo, anche se non ha prezzo, sta nel menù.

Oggi mi mangio un piatto, non ho voglia del panino veloce e qui ne fanno di buonissimi voglio coccolarmi un po’ ho indugiato sin troppo nel maltrattarmi, forse avrò fatto bene , anzi indubbiamente, lo so sono patetica!

Arriva Simona con una rosa, si perché oggi le rose te le regalano le amiche, a ballare, ti invitano le amiche, gli uomini vogliono tutti essere anticonvenzionali. Che orrore! Ma come faranno quelli che vengono dopo di noi? Passeranno la vita in un bar eterno, torneranno alla casa degli uomini? Come è tradizione in alcune popolazioni indigene?

Se c’è una cosa che ho imparato è che le donne si truccano e si acchittano, in qualche modo mentono sulle qualità del proprio corpo, gli uomini invece si stravolgono completamente: diffidate di quelli che parlano fitto fitto al primo appuntamento, facilmente hanno esaurito tutto quello che avevano voglia di dirvi.
Voglio dare un consiglio, magari a me stessa, la prossima volta che ti capita di trovarti in una situazione, diciamo non esattamente comoda, fai come fanno tutti gli altri, stai zitta e fatti i fatti tuoi, così potrai fare come meglio credi senza dichiarare inutili palle in buca. che poi queste palle si sgonfiano e ci ritroviamo come al solito poi

lugano

La svizzera, quella italiana, quella che noi della bassa in qualche modo ci vien facile di ricordare. Banche e cioccolato, questo è ciò che tutti sanno, ma noi siamo andati a guardare + da vicino frammenti di giappone. Le foto di Haraki, per cominciare, familiarizzando con la la parola kimbaku che in occidente traduciamo Bondage, con il CONCRETO del GUTAI , con l’Ineffabile perfezione della scuola di fotografia all’albumina di Felice Beato, e con le incredibili immagini della primavera, SHUNGA . Siamo stati accompagnati, grata al mio lavoro, a tutti cololoro che hanno passione per ciò che fanno, senza rischiare di perderci in trduzione.

L’arte è quell’urgenza di portar fuori ciò che è dentro, di rendere sensibile e visibile ad altri che noi stessi ciò che nel + profondo ci riguarda .

Mi è parso di capire che l’arte, è arte perchè ha un mercato, mi è parso di intendere che il denaro ha vicariato, all’arte, il suo potere e il suo status , mi si è fatto intendere che l’arte, come il denaro, necessita di libera circolazione, hanno suggerito che per garantire neutralità all’arte e al suo status occorre tradizione, tradizione nel dimostrarsi irremovibili rispetto alle motivazioni che altri accoglierebbero come sensate, e toglierebbero al forziere la sua forza,

La passione e quindi anche l’amore, ha strane forme e assurdi modi di rendersi visibile, la mia esperienza di Lugano: un assoluto privilegio.

Chad, il seguito

I Chadiani sono bella gente, il loro paese un po’ meno.

Gli uomini sono alti, hanno un portamento elegante e una apparente serieta’, le donne, da brave musulmane, si vedono poco. Dal punto di vista culturale, di usi costumi, simpatia ed interesse, non é che mi dicano molto.

Diciamo che tendono a farsi i fatti loro e non sono particolarmenti disponibili o incuriositi nei confronti dello straniero. Tra la gente del posto e noi si instaura un rapporto piu paritario, nel quale spesso non ascoltano quel che dici e non fanno quel che chiedi.

La settimana scorsa, dopo che non sono stato preso a bordo dall’ aereo bastardo, sono salito di corsa sul camion che portava il nostro materiale alla base di Goz Beida. Due giorni di viaggio in un paesaggio desertico, una notte a gelare sotto le stelle e una colazione a base di cuore e fegato di capretto.

La cosa interessante é stata la nostra sosta, bagnata, per la notte:

Ci siamo fermati a meta’ strada in un villaggio di tettoie, nemmeno capanne, e abbiamo avuto la fortuna di incontrare una delle prime piogge di questa stagione. Il vento ha buttato giu’ tutti i ripari, l’unico modo per rimanere asciutti era entrare nel camion, infilarcisi sotto, oppure coprirsi con teli di plastica.

La gente del posto usava quest’ultima tecnica. Centinaia di persona, a casa loro, avevano come unica protezione dei teli di plastica e le famiglie si coprivano fino a quando l’acqua non cessava. Passato il vento e rispuntate le stelle la gente emergeva ridendo da sotto i teli UNHCR sistemando le tettoie che sarebbero servite contro il sole dell’indomani.

Le temperature stanno calando, il clima é secco e penso che oramai si stia meglio qui che non in pianura padana. La vita, al momento, non é particolarmente eccitante, mi muovo parecchio tra le nostre tre basi nelle quali pero’ mi rinchiudo una volta arrivato a destinazione. Piano piano il mio lavoro diventa piu dinamico, metto il naso fuori casa e inizio ad assaporare la vita del posto. Ho gia potuto giocare a calcio tre volte, un pareggio e due sconfitte per la cronaca. Ho potuto anche fare un giro in moto, rigorosamente fuori pista dove ho rimediato una caduta ed una bucatura.

Il cambiamento pare esserci stato, l’artefice si è mosso, ad Ottobre saro’ nel pavese e la strada da percorrere via terra sara’ un’ altra.

Saro’ nuovamente disoccupato. Ad Ottobre giardinieri ed imbianchini non hanno mercato, gli alberghi sono chiusi, l’Italia diventa sempre piu cara, io sempre piu tirchio. Meglio muoversi per tempo e iniziare con gli annunci di lavoro.

offresi.

nuovo PSR

FEUDALESIMO: Hai 2 mucche. Il tuo signore si prende parte
del latte.
SOCIALISMO PURO: Hai 2 mucche. Il governo le prende e le mette in una stalla insieme alle mucche di tutti gli altri. Tu devi prenderti cura di tutte le mucche. Il governo ti da’ esattamente il latte di cui hai bisogno.
SOCIALISMO BUROCRATICO: Hai 2 mucche. Il governo le prende
e le mette in una stalla insieme alle mucche di tutti gli altri. A prendersi cura di loro e’ un gruppo di ex allevatori di polli. Tu devi prenderti cura delle galline prese agli ex allevatori di polli. Il governo ti da’ esattamente il latte e le uova di cui i regolamenti stabiliscono che hai bisogno.
FASCISMO: Hai 2 mucche. Il governo le prende entrambe,
ti assume perche’ te ne prenda cura e ti vende il latte.
COMUNISMO PURO: Hai 2 mucche. I tuoi vicini ti aiutano
a prendertene cura e tutti insieme vi dividete il latte.
COMUNISMO RUSSO: Hai 2 mucche. Tu devi prendertene cura,
ma il governo si prende tutto il latte.
DITTATURA: Hai 2 mucche. Il governo le prende entrambe
e ti spara.
DEMOCRAZIA DI SINGAPORE: Hai 2 mucche. Il governo ti multa
per il possesso non autorizzato di due animali da stalla in un appartamento.
REGIME MILITARE: Hai 2 mucche. Il governo le prende entrambe e ti arruola nell’esercito.
DEMOCRAZIA PURA: Hai 2 mucche. I tuoi vicini decidono
chi si prende il latte.
DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA: Hai 2 mucche. I tuoi vicini
nominano qualcuno perche’ decida chi si prende il latte.
DEMOCRAZIA AMERICANA: Il governo promette di darti 2 mucche
se lo voti. Dopo le elezioni, il presidente e’ messo sotto impeachment per aver speculato sui “futures” bovini. La stampa ribattezza lo scandalo “Cowgate”.
DEMOCRAZIA INGLESE: Hai 2 mucche. Le nutri con cervello
di pecora e loro impazziscono. Il governo non fa nulla.
BUROCRAZIA: Hai 2 mucche. All’inizio il governo stabilisce
come le devi nutrire e quando le puoi mungere. Poi ti paga per non mungerle.
In seguito le prende entrambe, ne uccide una, munge l’altra e ne butta via il latte. Alla fine ti costringe a riempire alcuni moduli per denunciare le mucche mancanti.
ANARCHIA: Hai 2 mucche. O le vendi a un prezzo equo, oppure
i tuoi vicini provano a ucciderti per prendersi le mucche.
CAPITALISMO: Hai 2 mucche. Ne vendi una e ti compri un
toro.
CAPITALISMO DI HONG KONG: Hai 2 mucche. Ne vendi tre alla
tua societa’ per azioni, usando le lettere di credito aperte da tuo cognato presso la banca. Poi avvii uno scambio debito azioni con un’offerta pubblica, e riesci a riprenderti tutte e quattro le mucche con uno sgravio
fiscale per il mantenimento di cinque mucche. I diritti sul latte di sei mucche sono trasferiti tramite un intermediario panamense a una compagnia delle Isole Cayman di proprieta’ dell’azionista di maggioranza, che rivende alla tua Spa i diritti sul latte di tutte e sette le mucche. Il bilancio annuale afferma che la societa’ e’ proprietaria di otto mucche, con un’opzione sull’acquisto di un’altra. Nel frattempo tu uccidi le due mucche perche’ il latte e’ cattivo.
AMBIENTALISMO: Hai 2 mucche. Il governo ti vieta sia di
mungerle che di ucciderle.
FEMMINISMO: Hai 2 mucche. Loro si sposano e adottano un
vitellino.
TOTALITARISMO: Hai 2 mucche. Il governo le prende e nega
che siano mai esistite. Il latte e’ messo fuori legge.
POLITICAL CORRECTNESS: Sei in rapporto (il concetto di
“proprieta’” e’ simbolo di un passato fallocentrico, guerrafondaio e intollerante) con due bovini di diversa eta’(ma altrettanto preziosi per la societa’) e di genere non specificato.
CONTROCULTURA: Ehi, capo… tipo che ci stanno due mucche.
Oh! Devi proprio farti un tiro di ‘sto latte.
SURREALISMO: Hai due giraffe. Il governo ti costringe
a prendere lezioni di fisarmonica
SOTTO WINDOWS 95/98: Hai bisogno di un po’ di latte: provi
a mungere una vacca, ottieni il messaggio “Errore di generale di protezione al corno FFFFF, se il problema persiste contattare il fornitore del bovino”, e ti si impiantano tutte e due le vacche. Su Internet trovi
che è possibile aggiornare i drivers, scaricando il file “Cow_OK.dll”, di 18 mega. Dopo un paio d’ore di modem, lo inSTALLI, fai ripartire le vacch… pardon, il sistema, il quale non riconosce più le mammelle. Allora devi reinSTALLARE tutto daccapo: formatti (a bastonate) le vacche, installi WIN95, a quel punto provi a mungere, e ottieni latte rancido. Abbatti le due vacche e vai in vacanza all’Hotel Flamingo

Chad

Ciao a tutti.
Rieccomi su questo Blog, perchè sono finalmente in partenza.
Dopo sei lunghi e controproduttivi mesi finalmente aria di cambiamento anche dalle mie parti.
Mentre Tabata è tornata nel pavese alla ricerca della sua strada io sono rimasto aspettando che la mia si liberasse.
Venerdi prenderò un volo che mi porterà a Ndjamena, capitale del Chad, da li raggiungerò Abechè e quindi Goz Beida. Per quattro mesi sarò basato in un campo profughi a 30 km dal confine Sudanese, ad occuparmi di logistica per la oramai famosa regione del Darfur.
Sono contento di partire, di lavorare e ritrovare quegli stimoli che ultimamente si perdevano tra letto, internet, televisione e qualche birra.
Devo ammettere che, nonostante la voglia di lavorare, e guadagnare, sia molta, il mio primo stimolo è il progetto che seguirà la fine del mio contratto:
Chad, Niger, Mali, Senegal, Mauritania, Spagna, Italia. To Italy overland insomma, partenza OttobreNovembre.
In realtà non è che debba tornare in Italia e forse la meta cambierà. Il problema è che sembra quasi impossibile andare a Nord (confine libico of limits e minato), Sud (Repubblica centrafricana troppo instabile e confine minato), Est (guerra in Darfur). Non mi restano molte alternative ma non è da escludere una strada alternativa. Se riuscissi a raggiungere Kartoum allora poi potrei andare in Egitto e nuovamente in medioriente.
Insomma, mi piace sognare ma so bene che da qui ad Ottobre tutto può cambiare.
Chissà se Tabata sarà artefice del cambiamento….
Per adesso comunque mi devo concentrare sul lavoro, i nuovi viaggi sono ancora una fantasia, e un segreto.
Ai miei datori di lavoro ho solo potuto dire che rinuncio al biglietto di ritorno. Anche se una volta finito il contratto loro, come si dice, “non possono essere ritenuti responsabili delle mie azioni” non mi sembra ancora il caso di rendere noti i miei progetti.
La persona che mi ha voluto assumere era una conoscenza del Pakistan, ci eravamo incontrati ad Islamabad, aveva apprezzato il fatto che fossi arrivato via terra ed ha anche avuto modo di vedere parte del lavoro che ho fatto. Lui aveva provato a tornare in moto dal Pakistan all’Italia ma gli hanno rubato il mezzo in Iran.
E’ stato da poco trasferito in Africa e mi ha contattato quando ha visto la mia application presso la sua organizzazione.
Un pò di culo ogni tanto ci vuole.

Spero di scrivere molto anche durante questi 4 mesi, vorrebbe dire che avrò una vita interessante.
A presto.

Eroi, martiri e ignoti soldati

Non si sa bene perchè le emozioni si sentano nel petto. Forse si sa , sono io a non saperlo. È per questo che associamo il cuore ai sentimenti?
Ho Incontrato il Cardiologo Prof. F. (che si occupa di sostenere in prima persona un’associazione senza scopo di lucro a favore di bambini cardiopatici nel mondo)

sembra che la mortalità infantile dovuta a questo tipo di patologia sia tra le emergenze nel mondo dopo fame, infezioni, carenza di acqua.

Dalla piccola esperienza che ho nel campo, mi sono fatta l’idea che chi lavora per la cooperazione e lo sviluppo cerchi emozioni e se la strada per sentirsi vivo e giusto è la soluzione dei problemi di sopravvivenza altrui, ben vengano i problemi. Anch’io nel mio piccolo ruolo di ignoto soldato sono andata all’appuntamento con la speranza di ricavarne emozioni e, va da se, fare il mio lavoro.

Non abbiamo fatto giri in reparto, non ho messo le mani ne gli occhi su nessun corpicino offeso. Mi sono seduta ad una scrivania di noce e come al solito, lui ha parlato e io ho solo pensato.
Lui diceva quanti bambini aveva o avrebbe potuto operare, bambini con malformazioni congenite, che “meritano di vivere”. Io pensavo a quante probabilità di sopravvivenza post operatorie avevano questi bambini una volta tornati a casa. Lui mi faceva vedere foto di mamme con le loro creature :“sono persone dignitosissime” e io pensavo a quale dignità ci può essere nel cuore di una donna il cui figlio è destinato a morire mentre quello che porta nel grembo avrà probabilmente la stessa sorte, grazie a ordigni e veleni di cui il suo paese natale è stato disseminato.
Lui parlava di ciò che avrebbe voluto fare, organizare, migliorare e ottenere, e di quanto aveva predicato ad ogni porta politica e burocratica per averne in cambio solo parole vuote e nessun reale aiuto, “faccio quello che posso con il piccolo aiuto che mi danno le aziende e le persone che hanno un cuore”. Io pensavo che conosco giovani in gamba che hanno girato il mondo in cerca di un occasione molto + banale di quella che ha avuto lui. Pensavo che non importa quanto piccole o grandi siano le ambizioni, la frustrazione è sempre troppo grande per ogni vecchio o giovane cuore.

Il professore mi mostra uno slide show del suo operato nel mondo, mi parla di riconoscimenti ottenuti da leaders di altri paesi, poi si gira ed estrae dal cassetto una foto. Me la porge e dice chi è questo? Io vedo due uomini che si stringono la mano. I loro profili quasi intenti a dare la schiena. Uno dei due dev’essere lui stesso, lo intuisco + che vederlo e l’altro… “chi è?” mi chiede lui “chi è?” gli rispondo io e mentre lo dico so che sto dicendo la cosa sbagliata “ma è Gheddafi naturalmente! “ e prosegue spiegandomi che le sue sono anche missioni di pace e speranza in quei paesi che noi consideriamo nemici.
Adesso, mentre scrivo, vedo quest’uomo entusiasta che affonda le sue mani guantate di lattice in piccoli toraci aperti e sanguinanti, e penso all’emozione di giocare a fare Dio che prova ogni volta che il bisturi incide la pelle bianca o nera di un corpo per “arivare al cuore”. E penso che per quel tipo di emozione molti sarebbero capaci di uccidere e lo hanno fatto.
Penso che il bene e il male sono nella stessa coppa e che dipende da che parte uno beve. Penso che ci vorrebbe un premio al valore per quell’esercito ignoto di idraulici ragionieri, infermieri, muratori e spazzini che hanno voglia di fare il loro mestiere invece di pensare che questa vita è costellata di fogne inesistenti, bilanci che non quadrano , malati che non guariscono, case che non stanno in piedi e strade eternamente sporche.
Penso che la ragione del nostro stare al mondo dovrebbe essere “fare le cose” allora tutto avrebbe un senso, perchè le cose si fanno ogni giorno.
Penso che a tutti piacerebbe pensare alla propria vita come in quella pubblicità della Rai dove ognuno è un eroe, un protagonista, per aver fatto quello che fa.

Lo sapranno quei bambibi dai piccoli corpi attraverasati da tubi che oggi come domani saranno famosi testimonial della miseria nel mondo, eppure, nessuno mai si ricorderà delle loro facce, meno ancora delle loro storie?

la navetta del tempo

Non stiamo parlando di dischi volanti ma di tempo che vola e noi che non ci saremo + e oltre a noi anche i figli dei nostri figli. A chi di noi piacerebbe sapere chi e che cosa faceva un consanguineo vissuto quei 500/1000 anni prima del 2007?

un messaggio in bottiglia che ci raggiunge attraverso il tempo. In realtà un contenitore che nel suo ventre nasconde oggetti che raccontano chi siamo stati e cosa facevamo per occupare il tempo, oltre a scavare buche e giocare alla caccia al tesoro del millennio.

A questo progetto proposto da Flavio, tutti possono partecipare contribuendo – in una prima fase test finalizzata a sperimentare la possibile depauperazione degli oggetti (carta, foto, batterie, legno ecc) da parte di aggressori tipo clima, animali, gente che scava senza permesso ecc..- con “messaggi per i posteri”
In sostanza mettiamo a disposizione un contenitore stagno che rimarrà sepolto per un anno, una punta di spillo comparato a qualche secolo, ma un po’ dovrebbe aiutarci a capire come conservare le cose perchè non vengano disperse nell’ambiente.

Oviamente si accettano suggerimenti sulla longevità e possibilità di lettura dei supporti utilizzati per tramandare le nostre memorie.

Aspetto commenti e suggerimenti (anche pratici su come siggillare e conservare l’involucro): la data di sepoltura è prossima

Nbi e routine

Ciao Lulops

E’ vero, da quando ho finito I miei viaggi manco da questo blog. Ho una scusa, scontata, non ho molto da raccontare.

La vita di Nbi e’ molto piu’ vicina a quella del pavese che non a quella del viaggiatore. Guardo la tele, esco la sera, incontro amici, consumo.

La ricerca di lavoro procede male, Nbi non e’ la piazza che mi aspettavo e di trovare qualcosa non se ne parla. Al momento faccio una internship alla GTZ, mi occupo di questioni logistiche per un progetto di conservazione energetica.

In pratica non faccio niente.

Dovevo produrre 100 stufe in argilla ed adesso che le ho commissionate, passo le giornate a cazzeggiare su internet, alla ricerca di un lavoro vero. Non mi pagano.

Tabata e’ oramai di base a Malindi, non e’ in cinta, e si sta occupando della ristrutturazione della nostra casa. Ogni tanto sale lei e ogni tanto scendo io.

Se il tuo sogno inquieto fosse premonitore potrebbe essere di buon auspicio, ho spesso fantasticato di fare cose losche. Ammetto di aver mandato il mio CV anche alla CIA (incurante del fatto che la prima domanda chiedesse se si e’ americani, discriminante fondamentale per poter applicare).

Mi piacerebbe un po’ di azione, magari pagata.

Le prospettive per il futuro sono ancora nebulose, tra qualche mese ci scade il visto e dobbiamo lasciare il paese. Mentre Tabata e’ abbastanza convinta di dover tornare in Italia, a fare l’esame di stato ed un po’ di esperienza, io sono convinto che faro’ l’impossibile per non doverci tornare.

Penso spesso al Pakistan, un posto di merda dove vorrei tornare. Si tratta del paese dove, fino ad oggi, mi sono sentito piu’ vivo, piu’ cowboy e avventuriero, piu’ appagato. Probabilmente sara’ Peshawar la mia prossima meta.

Prima di quel giorno Tabata ed io pensavamo di andare a Zanzibar, a riprenderci dallo stress dei nostri uffici e delle nostre carriere.

 
Poi tanto cambiera’ tutto di nuovo e chissa’ dove andremo a finire.

 
Un saluto a tutta la cascina, in particolare a Giorgino.

P.S. A me’ continuano ad arrivare un sacco di Track back su post vecchi. Vuol dire che ci hanno bombardato il sito?

Caro Martin chi sa se leggi ancora elasticgirl, sicuramente non ci scrivi +, ci sono periodi up e down per ogni cosa diciamo che questo povero blog ha visto tempi migliori.

Questa notte ti ho sognato e siccome io di solito sogno donne che rimangono incinte o che danno alla luce credo che siate sollevati di sapere che non ho sognato Tabata.

Comunque era un sogno strano e inqueto dove tu avevi a che fare con qualcosa di losco ma non ricordo molto perchè mi sono svegliata e poi le cose hanno cominciato a dissolversi nella nebbia di Boschi.

Si questa mattinac’era la nebbia e speriamo proprio che il sole riesca a vincere le nubi perchè sono stufa di farmi pungere dall’agopuntursta che midice, e credo sia vero, che sono piena di umidità.

Che novità?

Abbiamo innaugurato il nostro piccolo ciclo di letture compartecipate, qualsiasi cosa voglia dire, comunque si sta un po’ insieme, si legge, si dicono cattiverie e cose sagge e anche un sacco di cazzate. C’è chi dice che dovremmo recitare, chi cantare e chi si accontenta gode tra le quali io.

Faccio un piccolo “a parte ” per Carla se mi leggi ti ricordi di che si discuteva nell’orto metre le zanzare discutavano tra loro chi delle due avesse + buon sangue? Bhe credo che ci siamo e forse sono riuscita ad affrontare la cosa non affrontandola affatto. Ho scelto il percorso di Santiago la fede mi aiuterà a superare gli ostacoli. Ma che scelta ho?

Quest’hanno abbiamo piantato il doppio dell’orto e suppongo che potremmo sfamare tutti gli ospiti del caso anche se da quanto ho capito della famiglia del TUDESCH forse vedremo Giulia…però non sperate di stare tranquilli perchè potremmo sempre decidere di venire noi a trovarvi.

un bacio a tutta la band

Priscilla

Ps vi mando presto una foto della nostra banda e i nuovi affiliati

il tempo

se uno si facesse affliggere dal tempo perso allora dovrebbe rinunciare a muoversi.

Per andare dal punto a al punto b il tempo è necessario ma quanto tempo di permanenza tra i vari punti

Sono in aereoporto dalle 11 e forse per le 18 partirò per la mia destinazione. arriverò a toccare terra alle 20 e ripartirò domani alle 12

tempo di viaggio 12 ore circa tempo di permanenza compreso sonno 12 ore

In + il pc in dotazione nella saletta vip fa schifo e si riesce a stento a battere sui tasti.

Cara Carla

perdona il mio assenteismo ingiustificato
Non scherzare, la tua camera è li che ti aspetta,magari un po’ chiusa e impolverata

Ho chiesto al papà di Tabata di dare un occhiata alla macchina, di cui credo avrai bisogno, staccare la batteria è sicuramente un ottima precauzione ma poi si suppone che uno la sappia riattaccare e se si trattasse di me avrei qualche dubbio.
Tabata mi è venuta a trovare e abbiamo parlicchiato un po’ di tutto ma specialmente della residenza di Boschi.

Qui si sono tutti dati all’edilizia il mattone va + del pane sempre tutti occupati e molto cari, gli operatori palazzinari, per non parlare degli artigiani ai quali chiedi preventivi prima di natale e non se ne sa nulla nemmeno per pasqua.
Tra tutte le esperienze di ristrutturazione la persona che + mi è semrata appagata (non ho sentito lamentele, ma elogi) è Corinna Colombo. Forse quando vieni potresti scambiare due chiacchiere con lei che a quanto ne so ha fatto tutti interventi conservativi ma proprio per questo a mio avviso difficili da realizzare e questo mi fa pensar bene degli operatori che ha scelto.

Ho molta voglia di vederti, cerca però di darti una sbiancata prima di arrivare o i geometri locali ti prenderanno poco sul serio (è la condanna di chi vive sudandosi il pane al sole) e se li trovi portami qualche seme di piretro
priscilla

amiche di downunder

Ciao Brbara,
è sempre un piacere sentirti,
Da questa parte del globo come saprai dal mio blog succedono forse le stesse cose che da qella a testa in giu solo che le giornate in inverno sono molto corte e il tempo sembra passare + velocemente.
Come si sono evolute le questioni familiari?
Tua madre? Giorgio?
Spero che venendoin italia tu riesca a ritagliarti un po’ di tempo magari per passare qualche giorno qui da noi
Questo per me è il periodo peggiore dell’anno perchè si apre la voragine bdjet da fare per l’anno fiscale in corso.
Sono sempre fra computer(proposte, ordini, acquisti) e visite ai clienti.
Spesso penso alla mia vita da australiana spensierata con pochi pensieri e quasi niente da fare tutto il giorno.
Non mi lamento perchè le cose vanno bene ma non posso non notare che giorno dopo giorno il mio corpo e la mia mente subiscono trasformazioni permanenti.
Vorrei avere un week end che durasse almeno una settimana e un paio di mesi di vacanze all’anno.
sono le 5 di mattino qui e io non riesco a dormire, probabilmente tu ti stai preparando ad andare a letto, li è ancora estate, qui inverno. insomma siamo proprio agli antipodi.
é qualche giorno che un’altro vitello(più in carne , con corna e il resto) si è stabilito da noi, bruca nell’orto, dorme nella gabbia dei polli. Io amo tutti gli animali ma le vacche fnno un sacco di cacca e vicino a loro ci sono mosche anche d’inverno. Basta questo per farmi riflettere sui motivi dell’intolleranza, quello che è troppo diverso da noi o lo assimiliamo( na vacca è un po’ difficile da rendere nostro simile) o lo assoggettiamo(alleviamo trinceriamo, macelliamo) Questa vacca che è venuta in vacanza da noi ci mette in crisi, non sappiamo come comportarci, parliamo più della vacca che di tutto il resto della nostra incasinata vita, come se fosse un sassolino incastrato tra le noste mucose di mollusco.
Ripensando a Sydney me la figuro proprio come un grosso mollusco pieno di sassolini diventati perle irrorate dalla saliva dell’indifferenza, dove tutti curano il loro piccolo spazio e nessno perde tempo a provare a calarsi nella realtà dell’altro. Tutti lucidi e un po’assopiti, sprofondati nel confort rigenerante e morbido della grossa conchiglia che provvede per tutti generando ogni giorno ricchezza.

Dammi tue nuove, via blog o mail come preferisci ma dimmi di te
he ne è di Barbara? raccontami di tutti
un abbraccio
Priscilla

Nairobi

Ciao amici.
Come vedete ora che ho smesso di viaggiare la vita diventa piu’ monotona, non ho molto da raccontare poiche’ le giornate si ricalcano sempre piu’.
La nostra ricerca di lavoro non sta dando i suoi frutti. Mi dicono di essere paziente e lo sono. Non sopporto andare in giro a dover quasi elemosinare un lavoro. Io mi presento, la gente e’ molto disponibile. In ufficio vedo tante persone, spesso giovane, alla quale e’ stata fatta inizialmente fiducia. A me’ dicono che vedranno se mi trovano qualcosa. Sembra quasi che io stia chiedendo favori mentre invece penso di poter dare un contributo nel campo della cooperazione.
In realta’ un piccolo lavoro lo ho trovato, solo che e’ gia’ finito.
Gli scandalosi telegiornali italiani penso non abbiano quasi parlato del Social Forum di Nairobi. Lo faccio io.
Ho scritto un articolo al giorno per una ONG italiana, world-friends, li dovreste trovare sotto la sezione Diario, cliccando su “leggi il blog di world friends”.
Tabata ora e’ in Italia, a Pavia fino al 9.2, pronta a tornare per trovare il suo lavoro.
 
Ciao

non abbiate paura non vendo nulla al massimo compro

GheoCiao Priscilla,

meno male che c’e’ il tuo blog cosi ogni tanto riesco a sapere qualcosa di te quando rispondi a Martin. Io di queste cose tecnologiche non capisco niente e non so neanche come risponderti. Spero che questo indirizzo sia corretto e che tu riesca a leggere quello che ti scrivo e magari rispondere….

Ciao Barbara
è un piacere ricevere posta da te
L’indirizzo che hai usato funziona, ma se vuoi rispondere sul mio blog basta che clicchi su Comments alla fine del testo e ti ritrovi a leggere i commenti degli altri oltre a poterne scrivere uno tuo. Lo dico anche per tutti quelli che non hanno ancora osato farlo.
Il blog è li per questo, per essere usato da tutti e non solo da me se no che blog è?

Ciao Priscilla,é stata una gioia ricevere tue notizie!!Quando capita
salutami”quel cugino che aspetta due gemelli”se ancora si ricorda di me(si
chiama Gianluca???).Poi vorrei vederti al più presto visto che capiti a Roma
così di frequente:sarò davvero felicissima di rivederti!!!!Fatti viva appena
hai un attimo!!!Spero di venirvi a trovere fra qualche anno,quando Filippo
sarà più grande e potrà stare qualche giorno senza vedermi.Non vedo l’ora di
viaggiare un pò ed andare a trovare i miei amici sparsi per l’Italia!!Ti è
piaciuta la foto che ti ho mandato?So benissimo che hai due figli:non ti
ricordi che ti ho telefonato a Lipari dopo la nascita di Geo?Mandami una
foto della tua famiglia così vedo quanto sono cresciuti i piccoli!Ti penso e
mi manchi molto,un bacione,Rosa Maria.

Ciao RosaMaria,

spero che tu non intenda aspettare che tuo figlio faccia il militare, anche perchè hanno sospeso la leva obbligatoria.

Se non riusciamo a vederci almeno raccontami di te e di quello che succede in quelli di Roma (naturalmente sul blog) meglio rtrovarsi virtualmente che non ritrovarsi affatto

baci Priscilla

Cose che capitano

mucche alla riscossa

se abiti in una grande città ti può capitare di tutto ma se abiti a boschi di Travacò e non hai chiuso il cancello, può succedere di adottare un vitello di poche ore, magari abbandonato dalla mamma in un campo. Mamma che non si trova e piccolo che ha fame. Telefoni a parenti e amici ma nessuno che sappia di chi è sta piccola quadrupede scalciante.

Scevola, propietario dei boschi mi dice”mettila in forno” ma io non mangio carne e nemmeno voglio un cucciolo di mucca seppellito nell’orto. Compro il biberon da mucche, faccio un giro di telefonate e alla fine due ore di lavoro e un po’ di espedienti… la piccola mucca ha mangiato e passato la notte nel nostro garage. I cani hanno dormito fuori e noi non abbiamo dormito affatto perchè i primi abbaiavano e la seconda rispondeva di muggito.

Questa mattina alle 8 il pastore o mandriano, non so, è venuto a reclamare il cucciolo. Mi ha detto:”ma come ha fatto lo sa che è difficilissimo che una vitella appena nata succhi dal biberon? ”

Gli ho risposto:”Quasi difficile come trovare un vitellino abbandonato fuori dalla tua porta di casa”

risposte

ciao Martin,

sono contenta che siate arrivati ad una meta +0- stabile anche se spero che vorrete continuare a scrivere sul blog e che riusciate anche a coinvolgere altri.
Scusate se sono stata latitante, ma quaest’anno il lavoro ha richiesto tempo e dedizione e speriamo dia i suoi frutti così da poterci anche noi nuovameente inoltrare sulla via dei viaggi.
Per quanto riguarda commenti e pettegolezzi ne ho parecchi, ma non so se sono nello spirito… mi limeterò a raccontarti un po’ di fatti, prima però,
rispondo a un po’ di domande

Nessun problema per le refernze professionalii, accertati solo di darmi come referente e se in caso dai il mio nr di cell. . Magari mandami una cp aggiornata del tuo cv.. sul fronte no profit l’attività ha preso una piega “pro bono”, nel senso che stiamo distribuendo comunicati gratuitamente: siamo riusciti ad interessare così l’università di Pv che contribuirà al progetto con stagisti e forse si riaprirà il progetto (da te in linea di pensiero proposto a suo tempo) con un ciclo formativo alimentato dal corso di laurea http://noprofit.lulop.com/index.php.

Per quanto riguarda tuo zio credo che la cosa migliore sia che si metta in contatto direttamente con me o Lorenzo, mandandoci una mail

Il bimbo peloso è un po’ disubbidiente e scappa ogni tanto. Gli ha fatto compagnia Mordicchio un paio di volte e so che stanno rimettendo a posto la staccionata per vedere di arginare il problema. Tiziana, come te, pensa che come Lapo anche Mordichhio porti in giro Tex . Certo è che questo tuo cane non perde occasione di socializzare. Ne sa qualcosa anche il propietario delle mucche al pascolo nel bosco di Scevola: lo ha riportato a casa (tra l’altro a casa nostra convinto che ne fossimo i padroni) un paio di volte.
C’è stato anche un piccolo episodio di violenza: un giorno viene a trovarci Tomas con i cavalli e i cani ,non so bene per quale motivo, Tex e il suo maschio prendono a ringhiarsi e poi si afferrano. Li abbiamo dovuti separare tirandoli per la coda. A parte questi piccoli incidenti mi sembra che il peloso se la passi abbastanza bene.

I nostri figli e quelli degli Andreolli vanno tutti a scuola insieme trasportati dalla mitica panda alla guida Caroline fedele compagna ops, moglie di Vinicius.
Vinicius passa le sue giornate davanti al computer, studia, o così ci dice. Credo che rimarranno entrambi per un po’ visto che anche Caroline ha intenzione di iscriversi all’università non appena il suo italino migliorerà

Arianna passerà presto dallo stagismo al lavoro con lulop, Stefano fa oramai parte dei nostri e Luca si è trasferito anche lui a Boschi in una delle stanze della casa vecchia. Michele millanta l’acquisto di una macchina, ma per il momento ,come il nostro nuovo e apprezzatissimo stagista Jan, approfitta del sevizio navetta (Panda Caroline).
Illusi e abusati dai soliti fornitori di rete, sognamo banda larga a profusione da poter diffondere e condividere con il resto degli abitanti della zona. Invariabilmente delusi rimaniamo però ancora alla mercè di telecom con i soliti alti e bassi e demoralizzanti periodici periodi di isolamento.

Tomas va spesso a cavallo con Lorenzo io invece mi intrattengo in lunghe chiacchierate e stiamo meditando di mettere su un piccolo teatro cooperativo dove cantare, leggere, interpretare sul prato e tra amici e conoscenti a turno.

Con gli Andreolli si è discusso e pianificato più volte su investimenti futuri che vanno dal dividere l’acquisto di un trattore a costruire una casa comune sull’albero. Per il momento sono solo chiacchiere ma questa primavera io e Flavio innaugureremo probabilmente un orto comune.

Il parco cani si è ingrandito. Infatti abbiamo avuto altri due resi: Scheggia e Charly, anche loro accusati di fare troppi giri in giro, ma da quando sono arrivati (un paio di settimane) non si sono mai mossi e purtroppo hanno ingannato il tempo rosicchiando tutto quello che è a loro portata.

Il campo di fronte al nostro è stato venduto da Massimiliano a Scevola, siamo riusciti a trovare un’accordo per rientrarne in possesso per due terzi non appena acquisita la qualifica di imprenditori agricoli. Anche Massimiliano è diventato un frequentatore + assiuduo dei Boschi. Abbiamo comprato da lui olio toscano e avendo distribuito campioni tra amici ogni tanoto torna a consegnarne una cassa.

In piazza hanno costruito una nuova casa e penso che in primaverà sarà anche finita

Insomma all’appello manca solo la famiglia dei tedeschi che sta in Africa

Rimane il mistero delle cose che hai spedito e non sono mai arrivate

Di a Tuo padre che ho ricevuto il messaggio e non ho risposto perchè sono una pigra, ma che la batteria è stata scollegata la settimana dopo che Giulia ha lasciato Boschi.
A proposito, che ne sai dei lavori che dovrebbero aver lugo nella vostra futura dimora ?

Abbraccia per me chi puoi. Spero di rivedere tutti e ognuno di voi nel + breve tempo concesso al nostro destino di vite riunite per caso dal confluire di due fiumi

Priscilla

Nairobi

Eccoci qua, finalmente “a casa”, a Nairobi in Kenya.
Scappati dall’India oramai saturi abbiamo finalmente riscoperto l’uso dei materassi, delle docce calde, delle posate,  e del benessere generale che costituisce le nostre solite vite.
Siamo felici di aver finalmente posato lo zaino e di ritrovarci in quello che per noi va considerato un paradiso di ordine e pulizia, di silenzio e pace.
Strano ma vero, una capitale africane puo’ essere vista cosi quando si arriva dall’India.
 

Il mio ultimo post trattava Auroville, a circa 3 settimane dal termine del nostro tour indiano. Da li siamo passati per Gokarna, una tappa fissa dei miei soggiorni asiatici. Un posto tranquillo e bello dove la gente non applica ancora la filosofia del “spulcia il turista fino all’osso, succhiagli le energie e prendilo per sfinimento che qualche rupia la guadagni”. Quest’ ultimo e’ stato il live motive del tragitto che ci separava da Delhi.
Arrivati in Rajasthan siamo dovuti scappare dalla calca dei commercianti e cagacazzi per rintanarci nel fondo del deserto dei tartari dove abbiamo passato due giorni a non fare nulla, passeggiando per le dune. Lo scenario, fino all’orario del tramonto, era idilliaco. Dopo, dalla vicina Jaisalmer, arrivavano le orde di turisti per ammirare il tramonto.
La dinamica di questa “meravigliosa esperienza”era per noi contemporaneamente comica e patetica:
Nascosti dietro ad una lontana duna solitaria ammiravamo lo spettacolo dei pullmann turistici che arivavano strombazzando nella polvere del deserto. Questi si fermavano a poche centinaia di metri dalla duna prefissata affinche’ i suoi passeggeri potessero godere della indimenticabile e romantica esperienza del tramonto col cammello.
Gruppi di decine di trasparenti turisti occidentali scendevano dal bus con le loro belle tenute safari nuove per percorrere i 100 metri che li separavano dalla meta a dorso di cammello. Dopo una strenuante contrattazione la carovana partiva per il suo viaggio. Per ogni cammello un turista, per ogni turista un uomo che tira e uno spinge, un bambino che vende patatine ed un secondo bibite. I meno intrepidi hanno potuto optare per un carrello (tirato dal cammello frustrato da 3 indiani).
Dopo 5 minuti si raggiungono le dune, il tempo di scendere dal cammello e voltarsi verso il sole calante che la calca di bambini con collane,  musicisti che impongono le loro performance e rompiballe assortiti, gli ostruiscono completamente la vista. Vengono pagati affinche’ se ne vadano.
Nel mentre i pullmann hanno raggiunto le pendici della duna e, con un concerto di clacson che si sente fino a Delhi, richiamano i loro portafogli ambulanti nel ventre della cassaforte. Il polverono riporta l’animalus turisticus nella vicina Jaisalmer lasciando a noi, che timidamente emergiamo dal nostro nascondiglio, tante meravigliose aiuole di coloratissima plastica.
Divertiti ed afflitti ci incamminiamo verso la nostra capanna, dove accendiamo il fuoco e ammiriamo un celo ancora molto bello.
Pensiamo: per foruna che ne i turisti ne gli indiani hanno ancora imparato a volare.
 

Raggiunta Delhi abbiamo tentato di ottenere un visto kenyano. Il nostro biglietto di sola andata, a detta dei funzionari kenyoti, non ci avrebbe portati da nessuna parte. – Il governo del kenya esige un biglietto di ritorno, in assenza di questo non viene concesso il visto e la compagnia aerea non ti fa salire sul volo per Nairobi-.
Queste le parole del funzionario agli addetti visti. Una ragazza kenyana della mia eta’, piu’ tirata di Naomi Campell e assente dal suo ufficio per l’ultimo mese. (piu volte avevo provato a contattarla via telefono). La sua Lexus 4×4 posteggiata sul marciapiede lascia intendere la sua “nobile provenienza”. Certamente la figlia di uno stimatissimo corrotto Kenyano.
Noi invece siamo andati in aereoporto, senza visto e col nostro biglietto, siamo saliti sul volo e ora siamo qui.
 

Dall’Italia al kenya, via India:
 

4 mesi e ½  in cui abbiamo speso 1000 euro incluso visti, regali di natale e un biglietto per il Kenya.
Mesi intensi e formativi ricchi di sorprese, divertimento e avventura, che ci hanno portati in posti dei quali in pochi possono parlare.
Il tutto al costo di due settimane di vacanza a 100 km dalla casa dei piu’.
Se qualcuno, oltre che dirlo, ha veramente pensato che viaggiare sia la cosa per lui, non ha scuse. Il viaggio e’ semplice, e’ alla portata economica di chiunque ed e’ la cosa che piu’ insegna nella vita. Ho la presunzione di dire questa cosa.
Scegliete il vostro mondo, inforcate la vostra bici, caricate il vostro zaino oppure girate la vostra chiave. Il resto andra’ da se’.
 

Ora restiamo qui un po’ di tempo:
Tabata deve farsi passare il mal di schiena mentre io devo curare sia una infiammazione al petto che la Giardia.
Devo recuperare 7 kg e trovarmi un lavoro.
 

Alla prossima.

Tabata e il Cibo

Dall’Italia all’India via terra, il salto di qualita’ e’ vasto ed interessante.

Tutto il mondo sa’ quanto gli italiani siano abituati a mangiare tanto e bene.

L’ultima pastina scrausa la abbiamo mangiata in Grecia, cucinata da noi in un minipentolino e con un fuocherello fatto dal piu bravo “uomo della foresta”, dopo cio’… benvenuto fritto!

Dalla Turchia ed Iran che, come arte culinaria offrono ben poco, ci siamo ritrovati sommersi da Sambusa, Pokora, Gylabi e altre pastelle fritte dello stesso genere ma con ripieni differenti. La prima volta ci devi stare molto attento, un Samusa al giorno e’ poco ma due sono troppi e la caghetta e’ assicurata ! Queste pallette informi sono un concentrato di grassi vegetali ed animali dal sapore indefinito, ma sono le classiche cose che trovi ogni dieci metri dall’Iran all’India senza interruzione.

Il Pakistan oltre a questo ci ha offerto un (inizialmente buono) Dahl, ossia piccoli ceci in zuppa con piu’ olio che non Ceci. Buono la prima volta, buono la seconda ma odiosi dopo aver passato 40 giorni ad ingurgitarlo.

Finalmente poi siamo arrivati in India, qua la cucina non e’ il top, ma almeno abbiamo piu’ varieta’ di piatti (rigorosamente vegetariani). Il Thali e’ quel che va per la maggiore, piatto economico ma redditizio, un insieme di riso e Dahl (cucinato con meno olio) e, come contorno, due diversi tipi di vegetali.

Per cio’ che riguarda i dolci sono uguali dall’Iran fino all’India. Pastelle della consistenza di biscotti molli di colori diversi, forme diverse, ma con tutti lo stesso sapore. Aiuto !

Dimagrire ? Non se ne parla ameno che non si pratichi il digiuno la tua super quantita’ di Olio e insalubrita’ e’ assicurata.

… Ah come mi manca la cucina di mamma !

Africa e blues

Cari amici,

suonerà strano, ma proprio dall’Africa mi permetto a fare pubblicità per uno spettacolo che si tiene stasera. Non mancate Fabrizio Poggi ed i suoi ottimi musicisti-amici! Non ditemi che c’è qualcosa alla TV o che i bambini sono ancora piccoli, per carità. Il blues deve essere più forte di fronte a questi impicci.

Per quanto riguarda il desert blues vi raccomando un CD di Ali Farka Touré e Ry Cooder. In Africa Orientale purtroppo niente deserto, ma piove tanto da fare soffrire e morire non poca gente. Per quanto concerne la Somalia ci pensano i neo-martiri. Ieri in fatti una donna si è fatta esplodere a Baidoa uccidendo otto persone.

Viva International Aids Day, soprattutto per la beata gente che può permettersi the antiretroviral drugs.

Statemi bene, fiö della nebbia. Alexander

Spaziomusica Via Faruffini Pavia

VEN 1 Dicembre
FABRIZIO POGGI e TURUTUTELA
Grande festa della musica popolare con: FABRIZIO POGGI E TURUTUTELA in concerto per presentare il loro nuovo splendido cd: “La storia si canta” . . Un commovente e sentito omaggio ai leggendari cantastorie pavesi e alle nostre mitiche mondine. Un disco e un concerto che riscopre e sottolinea
l’impegno e la passione civile della nostra musica popolare e squarcia il velo su quello che si può definire il vero blues italiano. Una serata ricca di buona musica e di prestigiosi ospiti e collaboratori presenti nel disco di Fabrizio e dei Turututela.
http://www.turututela.com

 
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babbo natale

Come mamma posso dire che è diventato sempre + difficile fare regali di natale soprattutto quando si tratta di giocattoli.

per i miei figli compilo questa lista per aiutare chi mi ha chesto: “ma cosa porta babbo natale a lupo e geo” e utilizzando il lato sociale del mezzo che sto usando, prego chi sceglie di rispondermi con il nome di quello che si è scelto e la rispettiva lista della figliolanza, siccome il tutto è pubblico tutti saranno al corrente e non si rischiano errori o doppioni
Geo:

Tartarughe paleopatrol
Playset covo delle tartarughe
Poweranger spd con moto
Maginext megattrex rosso
Cibertron trasformer leobreaker

la casa dei Gormiti
Lupo:

Piragna panic
Il mondo dei dinosauri clementoni
Lego exoforce 7704
Lego bionicle 8764 vezon e fenerakk
Monopattino
Lego football stadium

Carte lamin di Dragonball

Auroville

Il mio ultimo post voleva parlare della bella esperienza che e’ stato il nostro trekking nepalese. Purtroppo mi sono dilungato su quanto lo ha preceduto ed adesso gran parte della contentezza ed eccitazione da questo creata e’ svanita. Le nostre menti si sono riempite di novita’ ed il ricordo di quel trekking e’ oramai sopito sotto la mole delle nuove esperienze da noi vissute.

Vorrei trattare due argomenti, ma dubito di riuscirci. Intanto vi riassumo i nostri spostamenti:

Pokara-Katamandu

Katmandu-Boghdaya: e’ questo il posto dove il principe Siddharta e’ diventato il Buddah ed e’ qui che ogni paese buddista ha una sua importante rappresentanza sotto forma di monastero e monaci.

Bodghaya-Calcutta

Calcutta-Pondycherry

Auroville.

Mia madre chiedeva spunti profondi, provenienti da un mondo dove questi, volendo, ti assalgono da ogni lato. Non ne parlo, questo e’ vero, ma pur considerandomi la razionalita’ fatta a persona non posso certo sottrarmi dall’osservare, elaborare e tirare le mie conclusioni.

Ho maturato varie idee e penso che annoierei i piu’ se mi dilungassi su questioni spirituali. La spiritualita’ e’ una costante di questo viaggio e io mi limito ad osservare con il mio estremo criticismo stando ben attento a non lasciarmi trascinare come purtroppo accade a molti.

Un tema interessante riguarda la meditazione poiche’ questa non e’ legata ad alcuna dottrina ed e’ pensata come il modo attraverso il quale l’uomo impara a conoscere se stesso e quindi Dio. La cosa bella e’ che questo Dio non e’ un Dio, ha diversi nomi ed appartiene a tutti. Si tratta forse dell’Uno dei nostri primi filosofi e sta a rappresentare quella forza cosmica da qui tutto deriva.

L’argomento mi e’ molto confuso ma quel che mi e’ chiaro e’ come la meditazione sia alla portata di tutti (qui tutti meditano) ed ognuno raggiunge il suo piccolo obbiettivo.

Per noi chi medita deve seguire un percorso prededefinito che deriva dalla sua dottrina, in India invece ognuno medita per trovare la propria strada e chi ha successo raggiunge la stessa piazza, indipendentemente dal percorso seguito.

Detto questo non posso negare che il mio unico personale successo in campo meditativo e’ stata la stoica resistenza ad un attaco zanzarifugo di 30 min. Penso pero’ che la capacita’ dio passare tanto tempo a farmi succhiare il sangue non sia un successo da attribuira all’India quanto piuttosto al ben piu pragmatico passato Pavese.

Mentre con gli occhi chiusi cercavo di fissare la radice del mio naso non potevo far altro che pensare al Milan, in fondo alla classifica e privo di San Shevcenko.

Insomma rimango sempre io ma il tema mi interessa e mi prometto di cercare maggiori successi non appena trovo qualcuno capace di spiegarmi come non pensare piu’ al Milan.

Ritornando a questioni spicce ora vi parlo di Auroville:

E’ questo un posto scaturito dalla idea di una donna francese nata nell’ottocento e morta trent’anni fa. La madre era discepola di Sri Aurobindo, un importante filosofo riconosciuto tale anche dalla cultura occidentale. La madre, negli anni sessanta, ha concepito un posto dove tutti dovevano vivere al di sopra delle differenze, un posto aperto dove ognuno venisse messo in condizioni di coltivare i propri interessi senza dover scendere a patti con i dictat di nessuna societa’.

Oggi questo posto esiste e si chiama Auroville. Qui abitano 2000 persone provenienti da ogni angolo di mondo. Ad ognuno e’ stata data della terra e questa e’ stata usata nel migliore dei modi. Nonostante quanto si possa pensare non si tratta per nulla di un posto di ex hippye. Abita qui bellissima gente che si propone come obbiettivo quello di vivere in comunita’ all’interno della grande comunita’ che e’ Auroville.

Come conseguenza della liberta’ di espressione e sperimentazione al di fuori del circolo di produttivita’ e consumo, Auroville e’ oggi all’avanguardia nell’uso di tecnologie pulite che vanno da case ed energie sostenibili ad un intero stile di vita sostenibile. La citta’ viene spesso chiamata a dare il suo contributo a seguito di catasrofi quali lo Tsunami ed i meno noti terremoti del Gujrat (India) e di Bam (Iran)

I piu’ vivono in bellissime case con tutti i comfort ma molti prediligono una vita semplice dove ognuno gode di quanto gli altri hanno loro da insegnare.

Mi sono stufato di scrivere questa introduzione equindi vi invito a cercare Auroville su Google.

Tabata ed io abbiamo passato una settimana nella comunita’ di Solitude dove abbiamo dormito nella piu bella capanna in cui sia mai stato e dove ci siamo sfamati di solo cibo organico proveniente dalla farm. Il tutto ovviamente gratis poiche’ il profitto non interessa a nessuno. Qui abbiamo lavorato i campi come ai vecchi tempi, strappando a mano le erbacce che infestavano il riso.

La farm e’ nelle mani di Krishna e Deepa. Lui inglese e lei indiana. Una bellissima coppia di rispettivamente 33 e 23 anni.

Krishna e’ arrivato ad Auroville quando aveva 19 anni e da li si e’ dedicato a sperimentare vari tipi di cultura che non richiedessero sostanze chimiche e dispendio di acqua. Auroville gode di molto credito da parte di diverse universita’, sopratutto americane, che mandano qui i loro studenti ad imparare su agricoltura, ingegneria e altro ancora.

Gli altri aurovilliani sono ben felici di mangiare da Krishna in cambio di un contributo perche’ sanno che cosi facendo sostengono una buona causa. Allo stesso modo altri sono contenti di farsi costruire una casa o un mulino dal centro di ricerca scientifica poiche’ cosi facendo sanno di finanziare la ricerca.

Auroville e’ un esperimeto riuscito, un posto che si sostiene come una normalissima citta’, un posto dove la gente cresce i figli in ottime scuole e dove tutti sembrano essere sempre felici. Un posto dove tutti danno il meglio di se’ poiche’ porta ognuno a trovare la sua strada e lo motiva a fare del suo meglio. Un posto dove tutti lavorano e dove l’ingegnere e l’avvocato sono sullo stesso piano del contadino. Il contadino ha infatti deciso di essere tale pur avendo potuto essere a sua volta avvocato.
A solitude Tabata ed io abbiamo difeso il nostro tricolore: abbiamo fatto Pesto in quantita’ industriali, cucinato Gnocchi al sugo e quattro bellissime pizze cotte al forno a legna. Si trattava degli esperiementi che ogni Aurovilliano e’ naturalmente inclinato a sostenere, esperimenti che anche per noi sono stati una grande soddisfazione.

Krishna ha sperimentato la cultura del Basilico non nota agli Indiani, un ragazzo egiziano ha creato un forno a legna con del fango che le nostre pizze hanno battezzato mentre noi ci siamo sbizzariti nel sostituire gli ingredienti con quel che la terra ci poteva offrire. Il tutto e’ stato un gran successo.

Siamo stati ad Auroville una sola settiamana ma grazie a quelle che per molti possono sembrare stupidate abbiamo avuto modo di capire pienamente lo spirito di questa gente.

Ora siamo in partenza, stiamo andando in Kerala, una regione marittima a me’ ancora ignota.

Ciao

From India to nepal

Il tempo passa veloce, le vicissitudini alle nostre spalle sono numerose. Nonostante la intenzione iniziale di raccontare i vari passi del nostro cammino mi trovo costretto (fondamentalmente per pigrizia) a compiere grandi balzi che lasciano buchi nella nostra storia.

Il mio ultimo serio post raccontava della valle di Swhat, verdeggiante luogo montano pakistano dal quale siamo oramai partiti piu’ di un mese fa.

Nel mentre abbiamo attraversato due nuovi confini, siamo stati nel templio d’oro dei Sik e nella capitale del governo tibetano in esilio, Dharamasala. Qui abbiamo avuto l’onore di vedere sfrecciare un omino vestito di arancione, alzava le mani da dietro il paerabrezza per salutare il suo popolo. Il Dalai Lama, i tibetani ed il Buddhismo sono stati per noi una parentesi molto interessante.

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Soldato indiano al confine pakistano

  Dalle montagne di McLeod Ganj siamo quindi scesio verso Chandigarh, una citta’ costruita ex novo negli anni 50 dall’architetto Le Corbusier. Un posto molto interessante il cui impianto urbanistico e’ degno di attenzione anche dai non addetti ai lavori.

Qualche settimana fa abbiamo invece fatto il nostro tuffo nella piu vera India: Ho catapultato Tabata in una delle citta’ piu’ vecchie al mondo, ancora oggi certamente una delle piu’ sante. Varanasi, un tempo, Banares, e’ uno dei posti dove l’India concentra tutta se stessa. Qui il Gange e’ il centro della vita ed e’ uno dei fiumi piu’ inquinati al mondo. Qui si vedono galleggiare, oppure bruciare cadaveri, qui gli indiani ti fischiano continuamente nelle orecchie le loro offerte cher vanno dalle piu’ esotiche delle droghe, alle piu’ giovani delle prostitute fino ad innoque ma persistenti proposte di giri in barca, massaggi, magliette e cagate varie.

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Pittori lungo il Gange

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Santone (al contrario) che contemple il suo fiume

I vicli stretti della enorme citta’ vecchia dove le scimmie, i cani e le mucche, diventano il traffico che intasa le strade, dove non puoi sottrarti alle attenzioni degli avvoltoi appollaiati sui trespoli dei loro negozi, diventano pero’ insopportabili una volta superati i tre giorni.

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Tabata bellezza di Varanasi

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By the Ganges by night

Dopo Varanasi serve pace e tranquillita’, serve natura e pulizia, serve una capatina in Nepal.

Ora siamo a Pokhara, seconda citta’ del Nepal al confronto della quale Pavia sembra Mexico city. Mentre scrivo da sotto la tettoia del nostro albergo ho davanti ai miei occhi un pianta di Papaya (in realta’ decisamente tra le balle perche’ ostruisce la vista) ed il bellissimo lago con le colline giunglose che lo abbracciano.

Quando vedo questo grande specchio d’acqua, pulito come non mai, non posso che pensare a mio padre che a quest’ ora lo avrebbe gia attraversato almeno 5 volte.

La settimana scorsa abbiamo preso una barchetta e, muniti di cibo, rigorosamente in costume, ci siamo cimentati in un remata, piknik e bagno con le montagne innevate dell’Annapurna alle nostre spalle. Dopo tanto relax ci siamo detti che era tempo per un po’ di dinamicita’, era tempo di lanciarsi in un esperienza completamente nuova della quale tanto avevamo parlato ma mai avevamo seriamente intrapreso. Il trekking e’ una figata. Non avendolo mai fatto non avevamo idea di cosa comportasse se non delle lunghe passeggiate. Ora, seduto sotto la solita tettoia, con le vesciche ai [piedi ancora bollenti (Tabata vanta invece due buchi sui talloni), tiro le somme della nostra scampagnata di 5 giorni.

Ho viaggiato in vari modi e con vari mezzi ma mai esclusivamente con le mie gambe. E’ stata questa la bellezza del nostro Trekking; avere camminato 6 ore al giorno laddove camminare era la unica possibilita’, raggiungendo le nostre mete la sera avendo la serenita’ e stanchezza di chi e’ immerso nella natura e non puo’ che seguirne le regole. Abbiamo attraversato  foreste, vallate e ponti, costeggiato fiumi e visto innumerevoli cascate. Passando per pittoreschi villaggi dove negli orticelli non mancavano mai piante di Maria e dove vecchiette di 70 anni davano filo da torcere a Bob Marley. Siamo saliti e scesi da numerose montagne, percorrendo circa 60 km in 5 giorni e raggiungendo i 2750 metri. Abbiamo preso parecchia acqua e siamo stati bene come non mai.

Non posso negare che il percorsso da noi seguito e’ probabilmente uno dei piu’ battuti al mondo, questo comporta la possibilita’ di trovare villagg, cibo e pernotto a circa ogni ora di cammino, significa incontrare spesso altri turisti e significa che si tratta di uno dei sentieri migliori per neofiti quali noi. Ciononostante, avendo deciso di spingerci oltre la nostra meta iniziale, ci siamo spesso trovati soli eccezion fatta per i villaggi dove ci fermavamo a dormire.

Il nostro bagalio consisteva di due piccoli zainetti, uno dei quali esclusivamente ontenente cibo. Sapendo che il costo del ristoro sarebbe stato alle stelle abbiamo fatto una astutissima spesa che ci ha portati a spendere 2 euro al giorno complessivi (vitto e alloggio) contro i 10 euro medi che la gente e’ costretta a lasciare nelle varie guest house.

Del Trekking ho detto poco ma ora sono stufo. Se ce la faccio lo riprendo la prossima volta.

Ciao. Buon lavoro e buono studio a tutti.

Saluti a tutti.

Saluti dal…………….Nepal.

Siamo nella cittadina di Pokara, in riva ad un bellissimo e tanto pulito lago che ci si puo addirittura fare il bagno.

La vegetazione e’ fantastica, il paesaggio anche. Se le giornate fossero serene si potrebbero vedere i vari monti dell’ Annapurna.

Ieri abbiamo aperto, o meglio spaccato come due cocomeri, i nostri polmoncini padani. Una piccola salita di 1km che, tra andata e ritorno, ci ha fatti scarpinare per 7 ore.

La foresta e’ rigogliosa e la natura in cui sei immerso ti fa sentire veramente bene. Posso dire, per quel poco che ho visto, che il Nepal e’ uno dei piu bei posti che ci siano.

I nepalesi sono bella gente e la qualita’ della vita e’ relativaemente elevata. Le stanze sono pulite e vantano una oramai a noi sconosciuta “24 H hot water”.

Se la meta di molti overlander e’ il Nepal posso capire il perche’, significa fine dei patimenti ed inizio della pacchia.

Ci stiamo piano piano organizzando per intraprendere un modestissimo trekking di qualche giorno. Fedelissimi alle nostre Birkenstok (infradito per gli ignoranti) non supereremo i 2000 metri. Arriveremo a Tatapani, una delle prime tappe del circuito dell’Annapurna. Tra andare e tornare dovremmo metterci un 3,4 giorni. 

Temo che il Nepal ci portera’ via un bel po di tempo. 

E’ nostra intenzione uscire dall’est e quindi tornare in India dal west Bengal. Tra Pokara e Katmandu non c’e’ molto dal punto di vista urbano ma un sacco da quello naturalistico. Stiamo meditando una puntatina sui confini di un importante parco nazionale. Pur non entrando (e non dover quindi sottostare alle sue regole, ossia biglietto, jeep, eccetera) dovremmo riuscire a vedere qualchecosa con il nostro fai da te’. 

Pero ora vi saluto. 

Questa bloggata e’ molto modesta e spero di riuscire a riempire il buco dal Pakistan sino a qui quando saro’ arrivato a Katmandu. 

Il mio “editore”, Priscilla, chiede commenti.  

Forza, non fate gli stronzi, scrivere due righettine non vi costa nulla. 

  

Ciao

Tabata says: “WELCOME TO INDIA”

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Cerimonia chiusura confine

Il giorno 28 Luglio cosi scrivevo nel mio diario:
“Golden Temple, Amritsar
  Non potevo aspettarmi un piu’ bell’ingresso in India…. “
Dal nulla un tripudio di colori, suoni, musica e donne bellissime hanno circondato noi ed i nostri modesti zainetti. Un salto dal noioso e musulmano Pakistan al vivace e colorato mondo indiano. Da questa parte della cancellata, dopo aver sbrigato le solite pratiche di confine, abbiamo aspettato la cerimonia di chiusura dei cancelli e relativo ammainamento delle bandiere.
La chiusura e’ stata un vero e proprio spettacolo con un bravo show man ed un calorosissimo pubblico composto da turisti stranieri, indiani e gruppi scolastici. Da entrambe le parti, mentre i militari compivano i loro solenni rituali, il pubblico cantava ed incitava i propri soldati. Ovviamente non c’e’ stato paragone, mentre il povero Pakistan aveva una tifoseria di 30 spettatori, l’India ne contava almeno 500. Il tutto e’ durato circa 45 minuti ed in conclusione i militari si sono stretti la mano, hanno ammainato le bandiere con sincronia svizzera in modo che nessuna bandiera fosse mai piu’ alta dell’altra ed hanno chiuso i cancelli.
WELCOME TO INDIA !
La notte siamo stati ad Amritsar ed abbiamo potato, come al solito, per l’opzione di pernotto piu’ economica.
Un dormitorio gratuito nel Golden Temple fatto apposta per i pellegrini in visita. Il mangiare nella mensa commune, da noi scherzosamente definite “dei poveri”, dove chiaramente abbiamo sfamato le nostre bocche, e’ stata un’ esperienza veramente indimenticabile.
Il tempio e’ gestito da centinaia di volontari, la religione e’ quella Sik, una minoranza in India dove i piu’ sono Hindu.

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Goden Temple


Per tutto il perimetro esterno, interno e nei dintorni del Tempio, ci si immerge in una musica cantilenante e tranquilla, molto piacevole da ascoltare che, regalandoti una confidenza e un senso di casa incredibili, ti coinvolge da subito. La gente e’ parte integrante di tutto cio’.
Nonostante nel Tempio ci siano circa 20.000 visite al giorno e nonostante l’India sia molto caotica, all’interno di questo luogo santo vige la tranquillita’ e l’ordine, un posto speciale insomma.
Passati 2 giorni in questo luogo siamo partiti alla volta di Mcleod Ganj il luogo dove si e’ rifugiato il Dalai Lama dopo essere scappato dal Tibet negli anni ’60.

 

 

Da Chitral a Swat

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E’ bene ricordare che lo Shangrilla si trova in Pakistan.
Questo posto mitico sospeso tra le nuovole dove la gente non invecchia mai ha alimentato i sogni di molti portando i grandi esploratori dei secoli avventurosi ad incontrare queste montagne nel loro viaggio verso l’Utopia.
Per essere precisi lo Shangrilla andrebbe collocato nella regione di Hunza, meta del mio precedente viaggio Pakistano, ma, vista la breve distanza da Chitral, mi piace pensare che il paradiso appartenga ai Kalash.
Ovunque un tripudio di acqua. Non solo un limpidissimo fiume ma una serie di canali che sempre ti costeggia e taglia il cammino. Tutto e’ di dimensioni limitate e di una armonia naturale che non puo’ che renderti sereno. I bambini raccolgono le noci, gli adulti lavorano i campi, l’acqua scorre trasparente sopra sassi e canaline di legno, la mucche, le capre e le galline pascolano liberamente poiche’ qui, la sera, ogni animale sa di dover tornare a casa. Persino il saltuario rombo dei potenti Land cruiser del 70 (circa uno ogni tre ore) sembra disperdersi nel perenne gorgoglio di Bumburet (una delle tre vallate che costituiscono la valle Kalash).
Qui tutti sono sereni, gli erbivori in particolare. Sempre nelle montagne si respira odore di Marijuana, cresce selvatica ed e’ certo per questo che mucche e capre sembrano tanto felici.
Siamo stati a Bumburet per soli tre giorni spendendo quotidianamente 40 centesimi per dormire e 60 per mangiare. Il Paradiso e’ decisamente piu economico del nostro Inferno.
Nell’ultimo dei nostri giorni presso i Kalash abbiamo raggiunto il villaggio dei nuristani. Questa gente arriva per l’appunto dalla regione Afghana del Nuristhan dalla quale distavamo di soli pochi km, o meglio di una montagna. In una casa del villaggio abbiamo goduto di grande ospitalita’ passando due piacevoli ore con una famiglia piena di sporchissimi e simpaticissimi bambini. (Padre e figlia sono ritratti nella foto del precedente post).
I Kalash, con i loro copricapi colorati, visi aperti e solari, sono una cosa troppo diversa per poter sopravvivere ancora a lungo. Uomini e donne sono apparentemente sullo stesso piano e queste ultime ti gridano il loro saluto (Shpota !) per poi venirti a stringere vigorosamente la mano e abbracciarti con forza. Il Pakistan purtroppo e’ talebano e fondamentalista, la gente spesso e’ ottusa ed e’ per questo che le donne che si vedono in una settimana possono contarsi sulle dita di una mano. I Kalash un tempo erano molti di piu’ ma, non potendo molti accetttare la esistenza di tanto colore, o meglio di Pakistani non Musulmani, e’ stata intrapresa nei loro confronti una campagna religiosa degna dei peggiori Gesuiti.
Oggi la regione e’ abitata da un misero 30% di Kalash mentre il restante 70% e’ costituito da convertiti e da coloro i quali hanno abbondonato i luoghi troppo affollati.
Purtroppo, secondo molti, il tempo dei Kalash e’ venuto e gli eredi di Alessandro sono condannati a sparire nell’arco di un ventenio.
Alla valle Kalash abbiamo dovuto prendere una risoluta decisione: Lasciare quel suono che oramai aveva ovattato i nostri cervelli, rallentando metabolismo e mente, per andare in contro a quella che e’ purtroppo la vera dimensione del ventunesimo secolo. Strade, clacson, traffico, rumore.

Siamo tornati a Chitral da dove all’indomani ci saremmo mossi per Swat

per amore solo per amore

Storicamente, almeno per i cristiani, la nascita di un bimbo è la soluzione alla crisi, se si tratta di una crisi morale, etica, politica(intesa come dover scegliere da che parte stare).
Il bambino gesù nasce per risolvere la crisi e ancora oggi in maniera più o meno osservante lo ricordiamo.
Amore? si credo ci sia amore nello scegliere di avere un figlio, anche se lo si desidera per salvare la coppia, ma non credo che questo voglia dire amore per il partner, ma amore e basta, che vogliamo riversare in un figlio. Un figlio che se cresciuto con amore ci amerà.
Forse ci amerà più del partner, non è quello che sperano tutte le mamme?

in trincea

abbiamo avuto qualche giorno di duro lavoro.Telecom porta i cavi ma non fa scavi.
Lo ha detto il tennnnnnnnnico che si è presentato qui senza nemmeno un foglio o un metro per prendere due misure.
Sembrava reduce da una gara endurance-degustazione di vino novello e ogni volta che gli facevi notare che un palo stava per cadere o che la linea si stendeva sul prato alla portata di cani, topi e passanti, ripeteva: “non ce la faccio più mi gira la testa”
Ma in questi giorni è meglio non parlare di Telecom lo fanno gia tutti
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vita di coppia 7.780.000 risultati

Che ci sarà mai da dire sulla vita di coppia, google non pensa, ricerca e produce sette milioni di risultati, abbondanti. Vita di coppia e figli solo 3.330.000.

Lo prendo come un segno, quando ci sono figli si parla molto meno della coppia. Quindi più figli ci sono meno se ne parla. E allora è vero che se sei in crisi fai un figlio così esci dal problema e non ne parli più.

Ma che ragionamento tutto femminile, scusa ma la coppia è eterosessuale, lui potrebbe decidere di comprare una macchina che se fosse satato soddisfatto non si sarebbe comprato mai : automobili su google più di 17.000.000 risultati; e poi le macchine una volta costavano un sacco di soldi, invece adesso è esattamente come fare un figlio: sull’onda dell’entusismo entri, fai il guaio, e paghi a rate

Certo poi sali in macchhina e nel silenzio si ricomincia a parlare della coppia, invece un bambino non sta zitto mai si fa sentire quando è più inopportuno non ti da il tempo di pensare e vuoi mettere la scusa “non ora il piccolo a fame” contro “non ora devo andare a controllare il livello dell’olio”?

Scusa ma non è più facile parlarne e risolvere il dannato problema di coppia?

Come si vede che sei un uomo, secondo te qual’è il problema?

Che ne so sei tu a parlare di problemi

Ecco vedi gli uomini non riconoscono mai i problemi, e se non li riconoscono come fai a prlargliene?

Ma scusa quella mamma che ha messo al mondo un secondo figlio per salvare il primo con cellule staminali provenienti dalla seconda gravidanza? non la avevi tanto criticata?
Si ma lei aveva buone possibilità di ritrovarsi con due figli malati al posto di uno, mettere al mondo un figlio non è come creare un clone per poi rubargli alcune cellule e giocare a dio in camera operatoria.
Forse, ma la coppia invecchia e i figli che crescono ti odiano per le scelte che hai fatto, così invece di avere un problema di coppia hai un problema di famiglia.

Vero, ma nel frattempo la coppia invecchia e forse diventa più saggia. Google 55.300.000 risultati

Pakistan

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Vi avevo lasciati nel desertico Iran, ora vi riprendo dal verdeggiante Pakistan.
Attraversato il deserto del Baluchistan, che da Zahedan (Iran) ci ha accompagnati quasi fino a Peshawar, ci troviamo ora nelle meravigliose, imponenti e avventurose montagne pakistane.
La strada per l’Iran si e’ chiusa alle nostre spalle non appena arrivati a Peshawar. Nei due giorni in cui abbiamo attraversato la zona calda del Baluchistan e’ infatti stato ucciso il cosidetto leader dei ribelli, il Sig Bugti.
La regione del Baluchistan, pur essendo brutta, e’ ricca di gas naturale ed e’questo il motivo per il quale gli viene negata maggiore autonomia, se non addirittura la indipendenza, da Islamabad.
L’assassinio da parte del governo e’ stato la scintilla che, da Quetta a Multan, ha dato il via ad una serie di manifestazioni portando l’esercito ad isolare per svariati giorni la regione dal resto del Pakistan.
quando siamo saliti sul nostro colorato bus Quetta-Peshawar, ereavamo stati ripresi assieme agli altri passeggeri da una telecamera. Tabata sosteneva che fosse per un eventuale riconoscimento del cadavere, mentre io pensavo che fosse per scovare eventuali criminali a bordo.

Dei seguenti 4 giorni passati a Peshawar uno e’ stato dedicato ad un misto di shopping e kung fu, e uno invece ci ha portati in quello che il Lonely planet chiama ” il far west pakistano”.
In un caso ho dovuto difendere a calci e pugni il sedere della mia mogliettina dalle manate di frustratissimi e stupidissimi pakistani. Nonostante infatti non si sognerebbero mai di sfiorare una donna locale, pena un rapidissimo linciaggio da parte della folla, sembra invece che nel corso degli anni abbiano imparato che le loro azioni rimangano impunite quando rivolte agli stranieri. Penso di aver contribuito a sfatare questo mito e la vicenda mi ha anche reso piu’ ricco del cellulare volato dalla tasca del “mano-morta”.
Il far west pakistano va invece sotto il nome di Darra ed e’ costituito da una cosidetta zona tribale dove si dice vengano quotidianamente prodotte 2000 armi. Principalmente pistole Kalashnikov e fucili a pompa.
Le zone tribali in Pakistan sono numerose e sono costituite da tutti quei posti che, per motivi vari il governo non e’ mai riuscito a controllare completamente. In questa vige la legge tribale, il che significa che la legge se la fanno da se. Non e’ dunque un caso che in esse vengano prodotti hashish oppio e armi.
Le Tribals Areas teoricamente sono off limits per gli stranieri, mentre in pratica sono accessibili se si e’ capaci di usare argomenti convincenti con i poliziotti che ti dovrebbero rimandare a casa.
A Darra abbiamo visto come, con un forno a legna ed una lima, ti costruiscono un Kalashnikov in tre giorni, abbaimo sparato con la riproduzione di una beretta ed io, purtroppo, non ho saputo resistere al fascino della Pen gun. Quella che si presenta come un innoqua penna e’ infatti capace di sparare un proiettile calibro 12. Un gadget da James Bond insomma che mi sono dovuto per forza fare regalare da Tabata per il mio oramai prossimo compleanno.

Da Peshawar abbiamo proseguito per le ormai ambitissime montagne pakistane con prima tappa Chitral:
un posto piacevole, relativamente pulito e pieno di gente cordialissima, un posto dove le tracce dell’antica presenza coloniale inglese, sono decisamente ancora nell’aria. Qui si gioca infatti al “Gioco dei Re” ( oppure Re dei giochi ) intendendo con esso il polo selvaggio dove tutto e’ concesso, e sempre qui si possono trovare gli unici pakistani che amano correre dietro un pallone.
La citta’ di Chitral da il nome ad un’ intera regione che, rapportata al XXI secolo, puo’ dirsi difficle da raggiungersi.
16 ore di pulmino (N.B. pulmino pensato da 9 posti ma magicamente diventato da 19) su una strada che da noi la gente non oserebbe affrontare nemmeno con un big foot, una strada sterrata che si arrampica tra montagne infinite dalle quali regolarmente cadono le porzioni che bloccano la via.
In questo viaggio Tabata ha ancora dimostrato la sopportazione di un fachiro eunuco riuscendo a convincere la sua chiappa sinistra che pur poggiando sul parafango non se la passava peggio della sua controparte sul sedile.
Dopo due interessanti giorni passati a Chitral citta’, siamo andati alla scoperta di quella che e’ certamente una delle vallate piu’ bella del mondo: il mondo dei puffi, meglio noto come Valle Kalash.
I Kalash sono un popolo colorato, di pelle chiara, capelli biondi e occhi azzurri. La teoria piu’ accreditata vede in loro i discendenti di Alessandro MAgno, o meglio di quei soldati che hanno deciso di fermarsi in questo paradiso.

Da Madyan, Swat Valley, vi saluto

ITALY TO IRAN

Deserto.
Dalla Kappadokya turca sino ad Ardabil, Iran, solo il deserto ha accompagnato il nostro sguardo. A nulla e’ valso inerpicarsi sulle montagne, raggiungere l’arroccato castello di Babak, IIX secolo.
Niente ha potuto regalare colore ai nostri occhi.
Ovunque, inesorabilmente, solo deserto. Anche in montagna.
Questa terra secca di rocce roventi nasconde i suoi tesori al resto del mondo. Il cuore delle genti e’ buono e la bonta’ infinita, la cultura della cordialita’, della correttezza senza limiti. Questa verita’ oltre che scioccante diviene triste quando confrontata a quanto la pregiudizievole ignoranza occidentale, alimentata da calunniosa propaganda, continua a voler pensare di questo paese.
Isolato dalla economia mondiale, dalla maggioranza dei flussi di comunicazione, il popolo iraniano sa di passare per pecora nera del mondo. Sa anche di non meritarselo e la tristezza traspare quando ti vien posta la ricorrente domanda:
– Mi scusi signore, mi dice cosa pensa la sua gente di noi iraniani ? –

Immagina un mondo dove la gente ti sussura timidamente il benvenuto quando passeggi sulle sue strade, un mondo dove, appena arrivato, sei costretto ad accettare il fatto che il tuo trasporto, il tuo cibo, il tuo te’, viene offerto da chi guadagna duecento euro al mese.
Immagina un mondo dove un taxista dopo quattro ore di guida rifiuta di essere pagato perche’ sei ospite nel suo paese.
Pensa come funzionerebbero i meccanismi che regolano la umanita’ se ognuno fosse disposto ad accompagnarti, aiutari, a fare il possibile per esemplificare le cose.
Ora non pesare piu’ a questo mondo, sarebbe una utopia. Pensa invece ad un paese.
Benvenuto in Iran

Siamo in viaggio da 12 giorni, reduci da fatiche e varie esperienze poitive ed appaganti.
In Grecia abbiamo conosciuto una strana signora che ci e’ stata di grande aiuto. Siamo stati ospiti di Elena, pisana di adozione, greca di nascita. La sua casa a Drama rimane chiusa per dieci mesi e quando torna il giardino e’ invaso dalle erbacce, i calcinacci ricoprono il pavimento.
Qui per lavarsi si riempono le pentole alla fontana del vicino parco, le si scalda sul fuoco e ci si giostra tra i vari barattoli che abitano il bagno.
Elena ci ha portati ad Iracliza, ci ha indicato una spoiaggia dove, con la zanzariera e qualco ferraglia raccattata in giro, abbiamo improvvisato un accampamento con tanto di pasta cucinata sul fuoco.
Una serata speciale, una notte insonne, un’alba bellissima e un bagno mattutino. Guidati dal caso che da questa spiaggia deserta ci portera’ sino in India.
Italia, Grecia, Turchia e quindi Iran. Una volata con sosta in Kappadokya per vivere in una piccola grotta che per due giorni diviene la nostra casa. Fresca e tranquilla, scavata nel tufo che e’ il muro del nostro ostello.
Adesso finalmente Iran. Finalmente lontani dal nostro mondo, dal “primo mondo”, dai nostri canoni, dai turisti che invadano ogni angolo di bellezza. Un mondo diverso dove la gente e’ speciale.
Le donne sembrano tanti Ninja oppure, come dice Tabata, tante suore. Solamente i cordialissimi poliziotti possonoi avere da ridire sul nostro vestiario. Nessun problema sul finto velo di Tabata, sulla camicia che non copre il sedere. Non vanno invece bene canottiera e pantaloncini che con finta ignoranza e gran disinvoltura cerco di introdurre come nuovo costume della republica islamica dell’ Iran.
Per ben due volte il mio tentativo di lanciare questa nuova moda e’ fallito. I poliziotti mi hanno fatto notare che si tratta di vestiario non consentito:
– Noi te lo dobbiamo dire, tu poi fai come ti pare. Scusaci. Benvenuto in Iran –
Stiamo viaggiando fuori dai sentieri battuti, nessuno parla Inglese e il trasporto e’ difficile da rintracciare. Solamente grazie alla onnipresente disponibiliuta’ riusciamo a raggiungere le nostre mete.
La mia compagna di viaggio, oramai promossa a moglie onde evitare lunghe diquisizioni su usi e costumi occidentali, si rivela essere una viaggiatrice provetta:
Turche che sembrano letamai e docce che sembrano Turche sono per lei solo ostacoli minimi. Con una buona dose di sopportazione, ciabatte alte un metro e mezzo e l’equilibrio di Bruce Lee, il tutto non e’ che normale amministrazione. Dormire per terra e’ oramai meglio di un materasso, camminare per ore con dieci chili sulle spalle e quaranta gradi all’ombra niente piu di una piccola passeggiata. Le nottate sui pullmann sono meglio della Disco.
Solo un problema sembra essere insormontabile: Lasciala sola per per trenta seconda e si addormenta !
Nonostante questo piccolo neo merita i miei piu’ grandi complimenti.

Saluti da Esfahan, prossima meta’, forse, Yazd.

Vedi le foto cliccando su “foto post uno” sulla destra della pagina.

METTI UNA SERA A CENA

Metti una sera a cena, anzi a grigliata.
Gruppo molto eterogeneo, campo di attività tra le pù varie, scopo della serata:conviviale per alcuni sessuale per altri.
Comunque il succo è che se ti siedi con le gambe sotto a un tavolo bevi qualche bicchiere, le donne parlamo di case e di figli, gli uomini di politica anedottica o di sesso.

Tutto molto scontato non si sono dette ne sentite grandi verità tranne una: sessualmente la donna muore prima dell’uomo = In una coppia la donna deve essere + giovane di una decina di anni.

Penso che rimetterò questo giudizio ai i uomini e donne che pensano di avere qualcosa da dire in merito.

life is now

libro-inizio.jpgsembra lo slogan di Vodafone, ma non lo dice Totti, piuttosto un altro tipo di personaggio mediatico e sicuramente legato alle parole e non alle immagini eppure le immagini che usa sono le stesse:
“il passato è una scatola piena di illusioni. Sono ricordi dai quali cancelli ciò che non ti piace e rielabori ciò che ti piace. Il futuro è una scatola vuota;oggi lavoro domani in pensione andrò a pescare, e chi ti dice che ci siano ancora pesci domani. La vita è adesso. ”

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domanda di divorzio

26052006(011).jpgquando uno si sposa di solito fa festa per presentare la sposa,
Lo ha detto anche il prete all’ultimo a cui sono stata”siamo qui per accogliere Alessandro e Elke” nella nostra comunità”
Durante il matrimonio è stato celebrato anche il battesimo di una delle damigelle, insolito, anche perchè la bimba aveva 11 anni e con fatica l’avrebbero dovuta sorreggere in più d’uno per intingerla nella fonte battesimale. Fortunatamente uno spruzzo di acqua santa è stato sufficiente per presentare anche lei alla comunità.
Penso, anche quando uno intraprende l’ultimo viaggio, indipendentemente dal suo credo, la famiglia e amici organizzano una festa di estremo saluto: il funerale.
Perchè quando uno divorzia non è di rito nessuna festa? forse le comunità si possono lasciare solo indipendentemente dalla proria volontà e in maniera definitiva, anche se non ci si sposa in chiesa, anche se si celebra con un bicchiere di vino e la benedizione di una giornata di sole in compagnia di amici.

Sailing

It is time to go back, back to the days we travelled, back to times when home was there and we elsewhere.
Have a look at the past take inspiration for the time to come

for us in Africa it was 1999, but if you rather stay with this century take a look at Martin india mails

Cape town

Sabato 3 agosto abbiamo messo piede per la prima volta sul suolo sudafricano. Siamo in Africa, testa in giù rispetto all’Europa eppure nulla sembra drammaticamente diverso. La fila per passare la dogana è immensa, ma quelli come noi che hanno un bimbo sono favoriti e dopo nemmeno cinque minuti veniamo condotti in un ufficio a parte, ci fanno accomodare mentre un ufficiale di polizia bianco si occupa delle formalità. I bagagli non tardano a comparire sull’affollatissimo nastro, all’uscita ci aspettano due ragazze dell’agenzia immobiliare. Ci accompagnano a ritirare il cane con un microbus. Jobbe non è più nella sua gabbia ma in un’altra di legno fornita dalla BA: costerebbe oltre duecento mila lire ma la nostra accompagnatrice è irremovibile e quindi le risparmiamo totalmente decidendo di rispedire alla BA la cassa di legno stile animale feroce.DSC_0013.JPG
Il tempo è bello: limpido con un sole che sembra quello di montagna, ti scotti ma non fa caldo. La città vista dall’autostrada è un misto di ogni metropoli che ho visto nel mondo. Forse ce l’aspettavamo più piccola, più africana, ammesso che il nostro concetto di africano significhi qualcosa nella realtà.
Arriviamo ad Out Bay, che letteralmente significa la baia fuori. Le montagne alte e spoglie che la sovrastano, la vegetazione ricca e curata, le case arrampicate sul costone la fanno assomigliare ad uno dei molti luoghi ameni sulla costa francese. La casa è in stile vittoriano, il giardino piccolo e terrazzato dal quale accediamo alla sala ampia e con un bel balcone soleggiato. Ci colpiscono I colori dell’arredamento anche questo molto mediterraneo. La cucina a cui si accede sia dalla sala che dal corridoio, è ampia e piena di luce, con un isola centrale che la rende armonica e funzionale allo stesso tempo. La nostra camera da letto ha un bagno piuttosto originale con la vasca al centro della stanza e una doccia formato famiglia. Una parete di legno laminato in metallo divide il bagno dalla cabina armadio attraverso la quale si accede alla camera. Tutta bianca invasa dalla luce che entra dalle tre finestre e con tocchi di colori dati da piccoli quadri alle pareti che richiamano I colori dei cuscini sulla coperta bianca anch’essa.
La camera del piccolo lupo, adiacente alla nostra ha un grande letto imbottito e come tutte e cinque le stanze da letto ha il suo televisore e la sua poltroncina In vimini. Ci sta come un re.
La piscina è minima ma abbiamo già capito che Giobbe l’ha adottata come vasca da bagno personale.
La vista dalla camera e dalla sala si apre sulla spiaggia bianca spazzata dalle onde oceaniche. Dal bagno vediamo le montagne sovrastanti. Un paesaggio proprio niente male.
Pranziamo in un piccolo caffè a cinque minuti da casa, facciamo un po’ di spesa e tra una cosa e l’altra ci ritroviamo sotto le coperte appena scende il sole.
Sono passati dieci giorni dal nostro arrivo. Abbiamo affittato una macchina con la guida a destra e non facciamo che ricordarci l’un l’altro da che parte della strada bisogna guidare. Abbiamo visitato la città e alcuni dei paesi vicini. Uno di questi è praticamente un porto pescherecci. Il pesce si compra molto bene ed è divertente andare a curiosare nei cantieri. La maggio parte del lavoro viene fatto artigianalmente e I pescherecci hanno degli scafi enormi a guscio di noce che pescano più di un traghetto.
Bimbo Lupo è affascinato dalle nuove cose che vede e la sera invece di WOODY gli prendiamo un video di Walt Disney quello che gli piace di più è la carica dei 101 che abbiamo dovuto comprargli, in inglese naturalmente.
Qui la gente è molto gentile, se entri in un negozio per chiedere un’informazione subito trovi qualcuno che ti da una mano, un suggerimento: oggi per esempio sono andata in farmacia per chiedere l’indirizzo di un pediatra e una signora che si trovava li per comprare delle medicine subito mi ha dato il nome del suo. Al supermercato spesso non troviamo quello che la cuoca ci dice di comprare e, incredibile, da dietro il bancone della carne, di un supermercato grande come l’Euromercato, esce un inserviente e ci accompagna scaffale per scaffale a cercare quello che ci occorre. E’ come se la gente avesse sempre tempo e voglia di essere d’aiuto.
La città è molto grande e ce n’è davvero per tutti I gusti, lo stesso si può dire per le case.
Grandi piccole, nuove e vecchie con prezzi che vanno dalle 900.000 ai 4.000.000, c’è solo l’imbarazzo della scelta e chiaramente un sacco di tempo per correre da una parte all’altra.
Lupetto ha imparato a dire un sacco di cose nuove e ad usare I verbi. Inutile dire che comincia a scimmiottare I primi suoni in inglese data la frequenza con cui guarda I cartoni animati.
Non beve più camomilla ma solo latte: quasi un litro al giorno.
La cucina locale gli piace molto e mi sa che dovrò imparare anch’io a cucinare alcuni dei suoi piatti preferiti come la casseruola di pollo o la torta di patate e carne trita.
Potrei andare avanti a raccontare per sempre ma se voglio spedire devo assolutamente terminare.
Oggi ci hanno chiamato degli amici che forse verranno a trovarci a novembre. Noi a dicembre andremo in Namibia con la macchina e probabilmente passeremo un natale e un capodanno a 40 gradi. Speriamo che possiate venire presto a trovarci anche voi. Ci stiamo informando per I vitigni, dite pure a zia Silvia che presto riceverà notizie.